CULTURA

Dostoevskij e l'idea luminosissima del doppio

Duecento anni fa, l'11 novembre del 1821 nasceva Fëdor Michajlovič Dostoevskij, uno dei più grandi romanzieri russi. La sua è stata una vita tutt'altro che tranquilla, specie agli esordi: a 28 anni, per esempio, fu arrestato e condannato a morte, tra l'altro per un equivoco, ma proprio mentre era sul patibolo arrivò l'annuncio che la sua pena era stata ridotta ai lavori forzati. All'epoca aveva già avuto degli attacchi epilettici, ma lo shock di quel giorno li trasformò in una presenza fissa nella sua vita, tanto che ne troviamo traccia anche in alcuni suoi personaggi, per esempio nel principe principe Myškin de L'idiota.
In seguito, nella maturità, la sua vita si stabilizzo, ma le sue opere letterarie rimangono intrise di un senso di inquietudine che, quando non è esplicitato, rimane comunque percepibile nel sottotesto.

Non è quindi un caso se uno dei temi più ricorrenti nella produzione letteraria di Dostoevskij è quello del doppio. Parliamo di una figura classica, spesso presente nella commedia latina e in quella francese, ma in questo caso non si evoca un sosia benevolo o un travestimento che costituisce il coup de théâtre che va a sbrogliare la matassa che affligge i personaggi. Quello di Dostoevskij non è un doppio amichevole, ma una figura maligna e tormentosa che accompagna i protagonisti delle sue opere. Una presenza viva e allo stesso tempo inafferrabile, che rappresenta bene quel perturbante teorizzato da Freud diversi anni dopo.
Per comprendere meglio la figura del doppio e il ruolo che ha avuto nell'opera dostoevskjana abbiamo intervistato Gabriella Elina Imposti, professoressa di letteratura russa all'università di Bologna.

servizio di Anna Cortelazzo e montaggio di Elisa Speronello

L'opera più rappresentativa in questo senso è probabilmente Il sosia. Si è molto dibattuto sulla scelta di questa traduzione: la parola russa utilizzata nell'originale è dvojnik (Двойник) e non definisce una persona che, semplicemente, assomiglia molto a un'altra, ma implica in qualche modo la perdita di identità, o quantomeno una crisi. "La parola dvojnik - spiega Imposti - è stata usata da Antonij Pogorel'skij che nel 1828 ha pubblicato una raccolta di racconti che si intitolava Il doppio, ovvero le mie serate nella piccola Russia: l'autore, ispirandosi allo scrittore tedesco Hoffmann, ha fatto entrare la figura del doppio nella letteratura russa". In questa raccolta, però, parliamo ancora di un personaggio positivo, che tiene compagnia al suo omologo nelle fredde serate d'autunno, opponendo una rigida razionalità alle storie fantastiche del primo, ma senza causare troppi turbamenti.

L'aspetto inquietante del doppio viene invece alla luce con Gogol': "Nel suo racconto Il naso - spiega Imposti - il doppio diventa qualcosa di diverso: parliamo di una situazione surreale e a tratti grottesca in cui il naso si distacca, non si sa quale motivo, dal volto del protagonista Kovalëv, che al mattino si sveglia, si guarda allo specchio perché ha paura che gli sia spuntato un brufoletto ma scopre che il naso non c'è più. Comincia così la sua ricerca affannosa del naso, che attua mettendo addirittura un'inserzione sul giornale, ma a nessuno sembra interessare. Un giorno, però, incontrerà il suo naso a spasso per la prospettiva Nevskij, la strada principale di San Pietroburgo, vestito in alta uniforme e quindi appartenente a un rango molto superiore a quello del proprietario". La situazione peggiora quando Kovalëv lo interroga per capire come mai si sia staccato dal suo corpo e il naso, con atteggiamento sdegnoso, lo rimprovera perché ha avuto l'ardire di rivolgersi a una "persona" di rango più elevato.

In questo quadro si inserisce Il sosia di Dostoevskij, un'opera che tra l'altro inizialmente non godrà di grandi consensi. Eppure lui in qualche modo aveva capito che lo spunto era vincente, tanto che, come racconta Imposti, aveva scritto al fratello definendola un'"idea luminosissima". La storia è quella di Goljadkin, che una sera incontra il suo doppio, lo fa dormire a casa sua ma poi si rende conto che non solo gli sta portando via la sua vita, ma se la cava anche molto meglio sul lavoro, sta più simpatico alle altre persone e mina pesantemente l'equilibrio del protagonista. Il sosia fu stroncato sia dalla critica che dal pubblico, probabilmente perché, per l'epoca, era troppo innovativo, ma è molto interessante perché alcune caratteristiche del personaggio principale si troveranno poi in figure dostoevskjane più famose. Dostoevskij infatti è stato quasi ossessionato dal Doppio, dall'immagine bifida che sapeva evocare, dall'immaginario onirico che si portava dietro e dall'abisso che era in grado di spalancare.

 

La sua condizione in quel momento rassomigliava alla condizione dell’uomo ritto su un precipizio spaventoso, mentre la terra si apre sotto di lui e già frana, già si muove, sussulta per l’ultima volta, crolla, lo trascina nell’abisso Dostoevskij - Il sosia

Ma perché l'autore era così ossessionato dal concetto del Doppio? Secondo Imposti, ne vedeva chiaramente il potenziale narrativo ed estetico. Lo stesso meccanismo emerge, aggiornato e arricchito, anche in Delitto e castigo. Qui abbiamo tre personaggi che si richiamano a vicenda, in un gioco di specchi in cui i doppi si moltiplicano: "Da una parte - chiarisce Imposti - c'è Rodion Romanovič Raskol'nikov, che ha compiuto un omicidio programmandolo per motivi ideologici. Poi c'è Svidrigajlov, che ha probabilmente ucciso la moglie ma è spinto invece dalla passione, e queste sono due facce del crimine. I due hanno due approcci opposti, pur essendo in qualche modo sganciati dalla ragione. Ed ecco Razumichin, che, come suggerisce il nome, è la Ragione, opposta agli altri due". I personaggi sono quindi collegati tra di loro tramite similarità e opposizioni, in un sistema di echi che si ripete in molte opere e ha contribuito a rendere Dostoevskij il grande narratore che conosciamo.

 

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