SOCIETÀ

Un mondo senza vaccini? Sarebbe a rischio

Isaac Starr la considera una delle tre epidemie umane più devastanti insieme alla peste di Giustiniano del VI secolo dopo Cristo e alla morte nera del XIV secolo. Joseph Waring la definisce il più grande “olocausto medico” della storia. Si tratta della Spagnola, un’epidemia di influenza che scoppiò nel 1918 e che si diffuse in tutto il mondo causando circa 50 milioni di morti. A 100 anni esatti di distanza, quel momento storico – insieme ad altri nel corso dei secoli – deve far riflettere sull’importanza della prevenzione delle infezioni virali con la vaccinazione. Un tema, invece, dibattuto e controverso soprattutto negli ultimi tempi che ha visto recentemente lo Stato prendere posizione con l’introduzione dell’obbligo vaccinale, a fronte di una significativa diminuzione delle vaccinazioni: in Italia lo scorso anno i livelli di copertura si sono attestati al di sotto della soglia del 95% raccomandata dall’Organizzazione mondiale della Sanità. Le cause che stanno alla base della ridotta copertura vaccinale sono molteplici, dal diffondersi di movimenti di opposizione alle vaccinazioni, alla scarsa consapevolezza degli effetti benefici delle vaccinazioni per la salute, alla falsa correlazione tra vaccini e l’insorgere di alcune malattie come l’autismo. Non ultimo, gioca un ruolo importante anche la scarsa percezione dei rischi legati alle malattie infettive: oggi la mancanza di contatti diretti con persone sfregiate dal vaiolo o offese dalla poliomielite riduce la percezione sociale del rischio e induce le persone a considerare alcune patologie ormai lontane o debellate. Non è così, tuttavia, e abbassare la guardia potrebbe risultare pericoloso. 

“Le malattie infettive contro cui la scienza medica ha sviluppato i vaccini non sono affatto sconfitte –  spiega il paleopatologo Francesco Maria Galassi nel suo ultimo libro, Un mondo senza vaccini? La vera storia (Gruppo C1V Edizioni 2017) –. Solo uno di questi agenti patogeni è stato definitivamente eradicato: il virus del vaiolo, come dichiarato dall’Oms nel 1980, con l’ultimo caso diagnosticato nel 1977 in Somalia”. Risultato che ha indotto l’Italia ad abrogare la vaccinazione obbligatoria nel 1981. “È necessario – continua Galassi – condurre un’opera di persuasione che riporti le persone, soprattutto tramite la lezione della storia, a riconsiderare l’impatto delle malattie infettive sulle popolazioni e quello che è stato il vantaggio enorme e indiscutibile dell’introduzione delle vaccinazioni negli ultimi duecento anni”.  

Con un viaggio che parte dall’antichità e attraversa il Medioevo fino ad arrivare ai giorni nostri, Galassi descrive l’impatto di malattie infettive come vaiolo, poliomielite, tetano, morbillo, pertosse, difterite e tubercolosi prima dell’introduzione delle vaccinazioni, ricordando quali sono i rischi reali causati da queste patologie. Prendiamo il morbillo: sebbene si presenti come una eruzione cutanea che non determina gravi conseguenze, in alcuni casi può rivelarsi fatale e portare a complicazioni come l’encefalite morbillosa o la perdita dell’udito. Apparsa dopo il VI secolo dopo Cristo, fu certamente presente in Europa a partire dal Cinquecento. Divenne via via più letale fino alla fine del Settecento, causando gravi epidemie come quella del 1718 e del 1733 che determinarono la morte di migliaia di persone. In America, durante la guerra di secessione (1861-1865) i registri medici dell’esercito unionista riportano 5.000 decessi su 75.000 soldati che avevano contratto la malattia. Si dovrà attendere il 1961 per avere a disposizione un vaccino, messo a punto dallo scienziato statunitense John Franklin Enders.

Il mondo prima dei vaccini era caratterizzato da un netto prevalere della malattia sulla medicina. Oggi quando si parla di distruzione di massa di intere popolazioni, si immaginano eventi catastrofici, guerre di sterminio, ordigni nucleari. Eppure, Galassi sottolinea che i quasi due milioni di morti del genocidio cambogiano sotto la dittatura di Pol Pot (1925-1998), o i cinquanta milioni di morti della seconda guerra mondiale, sono numeri inferiori ai 300-500 milioni di vittime causate dal vaiolo nel solo corso del XX secolo. Le epidemie di vaiolo, che lasciava deturpati dalle cicatrici quando si riusciva a sopravvivere, iniziarono a uccidere migliaia di persone in Europa a partire dal Seicento (prima pare non fosse così virulento). Lo stesso stava accadendo già da alcuni anni anche in America, dove l’agente patogeno responsabile della malattia era stato trasferito dai conquistadores. In Messico, per fare un esempio, l’epidemia del 1520 provocò circa due milioni di decessi in due anni (se si considera il numero minimo stimato), che equivale a 10-20 volte i morti causati dalle due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki nel 1945 (100.000-200.000 persone). Merito di Edward Jenner aver aperto la strada alla vaccinazione alla fine del Settecento, secolo in cui riuscì a immunizzare i primi pazienti contro il vaiolo.  

Tra le malattie prese in esame da Galassi, anche la difterite era particolarmente temuta prima dell’avvento dei vaccini, soprattutto nei bambini. La malattia colpisce l’apparato respiratorio e può portare al soffocamento e alla morte, oltre che provocare danni irreversibili anche ad altri organi. L’epidemia avvenuta in Spagna nel 1613 è ancora oggi ricordata come “El año de los garrotillos”, l’anno degli strangolamenti, e tra XVI e XVII non furono risparmiate dalle ondate epidemiche nemmeno Francia, Inghilterra e Italia. Prima dell’introduzione del siero antidifterico da parte di Emil von Behring all’inizio degli anni Novanta dell’Ottocento, circa la metà dei bambini ricoverati per difterite negli ospedali europei moriva.

Quelli illustrati da Francesco Maria Galassi sono numeri che fanno riflettere, specie se si considera che l’introduzione delle vaccinazioni ha consentito una vera e propria inversione di rotta nella lotta a queste malattie. Sempre che non si abbassi la guardia. “Gli antichi nemici – conclude l’autore – i patogeni, batteri e virus, sono sempre lì, indeboliti, grandemente diminuiti nel potenziale mortifero, ma sempre pronti a riconquistare lo spazio che hanno avuto nel mondo per millenni […]. Se accantoniamo la scienza e la ragione, il mondo antico con le sue pestilenze potrebbe tornare rapidamente. Quello che la tecnica e il progresso hanno sottratto alla natura selvaggia, la natura selvaggia è pronta a riprendersi con la forza”.

Monica Panetto

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