Il panorama delle case editrici che pubblicano poesia, oggi, in Italia è abbastanza vasto: alcuni grandi editori hanno collane dedicate (Einaudi, Mondadori ad esempio), anche piuttosto prestigiose, che coesistono con progetti editoriali più piccoli ma di grande respiro.
Sono editori come Clichy, Interlinea, Passigli, La vita felice e diversi altri (che fanno anche poesia, ma non solo) e case editrici che invece si occupano esclusivamente di poesia, come la giovanissima Interno Poesia.
A differenza della narrativa, i libri di poesie pubblicati dalla piccola editoria, spesso indipendente, sono proporzionalmente diffusi tanto quanto quelli delle major. Questo forse perché la poesia resta un settore di nicchia (basta osservare semplicemente lo “spazio fisico” che le viene dedicato in libreria: uno scaffale o due, al massimo) e il pubblico, in qualche misura “selezionato”, arriva al libro in modo meno indirizzato dalla pubblicità permettendo ai “piccoli” di meglio competere con i “grossi”.
E se sentiamo ripetere di continuo che “il romanzo è morto”, di contro, paradossalmente, lo stesso non viene affermato per questa forma espressiva che, inevitabilmente, va trasformandosi, portando all’attenzione del grande pubblico anche autori che emergono attraverso le nuove piattaforme e i nuovi modi di comunicare, e – in un certo senso –di pubblicare. I famigerati social.
È il caso per esempio di Rupi Kaur, la poetessa e illustratrice indiana classe 1992, che dal 2013 ha cominciato a postare i suoi pensieri su Tumblr e Instagram, insieme ai suoi disegni, fino ad arrivare, nel 2014, alla pubblicazione di una raccolta poetica illustrata Milk and Honey (in Italia per i tipi di tre60) che ha venduto due milioni e mezzo di copie restando tra i best seller del New York Times per ben 77 settimane. Nel 2017 è seguita la seconda, The Sun and Her Flowers (tre60).
Il panorama, come si vede, è perciò parecchio articolato, perciò abbiamo deciso di rivolgere qualche domanda a chi con la materia poetica lavora tutti i giorni, prendendo decisioni di indirizzo: Mauro Bersani, direttore editoriale della collana di poesia di Einaudi, e Andrea Cati, fondatore, nel 2016, di Interno Poesia, una scommessa vincente.
Mauro Bersani, che linea editoriale tiene la “bianca” di Einaudi? C’è stato, o meno, un cambio di indirizzo nel tempo?
La “Collezione di poesia” Einaudi, o la “bianca” come è spesso chiamata, è nata nel 1964 su un’idea di Angelo Maria Ripellino, grande slavista, notevole poeta e importante consulente della casa editrice in quegli anni. In una lettera a Calvino del 9 marzo 1963 Ripellino conclude dicendo: “A proposito, perché non iniziamo una collezione di poesia, analoga a quella di teatro, piccoli volumetti con brevi prefazioni, allo stesso prezzo? Una collezione che presenti magari autori poco noti: vi metterei Else Lasker-Schuler, Yvan Goll, Osip Mandel’stàm, Marina Cvetaeva, Artaud, Tuwim, Nezval, Halas, Benn, forse Breton, ecc.”. Dunque Ripellino pensava a una collana di classici del Novecento, più e meno famosi. E in effetti la collana nei suoi primi quindici-vent'anni anni di vita, pur nella voluta mescolanza di antichi e moderni, segue principalmente quella linea editoriale pubblicando per l’appunto Benn, e Beckett, Brecht, Eliot, Neruda, Blok, Holan, Valery, Rilke, Achmatova, ecc. Gli autori italiani contemporanei sono molto pochi, inizialmente legati al gusto sperimentale: Carlo Villa, Roversi, I Novissimi. Via via entrano nella collana i nomi maggiori, come Luzi (Dal fondo delle campagne, 1965), Fortini (Foglio di via, 1967), Caproni (Il Terzo Libro, 1968), Sereni (Gli strumenti umani, 1975), ma con un libro solo, come “campione” della loro poesia, che invece veniva pubblicata sistematicamente da altri editori. È stato con Franco Loi alla fine degli anni Settanta che si decise di “adottare” un poeta e seguirlo nella successione dei suoi libri. A poco a poco la “scuderia” einaudiana è cresciuta sempre più e la collana per forza di cose ha cambiato missione rispetto alle origini. Le percentuali di classici e di poesia straniera sono ora ridotte, viceversa la poesia italiana contemporanea è aumentata molto, e così anche la scelta di poeti esordienti o semi-esordienti. Diciamo che per me il lavoro è forse più divertente rispetto a quello dei miei predecessori, e anche un po’ più rischioso in termini di brutte figure, ma spero di non averne fatte troppe.
Qual è il pubblico della poesia oggi?
Il pubblico della poesia è in crescita. Lo posso affermare in base ai dati di vendita. Difficile definirlo perché non abbiamo schedature degli acquirenti. È sicuramente un pubblico colto, che cerca linguaggi non convenzionali, che è disposto a fare qualche sforzo nella lettura. Un mio grande maestro di editoria, Roberto Cerati, diceva che la collana di poesia era pensata per i giovani, e che il prezzo basso era fatto proprio per loro. Dalle facce che vedo quando vado ad ascoltare qualche reading poetico direi che questo feeling tra i giovani e la poesia stia continuando se non addirittura crescendo.
In che modo, se avviene, le nuove forme di comunicazione piuttosto rapide (social ecc.) hanno ripercussioni sul linguaggio poetico e sulle scelte compiute dagli editori?
Non credo che il linguaggio della scrittura rapida e per forza di cose approssimativa che si usa con i mezzi di comunicazione odierni abbia molto a che fare con la poesia. Anche la poesia spesso (non sempre) è pensiero breve, ma la sua è una brevità che condensa molte cose, sperabilmente con una loro profondità. E il poeta, ancora più di altri scrittori, deve avere una consapevolezza tecnica e linguistica assai elevata.