CULTURA

L’arte: una finestra sul pianeta

Negli ultimi anni si è andato sviluppando un dialogo fecondo tra il mondo dell’arte e le questioni ambientali, in particolare legate al problema del cambiamento climatico. L’arte ha un potere fondamentale, che la distingue dalle altre forme di comunicazione: la possibilità di visualizzazione, di rendere tangibile ciò che ancora non lo è, afferrare il problema e imporlo davanti agli occhi di chi guarda. Così l’arte può essere uno strumento per immaginare altri futuri desiderabili, altre strade da percorrere, facendo i conti con la realtà contemporanea.

Per comprendere le caratteristiche di questo dialogo, è importante cercare di individuare quale sia stato il momento in cui è maturata una coscienza collettiva del problema del cambiamento climatico a tal punto da coinvolgerlo all’interno del mondo dell’arte. Il punto di svolta sono stati gli anni Sessanta del secolo scorso e il convergere di diversi fattori: l'incrocio tra le controculture giovanili, la ricerca accademica di tipo ecologico e lo sviluppo della Land art.

Negli anni in cui i simboli del progresso erano il cemento, le metropoli americane, l’alienazione urbana, si sviluppa una filosofia di ritorno alla natura, di ripresa di contatto con l’umano, legata alla critica del mondo contemporaneo. Si tratta di quella che Francesco Ronzon, antropologo e direttore dell’Accademia di Belle Arti di Verona, definisce “l’onda di rimbalzo” ispirata ai trascendalisti americani, che si oppone alle nuove tecnologie e al nuovo stile di vita che si vanno affermando in quegli anni.

Nel 1962 Rachel Carlson, biologa e zoologa statunitense, madre dell'ambientalismo americano, pubblica Primavera silenziosa, manifesto antesignano del movimento ambientalista che sancisce l’importanza della scienza e della tecnologia per il progresso, ma anche la necessità di vivere in un ambiente sano, perché il rischio è quello di alterare gli equilibri naturali. Esplorando le connessioni ambientali, il mondo accademico si fa così portatore di queste istanze, che sono al contempo etiche e politiche.

Il terzo elemento di svolta è, infine, lo svilupparsi del movimento della Land art che, sull’onda lunga delle avanguardie storiche, aggiunge la profonda insoddisfazione per il mondo delle gallerie d’arte: “La galleria è una forma neutra che uccide l'opera - racconta Ronzon- perché la mette in questo spazio astratto che non è più uno spazio vissuto: l'opera deve ri-intrecciarsi con la vita delle persone, quindi uscire dalla galleria e ripopolare l'ambiente”.

Qualche anno dopo, precisamente nel 1979, Hans Jonas, uno degli iniziatori del dibattito bioetico e tra i massimi specialisti dello gnosticismo, pubblicherà Il principio di responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica. Il lavoro di Jonas diviene centrale nel delineare un’etica orientata al futuro, in nome della salvaguardia dell’uomo: la responsabilità umana non si limita solo alla società presente, ma si estende alle generazioni future e al pianeta.

Tutti questi fattori concorrono alla nascita di una diversa visione del mondo, che evolve, come racconta Ronzon, dal concetto di “l’uomo al centro della natura” a quello di “la natura superiore all’uomo”, fino a giungere, nei casi dell’ambientalismo più radicale, all’idea che la specie umana sia in definitiva irrilevante rispetto all’equilibrio dell’universo.

“Si parla di metastabilità – afferma Ronzon – noi cambiamo, ma a livello di insieme non ci disgreghiamo, continuiamo a essere un'unità. Ecco, la stessa cosa valer per gli ecosistemi. Un ecosistema in equilibrio si ha quando tutte le dinamiche interne tendono a riprodurne l'esistenza. Quando una variabile si modifica, il sistema collassa su sé stesso. Pensiamo per esempio all'inquinamento”. 

Ad aver rappresentato alla perfezione questo cambiamento di prospettiva è Andreco, artista romano le cui opere sono una sintesi dello spostamento verso una visione ecocentrica del mondo e non più antropocentrica. I suoi progetti sono un tributo agli ecosistemi, alla rappresentazione del non-umano, del mondo senza l’uomo. Nel 2015 dà avvio a Climate art project: un progetto multidisciplinare che prevede parti di ricerca, raccolta dati, produzione artistica, si concretizza in una serie di interventi in diverse città europee: installazioni nello spazio urbano, dipinti murali e seminari che legano la disciplina artistica a quella scientifica in un dialogo fecondo. Interiorizzando quello che Jonas definiva "il coraggio della responsabilità", Andreco costruisce, attraverso l’atto artistico, un’azione per la giustizia climatica e la giustizia sociale, con il proposito di aumentare la consapevolezza sul riscaldamento globale e diffondere soluzioni fondate sulla natura.

Altre due espressioni diverse di interiorizzazione e conseguente ri-esternalizzazione di un’etica ambientalista si incarnano nelle opere di Isaac Cordal e Eve Mosher.

Isaac Cordal, artista visivo galiziano, ha fatto della scultura e della fotografia il suo linguaggio per dialogare con le grandi questioni del nostro tempo, in particolare il cambiamento climatico e le politiche ambientali. Il suo lavoro è una grande metafora del collasso del capitalismo e degli effetti collaterali del progresso: si tratta di interventi temporanei, come la serie sviluppata nel 2012, Waiting for Climate Change, in cui Cordal raffigura i politici come piccole sculture (non più alte di 15 centimetri) semi-sommerse dall'acqua e li colloca in posti inconsueti delle città. Le sculture riproducono la passività di una classe dirigente sempre più distante dalla realtà quotidiana. Lo spazio urbano, insieme alle dimensioni e alla collocazione delle opere, diventano metafora della pochezza e dell’inefficacia delle politiche ambientali contemporanee.

Un linguaggio ancora differente è quello adottato da Eve Mosher, artista americana, che ha fatto dell’arte partecipativa la chiave per comunicare la necessità di una consapevolezza ecologica: il pubblico diviene co-autore nel processo creativo, in un rapporto tra autore, opera d’arte e spettatore che si concretizza nella responsabilizzazione dell’uomo.

Il lavoro di Mosher in questo senso più rilevante è High Waterline, progetto nato nel 2007 a New York come arte performativa: l’artista ha tracciato una linea di gesso blu a 3 metri sopra il livello del mare per le strade della città, segnando più di 70 miglia di costa che sarebbero interessate da un aumento delle inondazioni causate dal cambiamento climatico.

La posizione della linea è individuata su mappature e dati statistici e trasporta l'arte direttamente alla comunità, creando conversazioni con le persone che vivono le aree minacciate dagli effetti del cambiamento climatico.

High Waterline è una vivida previsione di come diventeranno le nostre città e come le nostre vite cambieranno con il riscaldamento climatico; proprio in questo si riflette la forza e l’efficacia dell’arte partecipativa.

La rielaborazione artistica del principio di responsabilità umano si traduce, dunque, nella ricerca di un linguaggio efficace che possa fungere da specchio critico della società, che deve però al contempo essere in grado di recepire il significato di quello specifico linguaggio. Francesco Ronzon sottolinea che, affinché l'arte abbia un impatto significativo sulla coscienza delle persone, è necessario scovare un linguaggio che possa superare la crisi valoriale che permea l'epoca contemporanea. 

Perché come sosteneva in Teoria estetica Theodor Adorno, uno dei principali filosofi della scuola di Francoforte, l’arte ha un carattere duplice: è al contempo autonoma ed un fatto sociale; se oggi l’opera d’arte vuole rivendicare il suo diritto all’esistenza, deve parlare al mondo e metterlo in discussione.

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