SCIENZA E RICERCA

Decriptare il cervello umano: la sfida dello Human Brain Project

Mille miliardi di neuroni e un numero ancora più alto di connessioni tra questi: tale è la misura della complessità del nostro cervello, l’organo che racchiude il segreto della nostra umanità. D’altronde, la complessità del cervello umano non è soltanto anatomica, ma anche funzionale: una delle più grandi sfide delle neuroscienze è infatti comprendere come le diverse parti interagiscano fra loro (a livello di micro-, meso- e macroscala) e, soprattutto, in che modo da questa interazione emerga un sistema complesso come quello che osserviamo nella nostra specie.

Dare risposta a simili quesiti è oggi l’obiettivo di moltissimi scienziati, coinvolti in imponenti progetti di ricerca che sfruttano le più innovative conoscenze e tecnologie per far luce su questo ambito ancora ricco di incognite. Sono sempre più numerosi i programmi di ricerca finanziati pubblicamente dedicati alle neuroscienze: tra i più importanti vi è, ad esempio, la BRAIN Initiative Map statunitense, lanciata nel 2013 dall’allora presidente Obama. Questa, tuttavia, era stata preceduta da un altro progetto internazionale e pubblico, assolutamente innovativo nei metodi e negli obiettivo: si tratta dello Human Brain Project (HBP) europeo, uno dei primi – e più estesi – programmi di ricerca interamente dedicati alla comprensione del cervello umano.

Il progetto europeo è un unicum nel suo genere per diverse ragioni: prima di tutto, per la mole di denaro stanziato (circa 1 miliardo di euro nel corso dei dieci anni di progetto); secondariamente, per la durata decennale, una lunghezza inusitata per un programma di ricerca, che di solito dura dai tre ai cinque anni; infine, per l’estensione delle collaborazioni che lo compongono: nel 2013, all’avvio del lavoro, erano coinvolti 87 laboratori in tutta Europa, numero che nel corso del tempo è cresciuto, superando ad oggi il centinaio di unità.

Lo Human Brain Project – che ormai volge al termine – nasce nel 2013 dalla visionaria idea del suo principale promotore, il neuroscienziato Henry Markram; l’obiettivo del progetto è la creazione, entro il 2023, di una simulazione completa in silico del funzionamento del cervello umano attraverso l’implementazione di supercomputer che siano in grado di processare un’enorme mole di informazioni e ricreare la complessità multiscalare del cervello umano.

L'intervista completa al prof. Egidio D'Angelo. Servizio di Sofia Belardinelli, montaggio di Barbara Paknazar

«A differenza della BRAIN Initiative Map, caratterizzata da un’impronta decisamente sperimentale, HBP riserva un’attenzione decisamente maggiore alla dimensione tecnologica e digitale», spiega a Il Bo Live Egidio D’Angelo, professore ordinario di Fisiologia all’università di Pavia, Principal Investigator di una delle unità italiane di HBP e codirettore del Brain Modeling, uno dei settori centrali dell’intero progetto.

Proprio per questa forte componente tecnologica, soprattutto nei suoi primi anni di vita il progetto ha subìto aspre critiche, provenienti dall’opinione pubblica e da una parte della comunità scientifica. La principale obiezione che veniva mossa riguardava la fattibilità stessa del progetto: creare una simulazione computerizzata dell’intero cervello umano sembrava infatti una chimera. Come ricorda D’Angelo, «uno dei motivi per cui il progetto ha ricevuto molte critiche è la grande copertura mediatica che lo ha interessato, inusuale per un progetto di ricerca scientifica. E, a posteriori, è un bene che quelle critiche siano state sollevate: questo ha permesso di migliorare la struttura tecnica e organizzativa del progetto. Il punto è che si tratta di un progetto impostato in maniera decisamente complessa, in quanto affronta la questione della comprensione delle funzioni nervose (e di conseguenza anche di quelle mentali, con tutta la complessità che tale nozione comporta) partendo da un principio non soltanto interpretativo, ma costruttivo».

La scommessa di HBP consiste nel cercare di scoprire il funzionamento del cervello non facendo affidamento unicamente sull’approccio riduzionistico secondo il quale il tutto può essere conosciuto attraverso la comprensione della struttura delle sue parti, ma tentando di comprendere, attraverso la ricostruzione delle interazioni tra le parti stesse, in che modo da queste strutture più o meno semplici possa emergere un sistema così organizzato e complesso. È il cosiddetto approccio bottom-up: «Questo termine indica un approccio centrato sulla ricostruzione dal basso verso l’alto», spiega D’Angelo; «nella pratica, significa che partiamo dai principi fisici e biochimici delle molecole e delle cellule per poi risalire ai microcircuiti, alle costruzioni di mesoscala e infine a quelle di larga scala, fino ad arrivare all’interezza del cervello.

La prima critica ha riguardato la possibilità stessa di realizzare questa ricostruzione. In effetti, abbiamo appurato che la ricostruzione dei meccanismi cerebrali può essere realizzata; bisogna però capire fino a che grandezza. La ricostruzione di una delle funzioni di un neurone, ad esempio, è già stata completata: il problema teorico e computazionale del neurone è oggi risolto. È possibile anche riprodurre e simulare microcircuiti; per quanto riguarda la mesoscala, invece, si è ancora nella fase di elaborazione di strategie per rendere la ricostruzione possibile. Le difficoltà, in questo caso, sono soprattutto tecniche. La prima riguarda la dimensione del modello: per riprodurre un modello così esteso e complesso, costituito da moltissimi dati, abbiamo bisogno di una macchina grande. Un supercomputer come quello del CINECA di Bologna, il cui consumo di energia è pari a quello di una città di 100.000 abitanti, fa fatica a processare simulazioni simili.

Spostandosi su scale molto grandi, un altro problema è la necessità di semplificare e interpretare le proprietà fondamentali da rappresentare nei modelli. In quel caso, l’approccio bottom-up e quello top-down non sono più applicati in modo “puro”, ma vengono uniti. Quando si passa alla macroscala completa (ad esempio un modello dell’intero cervello, o whole brain) la situazione si fa ancora più complicata: per quanto riguarda l’uomo, infatti, non abbiamo a disposizione la quantità di dati che è invece stata raccolta per altri animali che vengono sottoposti a esperimenti; così, non potendo condurre esperimenti sull’uomo per ovvie ragioni etiche, dobbiamo affidarci ad osservazioni realizzate in condizioni controllate, generalmente in un ambito di operatività clinica. Da queste osservazioni traiamo dati d’insieme, che in gergo sono chiamati observables, i quali però non danno informazioni sulla microscala. Per questi dati, dunque, si verifica un problema definito “inverso”: abbiamo i dati riguardanti la macroscala, e dobbiamo scendere alle sorgenti.

Ma nel corso di questi anni, abbiamo dimostrato sperimentalmente che, per la costruzione di un modello informatico del sistema umano, il sistema bottom-up funziona: abbiamo superato le critiche. Ora, si tratta di applicare questa soluzione su larga scala ai vari problemi biomedici, ingegneristici e informatici».

In questi ultimi anni di progetto – che si concluderà nel 2023 – l’obiettivo più ambizioso è proprio la diffusione delle scoperte finora realizzate ai diversi campi di applicazione. Già oggi, diverse unità che partecipano a HBP sono attive in questo senso: è il caso del gruppo di ricerca di Marsiglia, che ha sviluppato uno strumento che consente di simulare diverse possibilità di intervento per trattare pazienti affetti da epilessia farmacoresistente, così da minimizzare i rischi connessi all’operazione chirurgica vera e propria. «Una delle principali migliorie che gli studi condotti all’interno di HBP apporteranno all’ambito biomedico sarà senz’altro l’implementazione della medicina personalizzata – afferma il professore – attraverso la generazione di copie digitali (digital twin) del cervello del paziente, che consentiranno una maggiore comprensione e una cura più specifica delle patologie individuali».

Anche per quanto riguarda l’ambito informatico, le applicazioni di questi studi sono sorprendenti. «Comprendere e ricreare in silico reti neurali simili a quelle cerebrali consente, ad esempio, di costruire robot dotati di una straordinaria capacità di apprendimento, che imparano dagli errori e migliorano le proprie prestazioni. Le potenziali capacità di simili macchine biomimetiche sono estremamente più ampie di quelle di una macchina tradizionale».

Human Brain Project ha aperto, e continua tuttora a farlo, nuove frontiere in diversi campi del sapere umano. Uno degli ultimi prodotti di questo progetto, che verrà completato prima della sua chiusura, è la piattaforma EBRAINS: si tratta di un immenso database, completamente accessibile, nel quale verranno inserite tutte le informazioni neuroscientifiche e neuroinformatiche raccolte nel corso degli anni, che saranno la base delle ricerche e delle tecnologie del futuro.

E proprio l’ideale continuità con il futuro e la forte componente di collaborazione sono – al di là degli aspetti strettamente scientifici e tecnici – alcuni fra i più importanti lasciti di questo progetto, su cui l’Unione Europea ha scommesso moltissimo. «La collaborazione è stata uno dei caratteri fondanti e uno dei fattori centrali nel determinare il successo di HBP», conferma D’Angelo. «Gli 87 laboratori che avevano aderito nel 2013 sono ora più di cento, suddivisi in base all’area di specializzazione in sottogruppi abbastanza eterogenei. Questi sottogruppi lavorano con una certa autonomia, ma mantengono una continua comunicazione e condivisione di dati e scoperte. Per la sua estensione temporale e complessità organizzativa, il progetto stesso è stato un esperimento: con questa scelta, la Commissione Europea ha adottato una prospettiva visionaria, scommettendo sul futuro attraverso un finanziamento di così lungo periodo». Avvicinandosi alla fine, sembra di poter affermare che la scommessa sia stata vinta: HBP ha aperto nuove strade di ricerca, e contribuito a far luce su uno dei problemi più intricati della natura umana.

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