CULTURA

Dall'ira divina alla moderna scienza dei terremoti

In principio erano le ire divine, i capricci del tempo, gli strani comportamenti degli animali, l’allineamento bizzarro dei pianeti, fenomeni di ogni genere e forma. Era nella natura la colpa di tutto; nella natura e solo in questa si dovevano ricercare le ragioni dei terremoti. Fino a quel maledetto (e ‘benedetto’ per certi aspetti) primo novembre 1755 quando Lisbona (e altre zone) venne quasi totalmente distrutta da un violentissimo terremoto cui seguì uno tsunami altrettanto potente. Un fenomeno di così grande imponenza e rilevanza che segnò l’avvio della moderna sismologia, del ragionamento scientifico sui terremoti e insieme l’inizio del dibattito pubblico sul tema. Il sisma portoghese, infatti, non finì solo nelle ‘bocche’ di scrittori, filosofi e uomini di scienza ma per la prima volta anche della stampa giornalistica. Parla di questo e di molto altro ‘Sotto i nostri piedi – Storie di terremoti, scienziati e ciarlatani’ il testo, nella cinquina del Premio Galileo per la divulgazione scientifica, che Alessandro Amato, geologo e sismologo (e dirigente di ricerca dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia), presenterà martedì 21 marzo a Palazzo Moroni. E lo fa attraverso una scrittura agile, semplice, a tratti spiritosa, ma soprattutto completa e rigorosamente scientifica, capace di comunicare con chiarezza tanto agli esperti in materia quanto ai ‘non addetti ai lavori’.

Sono passati quasi tre secoli dal sisma portoghese (e oltre 2000 anni dalle più antiche teorie) ma la scienza dei terremoti oggi si può dire ancora molto giovane. Si studia e si fa ricerca in Italia e nel resto del mondo per trovare risposte, ogni volta più complete, più certe.

Di ipotesi sulle cause e sulla previsione dei terremoti ne sono state fatte e se ne fanno tuttora tante, a volte troppe, e a tutti i livelli. Non si rischia così di fare l’esatto contrario? Disinformazione pericolosa?

“Ci dovrebbe essere più vigilanza su chi fa informazione perché spesso dare notizie errate ai cittadini, soprattutto quando si parla di eventi così importanti, può creare problemi a chi ascolta ma anche a chi ha il compito di controllare, intervenire, soccorrere. Il terremoto dell’Aquila, e soprattutto quello che ne è seguito, ha forse segnato una svolta da questo punto di vista, soprattutto per tutti quegli organi che si occupano di valutazione. Abbiamo capito tutti di più l’importanza di comunicare in modo corretto per raggiungere più facilmente chi ascolta”.

La scienza e il suo linguaggio sono forse ancora troppo lontani dai ‘normali cittadini’? Chi dovrebbe fare di più per avvicinare questi due mondi?

“Sarebbe sufficiente una cultura scientifica di base con cui esercitare il senso critico e il dubbio per avere una coscienza maggiore con cui valutare determinate informazioni. E in questo senso la scuola può fare tanto. Oggi negli istituti si fanno tante cose, forse però ancora insufficienti. In generale c’è poca attenzione e poca sensibilità sul tema. Di solito ‘ci si attiva’ quando c’è un’emergenza poi, passata l’urgenza, ci si dimentica. Un’educazione ai rischi naturali e al terremoto sarebbe fondamentale a partire dalle scuole elementari. La difficoltà di avvicinarsi alla scienza, l’impossibilità di prevedere con certezza questi fenomeni, provoca in generale sfiducia? “Noi come Istituto facciamo visite, incontri con gli studenti e soprattutto abbiamo aumentato la nostra presenza nei social media; abbiamo creato una piattaforma (Ingv Terremoti) con cui cerchiamo ci comunicare, raccontare, spiegare i terremoti attraverso un canale più comune al pubblico. La partecipazione, l’interazione è un modo per generare fiducia nella scienza, e visto che spesso su questi canali si trovano ‘attori’ che per tante ragioni possono fuorviare le informazioni, abbiamo voluto essere in quei luoghi della comunicazione per dare risposte certe, sollecitare curiosità e reazioni”.

I terremoti non si possono prevedere né evitare, ma l’unica cosa certa che nel frattempo si può fare, per scongiurare morti, feriti e distruzione, è la prevenzione che molto spesso, invece, non si fa. E l’Italia ne è un esempio.

Nel suo libro parla, per l’Italia, di ‘storica incapacità di imparare dalle esperienze passate’.

“La nostra è una terra sismica, lo è sempre stata ma in pochi lo sanno. Ed è stata colpita ripetutamente, anche nel passato, da sismi violenti che hanno portato morte e distruzione esattamente come oggi. Nel nostro Paese, come in molte altre parti del mondo, la prevenzione è stata fatta spesso solo a seguito delle emergenze. Ma a volte basterebbe davvero poco. In un Paese come il nostro, considerato ‘museo a cielo aperto’ ci potrà mai essere equilibrio tra edilizia antisismica, tutela del patrimonio e insieme sostenibilità ambientale? La città di Norcia è un esempio illuminante in questo senso. Ad un anno dal terremoto, una legge del 1860 imponeva per la ricostruzione, il rispetto di alcune misure antisismiche; norme che ancora oggi con l’ultimo terremoto hanno consentito di non registrare alcuna vittima. È un esempio virtuoso che dimostra che, con attenzione e perseveranza, qualcosa si può fare anche nei centri storici più antichi. Il nostro Paese è complesso da questo punto di vista, è vero, ma credo che sfruttando le tecniche più moderne potremmo trovare un reale compromesso”. La difesa dai terremoti passa prima di tutto da noi stessi. Noi cittadini, che abbiamo il diritto di sapere ma anche il dovere di domandare. (…) incazziamoci, ma teniamo le orecchie e il cervello aperti, reagiamo. Informiamoci, poniamoci e poniamo domande, pretendiamo risposte’. 

Il libro si chiude con questo monito che lascia però ancora un dubbio: arriveremo mai a prevedere con adeguato anticipo un terremoto? “Mai dire mai. Non lo immagino per l’immediato futuro, ma forse tra 50 – 100 anni qualcosa di nuovo si saprà. Oggi vengono fatte osservazioni dallo spazio che solo 20 anni fa nemmeno potevamo immaginare, nella ricerca abbiamo fatto passi da gigante rispetto al passato. Io ho fiducia, anche se questo potrebbe non risolvere il problema se contemporaneamente non si fa prevenzione; ce ne facciamo poco se poi alla fine dobbiamo ogni volta ricostruire daccapo una città. Lavorare sullo studio e la ricerca e insieme nella prevenzione, è l’unica cosa che può dare qualche certezza”.

Francesca Forzan

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