CULTURA

Gnam, per scardinare un museo la rivoluzione passa dal web

Sette righe. 135 anni di storia, ventimila opere custodite, il maggiore museo di arte moderna e contemporanea d’Italia. Un luogo meraviglioso, le colonne greche e i fregi liberty del palazzo di Cesare Bazzani incuneato tra i gioielli verdissimi di Valle Giulia e Villa Borghese. Ma il malcapitato che (senza essere un critico né uno storico né un dotto dilettante) cercasse in Internet qualche notizia sulla Gnam, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, visitandone il sito ufficiale troverebbe in tutto sette righe di descrizione. Secondo una tradizione gloriosa, la versione web di uno tra i nostri musei pubblici più amati è un ectoplasma che sembra la parodia di un sito Internet. Ma, a differenza di altri casi illustri, qui non c’è nulla dovuto a sciatteria o pochezza da parte delle teste pensanti a capo delle nostre maggiori istituzioni culturali. Perché la Gnam (acronimo su cui, in Italia, è impossibile evitare ironie) è uno dei venti musei oggetto della riforma con cui, nell’estate 2015, l’allora ministro Franceschini conferì loro una speciale autonomia e aprì le porte ai “superdirettori”: venti figure arciqualificate, per un terzo stranieri. Per la Gnam fu scelta un’italiana, Cristiana Collu, già responsabile del Mart di Trento e Rovereto (ormai per i musei la guerra delle sigle è senza limiti).

La Collu prese alla lettera le parole d’ordine “autonomia” e “riforma”, e decise che il tradizionale allestimento della Galleria non andava innovato, ma raso al suolo. Eliminato qualunque ordine cronologico nella successione delle sale, la collezione storica divenne una specie di Martini post-James Bond, da agitare e mescolare insieme: l’intero museo venne trasformato in una mostra permanente, “Time is Out of Joint”, che prendendo a prestito l’espressione dall’Amleto (“il tempo è fuori dai cardini”), propone, secondo la presentazione ufficiale, “inaspettate relazioni” tra opere che “si muovono assolte e svincolate in una sorta di anarchia”. Così, ad esempio, il gruppo Ercole e Lica di Antonio Canova troneggia tra due opere degli ultimi cinquant’anni: le vasche zincate azzurre del “Mare” di Pino Pascali e il telo di lino della “Spoglia d’oro su spine d’acacia” di Giuseppe Perrone, che riproduce su una lunghezza di tre metri le labbra dell’artista. Oppure la statua ottocentesca di Giove di Pietro Galli è esposta di fianco alla Falce e Martello di Andy Warhol. Accostamenti lasciati alla libera interpretazione del visitatore, dal momento che l’allestimento è totalmente privo di didascalie o note che tentino di spiegare la visione che ne è alla base.

La rivoluzione della Collu ha creato due partiti: gli entusiasti e i furibondi. Tra i secondi (in maggioranza critici e storici dell’arte) bisogna menzionare due dei quattro membri del Comitato scientifico del museo, che all’indomani della “rivoluzione” hanno presentato le dimissioni (un terzo non si è dimesso ma ha scritto una lettera di protesta al ministero: “L’attuale allestimento è più simile a una Biennale che non a un Museo”). Tra gli entusiasti, va detto, c’è sicuramente il pubblico, che ha premiato la nuova Gnam con un forte aumento delle presenze (+ 54% a fine 2017 rispetto all’anno precedente). E siccome nessun rinnovamento può prescindere dalla comunicazione web, ecco apparire un sito Internet decisamente anticonformista, “fuori dai cardini” a cominciare dalla grafica, che sposa la linea atemporale presentandosi come il remake di un sito dell’Internet degli albori: pagine semivuote, foto lillipuziane e sparute, link che conducono a testi che definire minimali è poco, il tutto immerso in un’accozzaglia di colori che oscillano tra lo shocking e il pastello, e caratteri che sembrano scaturiti dall’imitazione di una Olivetti nemmeno troppo d’epoca.

Quanto ai testi, per arrivare alla voce “museo” bisogna scorrere la home page fino al fondo: si espugnano così le famose sette righe di storia, seguite da una manciata di informazioni aggiuntive e chiuse da un trionfale colophon (questo è in quaranta righe) che elenca i nomi di tutti i componenti dello staff della Gnam. Se all’utente occasionale non bastasse, c’è un link (questo sì ben visibile) che rimanda a ulteriori spiegazioni sul museo grazie a un collegamento a Google Arts e Wikipedia, notoriamente due Bibbie per la storia dell’arte. E se il visitatore della Rete fosse proprio incontentabile, per fortuna la Gnam ha anche una pagina Facebook: tra le ultime iniziative, ci informa, è in programma un seminario sul design dei sex toys. Perché Canova sarà anche fuori dai cardini, ma con il piacere non si deraglia mai.

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