SOCIETÀ

Il mecenatismo e la “chiamata alle arti”

“Senza cultura non sarebbe possibile impegnarsi in azioni di economia o governo. La cultura viene a monte dei mercati e dei governi. Li precede”. Leopoldo Armellini, direttore del conservatorio Pollini di Padova, parafrasando l’economista Jeremy Rifkin, apre una discussione sul mecenatismo per le arti e la cultura nel senso più ampio possibile, sul suo significato e sulla necessità di ridefinirlo in chiave contemporanea. Un mecenatismo privato là dove lo Stato non riesca a finanziare iniziative volte a tutelare l’enorme ricchezza artistica italiana, unito ad  azioni che siano o producano arte. Un ritorno della cultura alle persone, che si fanno contemporaneamente promotrici e fruitrici, coinvolte in un circolo virtuoso.

Senza però dimenticare l’enorme differenza che possono fare azioni di governo mirate. E allora ci si ritrova a citare il Federal One di Frank Delano Roosvelt, grandioso progetto inaugurato all’interno del New Deal per garantire fondi a favore di letteratura, teatro, musica, arte, archivi e biblioteche.

Ma quella è America. Alla parola “mecenatismo”, in Italia, siamo abituati a guardarci ancora più indietro nel tempo, come se il termine si fosse esaurito nella trattatistica del XVI secolo, quando perfino Antonio da Sangallo lamentava la carenza di committenze illuminate e Ariosto protestava perché riteneva di non essere pagato a sufficienza. Ma “sempre nell’antica trattatistica, soprattutto veneziana”, sottolinea Giovanna Valenzano, prorettore al patrimonio artistico, musei e biblioteche dell’università di Padova, “compare il riconoscimento di un fenomeno non confinato ai signori dominanti, e che si allarga invece alla classe dei borghesi. A Padova fu Enrico Scrovegni, committente laico per eccellenza, a impersonare questo moderno mecenatismo: perché la sua cappella è ben lontana dall’essere l’oggetto di espiazione di cui tradizionalmente si racconta; è invece il frutto della sua opera di prestatore - non di usuraio - per la realizzazione di grandi opere. Lo Scrovegni ricopriva così già secoli fa il ruolo che oggi assegnamo alle fondazioni”. 

Ne esce una storia, una tradizione, che può insegnare a definire un mecenatismo attuale, fatto di sforzi borghesi e cooperazione sociale. Un po’ quello che accadeva nel Medioevo, quando nella cattedrale di Piacenza ciascun pilastro veniva finanziato dalle singole corporazioni cittadine; e a Chartres, dove le straordinarie vetrate gotiche venivano finanziate esattamente allo stesso modo, tanto che fu la corporazione delle prostitute a donare la vetrata dedicata alla Maddalena.

L’attualità di queste operazioni anticipa di secoli forme di cooperazione contemporanee basate sulla somma di piccoli contributi per la raccolta di somme impegnative e la restituzione di opere collettive, in un processo di riappropriazione della cultura. Insomma, il crowdfunding non è nato oggi.

Invece proprio in questo esatto momento, sottolinea Andrea Erri, direttore amministrativo della Fondazione Teatro La Fenice di Venezia, “le istituzioni stanno vivendo un passaggio culturale e quindi organizzativo. Non c’è momento migliore, dunque, per ridefinire nuovi sistemi di fund rising che non attingano esclusivamente a grandi fonti isolate, pubbliche o private”. E che pongano l’accento nel differenziare i contributi. “C’è spazio per fare strada a una cultura organizzativa che si sviluppi in una dimensione etica e definisca i limiti entro cui muoversi senza correre il rischio di perdere la propria mission”. È un atteggiamento, questo, che richiede il contributo di professionalità che si muovano oltre le consuete mansioni amministrative o di produzione di contenuti per occuparsi, ad esempio, anche di scouting. “Perché prima di chiedere soldi dobbiamo chiederci cosa possiamo dare in cambio”.

Nonostante il nostro Paese conti un numero impressionante di siti Unesco, ben 51, rappresenta anche il fanalino di coda in Europa per i finanziamenti. Nella classifica dei migliori beneficiari dei fondi strutturali  della Commissione Europea per il periodo 2007-2013 l’Italia è quart’ultima nella UE-27, alla pari con la Grecia e appena sopra Bulgaria e Romania. Fra gli strumenti che il nostro governo mette a disposizione c’è l’Art bonus, che consente un credito di imposta pari al 65% dell’importo donato a chi effettua erogazioni liberali a sostegno del patrimonio culturale pubblico italiano, in questo momento anche a favore del patrimonio culturale colpito dagli eventi sismici che hanno colpito l’Italia a partire dal 24 agosto 2016. Mecenati di oggi per l’Italia di domani  recita il sito web dell’Art bonus: una “chiamata alle arti”. È una battaglia da combattere in prima persona. Anzi, in tante molte numerosissime singole persone. 

Chiara Mezzalira

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