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Istrana, 2023. Foto di Alessandro Frasson
Henri Cartier-Bresson, “l’occhio del secolo”, il padre della street photography, sosteneva che per scattare una buona fotografia fossero necessarie due cose: un’adeguata preparazione tecnica ed una buona intuizione. Sosteneva l’esistenza di un attimo decisivo, di un istante perfetto: il momento in cui “testa, occhi e cuore si trovano sullo stesso asse”. Per comprendere cosa sia l’atto fotografico, Cartier-Bresson consigliava di leggere Lo zen e il tiro con l’arco, di Eugen Herrigel (Adelphi, 1948): esiste un momento giusto, un momento perfetto in cui bisogna premere il pulsante dell’otturatore e scattare la fotografia. Il lavoro del fotografo è esattamente sapere riconoscere quell’istante, immergendosi nella vita che lo circonda. Angelo Maggi ha descritto l’atto fotografico come l’immortalare un living instant: la street photography altro non è che un filo teso tra l’occhio del fotografo e la realtà, uno strumento di mediazione culturale che mette in risalto la condizione dell’uomo, perché immortalare la quotidianità è un atto di autenticità dell’esperienza umana, un mezzo per estrapolare la straordinarietà dell’uomo nella sua semplicità, un oggetto per interrogare il mondo e comunicare con esso.
La street photography viene riconosciuta come genere nel 1994, grazie a Bystander: a history of street photography, un libro di Collin Westerbeck e Joel Meyerowitz. Ma la fotografia di strada, come indagine dell’umano, esiste da quando è nata la fotografia: prima del 1994 aveva semplicemente altri nomi.
In concomitanza con il riconoscimento della street come vero e proprio genere fotografico, nasce in Italia il primo collettivo di street photography nazionale ed europeo: il collettivo Mignon, di cui abbiamo intervistato parte degli attuali componenti (Fatima Abbadi, Ferdinando Fasolo, Giampaolo Romagnosi e Davide Scapin).
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Amman, 2024. Foto di Fatima Abbadi
Nel 1995 Giampaolo Romagnosi propone a Mauro Minotto e Angelo Tassitano di avviare un “progetto fotografico finalizzato alla rivalutazione delle piccole cose che appartengono alla quotidianità e che raccontano l’appartenenza dell’individuo alla grande famiglia dell’uomo”.
Giampaolo Romagnosi racconta di un’idea di fotografia profondamente ancorata alla tradizione fotografica, sia per i suoi riferimenti storici che per i mezzi utilizzati: l’influenza della fotografia umanista europea, così come quella della street photography americana, dettano le regole per uno stile intimo, sensibile, in cui i principi compositivi sembrano derivare dalla raffigurazione pittorica fiamminga: come in un quadro di Jan van Eyck, i Mignon entrano nella fotografia, riflettendosi nello sguardo della persona ritratta.
“All’epoca, per fare fotografia di un certo livello – spiega ancora Romagnosi - dovevi come minimo fare parte di un fotoclub, fare dei corsi. Andavano molto di moda le diapositive a colori: andavi in un fotoclub e vedevi centinaia, se non migliaia di diapositive a colori. Poi è arrivato Salgado che con La mano dell’uomo e il bianco e nero ha segnato una svolta epocale. Però la camera oscura stava scomparendo, rimpiazzata dal digitale”.
Così è andato in cerca di compagni per quel viaggio che è Mignon, alla ricerca di autori che condividessero un’affinità fotografica.
Perché, nonostante “occuparsi di fotografia con taglio umanista in bianco e nero analogico sembrasse anacronistico”, si tratta di una questione di linguaggio: la capacità di “andare oltre”, di raccontare l’uomo nella sua semplicità ed affermare la sua dignità attraverso un gesto di rispetto; perché a contraddistinguere le fotografie di ciascuno dei fotografi di Mignon è proprio il rispetto per il soggetto con cui stanno interagendo.
Ferdinando Fasolo sottolinea fermamente: “Per il nostro modo di fare, le foto che scegliamo di scattare sono quelle che non raccontano il disagio, le difficoltà. Vedrai solo foto di persone che sorridono felici, che portano avanti le loro vite, perché questo è il segnale che ci interessa dare”.
Ed in questo non c’è niente di anacronistico o che vada in controtendenza rispetto al genere fotografico, piuttosto è la continuazione di una tradizione, quella umana e della ricerca dell’altro che diviene ricerca interiore. Perché fare street photography è omaggiare ogni sconosciuto quando gli si scatta una fotografia.
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Venezia, 2021. Foto di Davide Scapin
Mignon si pone da 30 anni come un discorso fotografico omogeneo e corale, il cui obiettivo è la creazione di un’identità trasversale e altra rispetto ai singoli, che si nutre al contempo dell’apporto di ciascuno di loro.
Fondamentale è stato l’ingresso nel 2007 di Fatima Abbadi, fotografa italo-giordano-palestinese, che ha aperto le porte di mondi lontani a tutto il gruppo Mignon.
Il contributo di Fatima è culminato quest’anno nell’ultimo libro fotografico collettivo: Jordan, un vero e proprio omaggio al popolo giordano, metafora di un rapporto autentico con la natura e con l’umano.
Jordan è il simbolo del lavoro trentennale di Mignon: il ritorno al rispetto dell’uomo, in un’epoca di superficialità; un modo associativo di fare cultura, in un momento storico in cui l’individualità fa da padrona.
Fasolo racconta difatti come con l’avvento della fotografia digitale, e successivamente degli smartphone, la fotografia di strada sia diventata essenzialmente una moda e rischi così di “bruciarsi”, perché “stiamo producendo troppe immagini e non diamo più valore a nessuna. È necessario imparare studiando, andando a fondo, facendo fatica.” E Mignon è proprio questo: incessante studio, passione, approfondimento della storia della fotografia, per combattere la volatilità che hanno acquisito oggi le immagini e difendere la street photography come modo di dialogare con il mondo, lasciandosi attraversare dalla sua vitalità.
In occasione dei 30 anni del collettivo Mignon, sono state inaugurate a Padova 3 mostre per ammirare il percorso espressivo del gruppo, in esposizione dal 22 febbraio al 4 maggio 2025: alle scuderie di Palazzo Moroni è ospitata la mostra Jordan, un omaggio al popolo giordano (dal 22 febbraio al 6 aprile); all’interno della Sala della Gran Guardia è ospitata la mostra Riconosco me stesso negli occhi di ogni sconosciuto (dal 22 febbraio al 4 maggio); mentre all’interno della Galleria Samonà si tiene la terza mostra: 30 Mignon fotografia. Trent’anni di passione (dal 22 febbraio al 30 marzo).