UNIVERSITÀ E SCUOLA

Tagli al servizio civile nazionale, i volontari reclamano un futuro

La parabola ascendente del servizio civile nazionale, l’erede spirituale dell’obiezione di coscienza, sembra essersi chiusa. A confermarlo sono cinque anni di tagli lineari (appena mitigati dalla recente disponibilità del governo a un parziale rifinanziamento) che lasciano il segno. Fino a mettere in dubbio lo stesso futuro del servizio che ha da poco compiuto dieci anni. Se nel 2008 i volontari sono arrivati alla quota massima di 50.000, oggi sono scesi a poco più di 20.000. Solo all’università di Padova, che impiega circa un quinto dei volontari di tutto il Veneto, si è scesi dai 160 volontari del 2006 ai 101 attuali. Del resto le risorse economiche per finanziare i progetti a livello nazionale sono passate dai 299 milioni di euro dell’annata record ai 68,8 milioni dello scorso 2012: un taglio quasi dell’80%. 

Aperto a giovani dai 18 ai 28 anni, che per un anno fanno volontariato in istituzioni e associazioni del settore sociale e culturale, il servizio è nato con lo scopo dichiarato di sviluppare la partecipazione civica e la cittadinanza attiva. Per molti è anche l’occasione di fare un po’ di esperienza e aumentare la conoscenza di una realtà affine ai propri interessi in cambio di un contributo mensile di poco più di 400 euro. 

Sul versante delle organizzazioni che li ospitano, a pesare molto è il supporto che i volontari possono offrire in servizi essenziali, come quelli dell’assistenza alle persone, delle biblioteche o dei musei, solo per fare alcuni esempi. 

Se invece si misura l’utile in casa dei volontari, a colpire sono le risposte dell’indagine “Esperienza di Servizio civile nazionale e contenuti professionali” curato da Nicola De Carlo, Alessandra Falco e Luca Kravina dell’università di Padova su un campione di più di 900 ex volontari del Veneto. Al di là del risultato plebiscitario sulla positività dell’esperienza (98%), per il 61% degli ex volontari le attività svolta durante il servizio civile hanno dato effetti duraturi nel tempo. Ai primi posti di una speciale graduatoria di merito si segnalano la consapevolezza di essere maturato come persona, di aver accresciuto le capacità relazionali e quelle professionali. E nel 20% dei casi l’esperienza di servizio civile ha anche “garantito un concreto inserimento lavorativo”, nelle organizzazioni dove si era arrivati da volontari o comunque nello stesso settore di attività. Senza contare che il 34% delle persone dichiara di continuare il suo impegno in attività di volontariato o in gruppi di interesse civico.

“Siamo cittadini attivi”, conferma Giulia Rossi, delegata regionale dei volontari. Inoltre “il nostro impegno è pari a quello dei dipendenti. E siamo fondamentali per gli enti e le istituzioni dove prestiamo servizio: alcuni non potrebbero svolgere regolarmente la propria attività senza di noi”.

Per questo suona ancora più beffarda la norma della spending review che toglie loro la possibilità del buono pasto, riconoscendolo esclusivamente al personale contrattualizzato delle università. “Lo consideriamo un esempio dei tagli che subisce il servizio civile nazionale. Su questo stiamo avviando una campagna di sensibilizzazione e vogliamo coinvolgere Confesercenti ed Esu, l’azienda per il diritto allo studio, nella ricerca di una soluzione pratica.” Ma, conclude Giulia, “non intendiamo fermarci solo alla questione dei buoni pasto e vogliamo farne un discorso valido anche per chi arriverà dopo di noi. Di fronte ai tagli basterebbe chiedere: quanto vale un’attività a favore di minori e anziani? È il nostro capitale sociale”. 

Sicuramente poco valorizzato. Anche perché l’idea che il volontariato possa diventare, grazie alla sua vocazione formativa, uno strumento per favorire la successiva integrazione dei giovani nel mercato del lavoro si scontra sempre più con uno dei principali effetti della crisi economica.

I dati Istat parlano infatti di una disoccupazione giovanile nella fascia d’età 15-24 anni che ha toccato in Italia il 36,6%. Tradotto in persone significa 606.000 giovani in cerca di un lavoro. Una prospettiva che, anche allargata in chiave europea, non sembra migliorare troppo con 12 Paesi su 27 nell’Unione che registrano tassi di disoccupazione giovanile superiori al 25%. 

Peccato che “giovani priorità del Paese” sia scritto su tutti, ma proprio tutti, i programmi elettorali. Per il momento ha l’indiscutibile vantaggio di essere condiviso comodamente con un tweet.  

Carlo Calore

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