Foto: Asac - La Biennale Di Venezia
Alcuni film hanno una storia tormentata: sono sempre in procinto di uscire ma poi qualcosa va storto e la data slitta. E non succede solo alle pellicole minori, penalizzate dai meccanismi di distribuzione: questa volta è successo anche a un film che nel il cast vedeva attori come Donald Sutherland, Tommy Lee Jones, Liv Tyler e Brad Pitt. Naturalmente parliamo di Ad Astra, di James Gray, che doveva uscire a maggio ma che ha invece debuttato alla mostra del cinema di Venezia il 29 agosto 2019 e che uscirà nelle sale il 26 settembre. Se da una parte la Fox era stata comprata dalla Disney, e non sarebbe stato carino verso Guy Ritchie far uscire un film con un cast del genere in contemporanea al suo Aladdin, dall’altra Gray era piuttosto incontentabile quando si parlava di effetti speciali, quindi il montaggio del film ha richiesto più tempo: del resto poco male, se questo ti permette di figurare tra i film in concorso a Venezia 76.
La storia è ambientata “in un prossimo futuro” non meglio precisato. Inizialmente sembrano i giorni nostri (del resto il prossimo futuro potrebbe essere anche tra un mese), ma man mano che il film va avanti ci si rende conto che è un po’ meno prossimo di quanto pensi lo spettatore: la Luna è quasi una meta turistica, o almeno lo è il suo lato visibile, e su Marte nascono normalmente esseri umani, che visitano la Terra con lo stesso spirito di un americano che va a farsi un giro a Venezia.
E già qui il film comincia a scricchiolare: sicuramente l’intento di regia e sceneggiatura era quello di far precipitare senza preavviso lo spettatore in questo futuro prossimo (missione compiuta), ma francamente non sembra immaginabile che, in un’epoca in cui i viaggi (non ancora umani) attraverso il Sistema Solare sono un po’ all’ordine del giorno, sulla Terra il massimo livello di tecnologia rilevato sia quello di dettare un messaggio a un'assistente vocale. Non potendo salvare capra e cavoli (effetto sorpresa e plausibilità di genere) gli sceneggiatori (Ethan Gross e lo stesso Gray) scelgono il colpo di scena. Ed è molto indicativo: è il primo sintomo che suggerisce che Ad Astra non è un film di fantascienza, ma più semplicemente un film drammatico ambientato nello Spazio.
E non ci sarebbe niente di male, purché lo spettatore venga avvisato prima: perché se si cerca un film sullo stile di Interstellar non ci si dovrebbe far ingannare da navicelle e tute spaziali, perché di fantascientifico questa pellicola ha solo l'ambientazione. Ad Astra, a dispetto del titolo, è soprattutto introspezione psicologica. La storia è quella di Roy McBride (Pitt), un astronauta di successo con comprensibili manie di controllo e un’anaffettività che gli rende difficoltoso ogni legame. Si potrebbe scomodare il complesso freudiano, visto che suo padre (Lee Jones) è stato a sua volta un astronauta, nonché un eroe interplanetario conosciuto da tutti, morto durante un viaggio spaziale alla ricerca di nuove forme di vita. Un giorno, però, McBride junior viene convocato per una missione segreta volta a recuperare proprio suo padre, che a quanto pare non è morto, ma è disperso da qualche parte su Saturno, da anni. McBride viene anche messo in guardia dal personaggio interpretato da Shuterland, che ha un malore subito dopo: i vertici non gli stanno dicendo tutto. McBride in seguito si informa sulle sue condizioni di salute: lo stanno operando d’urgenza. Poi, però, sia il protagonista che il pubblico perde le tracce di quello che sembrava essere un personaggio chiave.
Nel complesso, Ad Astra ha il grosso difetto di essere un film troppo ambizioso: viene usato pregevolmente il meccanismo della fantascienza, e si ammicca senza troppi scrupoli al thriller, che però non viene sviluppato se non di sfuggita: nel complesso ha un po’ il sapore di un’occasione persa; la sceneggiatura è quella di un film drammatico, e in quest’ottica i bellissimi effetti speciali suonano un po’ sprecati. La storia, di per sé, avrebbe retto benissimo anche se padre e figlio fossero stati agenti dell’FBI e non astronauti, mentre i soliloqui di McBride rallentano senza remore il ritmo di un film che sulla carta avrebbe richiesto più azione.
Senza infamia e senza lode la regia: molti i déjà vu, ma Gray ha dichiarato con onestà i suoi riferimenti (2001: Odissea nello spazio e Apocalypse now) e quando si è parlato di intenti il regista stesso ha detto che voleva trattare in modo diverso il rapporto padre/figlio, mescolando i generi per far uscire qualcosa di originale. Magari ci sarebbe anche riuscito, se il film fosse durato quattro ore e non si fosse pestato così tanto sul pedale dell’introspezione, visto che gli spunti erano potenzialmente interessanti. Ma, costruita così, la pellicola si può consigliare solo agli amanti degli effetti speciali e a chi apprezza le performance attoriali di pregio (del resto con un cast del genere si giocava facile, e Pitt in particolare riesce ad essere molto più espressivo del suo asettico personaggio). Per quanto riguarda la storia, Ad Astra rimane un film senza target, che sembra voler “sparare nel mucchio” e colpire gli appassionati di fantascienza, thriller e film drammatici ma che finisce per lasciare quasi tutti con l’amaro in bocca.