UNIVERSITÀ E SCUOLA

Inghilterra: quanto costa il "pezzo di carta"?

Il sistema universitario non è un sistema di mercato, e considerarlo tale è profondamente scorretto. È questa l’opinione della britannica Higher education Commission, in un rapporto dedicato al finanziamento delle università inglesi. Anche se il brand ha un ruolo decisivo nella scelta dell’università da frequentare, gli studenti non sono infatti normali consumatori, e per loro c’è meno scelta di quanto si pensi: così introdurre “forze di mercato in un settore che non funziona come un mercato” non è per nulla una soluzione per il miglioramento del sistema universitario.

Tanta consapevolezza sembrerebbe una buona notizia. Quella meno buona sta invece nei conti che la Commissione fa in tasca alla riforma inglese che ha portato pochi anni fa alla lievitazione delle rette universitarie fino a 9.000 sterline l’anno. Conti che non cessano di far discutere e sono decisamente allarmanti: se nel 2013 si prevedeva che ben un terzo dei prestiti studenteschi destinati a coprire le rette non sarebbero mai stati ripagati, già nel 2014 le stime dell’IFS (Institute for fiscal studies) citate nel rapporto indicano come che il 73% degli studenti non ripagherà mai completamente il debito contratto. Inoltre essi si laureano oggi con un debito medio pro capite di 44.035 sterline contro le 24.754 precedenti alla riforma. I dati sfilano crudeli: il governo britannico ha erogato 7,4 miliardi di sterline nel 2012-13, che diventeranno 12 miliardi nel 2015-16; con un tale tasso di crescita, il totale della spesa per i prestiti d’onore passerà da 46 a 330 miliardi nel trentennio 2013-2044. Una cifra che renderà necessario un buon sistema di recupero crediti – parola della Commissione.

Di fatto – si commenta nel rapporto – il governo ha scelto di finanziare indirettamente l’università cancellando domani i debiti degli studenti anziché investire in maniera più diretta oggi. Il risultato è un sistema in cui il governo spende, ma senza alcun beneficio, arrivando a danneggiare anche “la percezione del valore pubblico associato all’educazione superiore”. E se è vero che continua a crescere il numero di studenti che si iscrivono all’università – per la laurea di primo ciclo – si assiste comunque a una diminuzione generale degli studenti part time o iscritti a corsi post lauream, un lento declino dalle conseguenze insidiose. In altre parole si iscrive chi cerca il “pezzo di carta”, mentre la vera istruzione superiore inizia a conoscere uno stallo.

Nulla di buono all’orizzonte, insomma, con gli atenei sempre più sotto pressione per reperire i fondi necessari a mantenere le strutture esistenti e a progettarne di nuove per accogliere i sempre più numerosi studenti. Trovare fondi – e anche gli atenei devono ricorrere ai prestiti, con tassi non agevoli  – diventa sempre più oneroso, aumentando il rischio dell’effettiva sostenibilità finanziaria delle istituzioni e del sistema stesso. Inoltre, si rileva come il tetto massimo per le rette, stabilito e congelato per legge, non sia così efficace e risolutivo come poteva sembrare: tenendo conto dell’inflazione, le 9.000 sterline fissate nel 2012 varranno in termini reali solo 8.250 sterline già a metà 2015. D’altro canto, la Commissione afferma chiaramente di “non aver avuto prove evidenti dagli atenei che l’erogazione di corsi di buona qualità costi davvero più di 9.000 sterline”.

Per trovare una via d’uscita, la Commissione offre ben 16 Raccomandazioni, strette tra principi e pragmatismo: tra queste, alcune prevedono anche la collaborazione obbligatoria degli atenei nel segnalare gli studenti che non ripagano il debito e la tracciabilità degli ex studenti debitori che si spostano all’estero. Raccomandazioni che si aggiungono a sei diverse proposte per finanziare il sistema, alternative tra loro e raccolte nei mesi di indagine del rapporto, con l’elencazione puntale dei  pro e dei contro.

Piacciano o non piacciano le opzioni proposte, per come stanno le cose ora l’alternativa è brutale e dichiarata. Chi ha usufruito dell’università quando non c’erano rette ha poi contribuito ai costi dell’educazione superiore pagando tasse elevate come cittadino; chi entra all’università oggi contribuisce due volte, pagando le rette ora e le tasse poi; chi si iscriverà tra 10 anni contribuirà tre volte, pagando le rette prima, le tasse poi, e infine ripianando i debiti non ripagati di chi li ha preceduti. Un patto tra generazioni decisamente a senso unico. Sempre che non si ritorni a pensare all'istruzione come a un vero investimento.

C.G.

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