CULTURA

“Come ne usciremo”, il mondo nel 2040

Saremo usciti, nel 2040, dalla “policrisi” che connota oggi la nostra realtà? Sembra impossibile rispondere a questa domanda: nella situazione attuale, quindici anni sembrano un tempo lunghissimo, durante il quale potrebbe succedere di tutto. Viviamo in una fase di grandi cambiamenti: il mondo intorno a noi muta di mese in mese, di settimana in settimana, e quello di prevedere il futuro può quindi sembrare un esercizio fine a sé stesso.

Eppure non è così, perché è proprio con la previsione di quel che può avvenire, con l’esercitare l’immaginazione sul futuro, che abbiamo modo di mettere a fuoco i nostri desideri (individuali e collettivi), di analizzare le strade che potremmo percorrere e di valutare i rischi che le traiettorie attuali potrebbero celare.

Ebbene, c’è un libro che compie (anche) per noi questo esercizio di immaginazione del nostro futuro più prossimo – il 2040, appunto – e ci racconta “come usciremo” da questa crisi ambientale, sociale ed economica, che è la spada di Damocle del nostro presente.

“Come ne usciremo” (Bompiani, 2025) è un interessante esempio di un genere nuovo: la saggistica speculativa (speculative non-fiction, nel linguaggio internazionale), una via intermedia tra narrazione e resoconto della realtà, che permette di esplorare le pieghe del possibile mantenendo un forte ancoraggio al mondo reale. Il libro è una raccolta collettiva di voci autorevoli del giornalismo internazionale: tra le autrici figurano Angela Saini, Francesca Coin, Vincenzo Latronico, Claudia Durastanti, e ancora Mehaan Christ, Sergio Del Molino, Omar El Akkad, e Chigonie Obioma. Il lavoro è curato da Fabio Deotto, scrittore e giornalista ambientale, che, proiettando sé stesso in una Milano futura più verde e silenziosa, si immagina in un 2040 dominato da una complessa transizione della società globale verso la sostenibilità. Questa ipotetica transizione viene osservata attraverso un dialogo intergenerazionale tra Fabio Deotto e il suo futuribile nipote Michele, adolescente che rappresenta la gen-T, la “generazione della transizione”.

"Per costruire questa antologia di saggi del futuro, comparsi su giornali e riviste nel corso degli anni ’30, avevo bisogno di una motivazione che spiegasse perché, nel 2040, mi trovassi a raccogliere quegli scritti», spiega Fabio Deotto a Il Bo Live. «E nell’inventare questa cornice, mi sono reso conto che una delle dinamiche che più trovo pericolose è la forte separazione intergenerazionale che caratterizza la nostra società. È molto diffusa, infatti, l’idea che, poiché la crisi climatica si ripercuoterà soprattutto sulle giovani generazioni, debbano essere soprattutto loro a impegnarsi per contrastarla. Eppure, nelle “stanze dei bottoni” oggi troviamo quasi esclusivamente esponenti delle generazioni più anziane, che sono anche le maggiori responsabili del disastro in cui ci troviamo e da cui, per parafrasare il titolo del libro, forse usciremo. Mi pare che questa polarizzazione stia acuendo la diffidenza e l’odio tra le generazioni, e trovo che questo sia problematico".

"Il dialogo con il mio immaginario nipote Michele – prosegue Deotto – è allora la messa in scena di questa dimensione intergenerazionale. In questo confronto, all’inizio io vesto i panni dell’anziano che, alla luce della sua esperienza sulla crisi ambientale, ha una disposizione critica verso la transizione del 2040, e prova a spiegare al giovane quali siano i rischi e le ombre di questo cambiamento epocale. Alla fine, però, i ruoli si invertono: è il giovane a insegnarmi ad allargare lo sguardo". Michele, infatti, ha un atteggiamento speranzoso nei confronti delle possibilità della transizione – che, come approfondiscono i saggi raccolti in questo volume, è piena di contraddizioni e di punti oscuri – ma non si abbandona a un ottimismo ingenuo. È informato, legge molto, ama la storia: vuole un mondo diverso, e si dà la possibilità di immaginarlo non solo come un’utopia, ma come una realtà tangibile, in corso di attuazione.

Quando il vecchio è tramontato e il nuovo deve ancora nascere

Il futuro immaginato in Come ne usciremo è, in effetti, tangibile: la maggior parte dei saggi-racconti evoca nel lettore una sensazione di vicinanza spazio-temporale, dovuta alla riuscita commistione di elementi reali con elementi immaginati. Gli autori dei contributi hanno, insomma, preso degli aspetti della nostra realtà e ne hanno elaborato alcuni sviluppi non realizzati ma decisamente plausibili. Grazie a questa formula, il prodotto finale si mantiene equidistante sia dall’utopia che dalla distopia, che Fabio Deotto identifica come le due strade “indesiderate” che nella stesura si sarebbero potute involontariamente imboccare, togliendo così forza realistica ai racconti.

"Avevamo bisogno di trovare una via di mezzo [tra utopia e distopia]: pensavo, all’inizio, che ne sarebbe emerso un quadro più roseo, più positivo», ricorda lo scrittore. «Quando i pezzi hanno cominciato ad arrivare, mi sono reso conto che non andavano né verso la distopia né verso l’utopia, ma il mondo risultante dalla loro combinazione – quello che è poi diventato il 2040 di questo libro – era un mondo complesso. Immaginare che la transizione sia avvenuta – almeno sul versante energetico – ma che sia stata una transizione iniqua, che aveva lo scopo, neanche così velato, di conservare le strutture di potere esistenti, è infatti anche un modo per raccontare il presente. Abbiamo presentato, insomma, un futuro non del tutto compiuto, e quindi più simile all’oggi: adesso siamo evidentemente in una fase di passaggio, e per questo ho pensato che rappresentare non una transizione conclusa ma, anche nel futuro, una periodo di cambiamento, avrebbe potuto funzionare bene. Il titolo, “Come ne usciremo”, vale sia per gli autori che scrivono in quel futuro immaginato, sia per noi presenti".

Alcuni degli articoli che compongono l’antologia, raccolti dal Fabio del 2040 per suo nipote Michele come spunti di analisi sulla realtà, sembrano avvicinarsi a una distopia, ma raccontano situazioni che, negli ultimi mesi, si sono rivelate drammaticamente realistiche. "Per immaginare il futuro, è importante mostrare sia gli aspetti positivi che quelli negativi", sostiene Deotto. "Con il contributo di Angela Saini o con quello di Omar El Akkad, ad esempio, è accaduto che i loro racconti diventassero improvvisamente molto più aderenti alla realtà rispetto al momento in cui erano stati scritti". Ma, ancora una volta, il bilanciamento tra una narrazione ottimistica e una virante verso la distopia viene preservato. E lo dimostra anche la varietà di percezioni che questa lettura suscita: il curatore ricorda di aver ricevuto, poco dopo l’uscita del volume, alcuni commenti critici per l’eccessivo ottimismo del 2040 qui immaginato, e altri per aver tratteggiato un futuro troppo fosco: "L’apparente contraddizione di questi riscontri è molto interessante, perché suggerisce che la percezione del futuro, e quindi del presente, cambi radicalmente a seconda del punto di osservazione che si assume".

Saggistica speculativa: realismo immaginativo, o immaginazione realistica

La vicinanza emotiva che questa lettura genera, e che si esprime, tra l’altro, nella varietà di percezioni che il libro alimenta, è resa possibile da alcuni elementi caratteristici della saggistica speculativa. "La speculative non-fiction è un genere relativamente nuovo, che però esiste da tempo come esperimento letterario: ne è un esempio antesignano il romanzo “Golem XIV” del polacco Stanislaw Lem. Prima della pandemia, poi, sia l’Economist che il New York Times avevano pubblicato – pur dichiarando la natura finzionale di quei testi – degli editoriali dal futuro; altri testi che hanno esplorato questo genere sono andati molto più vicino al mondo della fantascienza, immaginando futuri lontani e contraddistinti da situazioni estreme. Tutti questi testi mi hanno spinto a ragionare sempre più spesso sul fatto che molti indizi sul futuro esistono già, ma ci risulta difficile vederli, non tanto perché siano invisibili ma piuttosto perché, come diceva Goethe, “Vediamo solo ciò di cui andiamo in cerca, e andiamo in cerca solo di ciò che conosciamo”.

"Ci sono diverse dinamiche – come la crisi climatica, ovviamente, ma anche le migrazioni e l'intelligenza artificiale, ad esempio – di cui conosciamo l’esistenza, ma ancora non vediamo del tutto gli effetti. Questi esistono in nuce, sono cuciti nel risvolto del presente, ma diventeranno tangibili soltanto nel futuro". Un esercizio letterario come la saggistica speculativa, che cuce tra loro molti elementi di realtà per trarne una trama immaginaria, ma realistica, permette di scoprire questi effetti possibili, di portarli alla luce. "Questo ci consente di immaginare un mondo che potrebbe essere molto diverso da com’è oggi – più sostenibile economicamente, ecologicamente, psicologicamente – e allo stesso tempo di sottrarci alla vaghezza tipica delle utopie, e di dare concretezza a questa proiezione attraverso una forma narrativa appropriata, che mescoli la saggistica e la finzione letteraria", sottolinea Fabio Deotto.

Come ne usciremo compie proprio questa operazione: offre una descrizione immaginaria ma realistica di come potrebbe essere il mondo del prossimo futuro. Sarebbe un mondo imperfetto, non del tutto desiderabile, ma proprio per questo realistico: un mondo che possiamo impegnarci a realizzare, facendolo persino migliore di come questi nove scrittori lo hanno immaginato.

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