SCIENZA E RICERCA

I grandi incendi mettono a rischio il ripristino dello strato di ozono

Il fumo prodotto dai grandi incendi potrebbe rallentare il ripristino dello strato di ozono, mettendo così a rischio la previsione contenuta nell’ultimo rapporto Onu secondo cui il buco dell’ozono si richiuderà entro la metà del secolo.

A lanciare l'allarme è uno studio recentemente pubblicato su Nature da un team di ricercatori del Massachusetts Institute of Technology, in collaborazione con altri scienziati di università statunitensi e cinesi, che si è concentrato sui devastanti roghi che hanno interessato l'Australia tra la fine del 2019 e l'inizio del 2020 e sulle conseguenze prodotte dal fumo che ha raggiunto la stratosfera terrestre.

In quel periodo sono andati in fumo circa 18,6 milioni di ettari in tutto il territorio australiano e le implicazioni sono state pesanti per gli ecosistemi distrutti e per alcune specie vulnerabili che hanno perso una parte significativa del loro areale. Ma le conseguenze dei bushfires non si fermano qui: quegli incendi, noti anche con il nome di Black Summer, hanno prodotto particelle che inducono una reazione chimica capace di impoverire lo strato di ozono attraverso la produzione di grandi quantità di monossido di cloro

"Nel 2021 il buco dell'ozono sopra l'Antartide ha ricominciato a gonfiarsi, proprio a un anno di distanza dai devastanti mega-incendi che hanno bruciato 60 milioni di acri di vegetazione in Australia”, hanno affermato gli autori dello studio, spiegando che l'ozono totale alle medie latitudini nell'emisfero australe, nelle regioni sovrastanti l'Australia, la Nuova Zelanda e parti dell'Africa e del Sud America, si è ridotto del 3-5%.

La nuova ricerca, guidata da Susan Solomon, scienziata del Massachusetts institute of technology che lavora da decenni sull'esaurimento dell'ozono, approfondisce e consolida una precedente scoperta con cui Solomon e alcuni colleghi che hanno preso parte anche allo studio appena pubblicato avevano per la prima volta identificato un legame chimico tra incendi e riduzione dell'ozono. Il punto chiave sono le reazioni del fumo con le molecole contenenti cloro - sostanzialmente resti di quei clorofluorocarburi che il protocollo di Montreal del 1987 ha messo efficacemente al bando ma i cui resti sono in parte ancora rilevabili nell'atmosfera. La concentrazione di questi residui sta gradualmente diminuendo e in condizioni normali le molecole di cloro ancora presenti hanno una conformazione chimica che non le rende più in grado di distruggere l'ozono.

Ma qui entra in gioco il ruolo negativo dei grandi incendi boschivi. In alcune circostanze, quando i pennacchi di fumo raggiungono altezze molto elevate, a volte anche favoriti da nubi temporalesche che li spingono verso l'alto, l'acido cloridrico presente nella stratosfera terrestre si attacca alla superficie delle particelle di fumo, si rompe e reagisce con l'ossigeno innescando una "cascata chimica" che produce monossido di cloro, uno dei composti più dannosi per l'ozono. 

Questo processo di solito non accade lontano dai poli, perché richiede temperature basse, ha affermato il coautore dello studio Kane Stone, chimico dell'atmosfera al Mit. Ma l'analisi della composizione delle molecole nella stratosfera dopo gli incendi australiani ha portato il team di scienziati a domandarsi se l'acido cloridrico potesse reagire anche con le particelle di fumo, a temperature più calde. Dopo aver esaminato tre serie indipendenti di dati satellitari i ricercatori hanno infatti osservato che nei mesi successivi agli incendi, le concentrazioni di acido cloridrico erano diminuite significativamente alle medie latitudini, mentre il monossido di cloro era aumentato. 

Scavando nella letteratura chimica per vedere che tipo di molecole organiche potessero reagire con l'acido cloridrico a temperature più calde per romperlo, Solomon e colleghi hanno scoperto che è estremamente solubile in un'ampia gamma di specie organiche. Il passo successivo è stato l'uso di un modello che prevedesse in che modo i vari acidi organici contenuti nelle particelle di fumo avrebbero alterato la solubilità dell'acido cloridrico: il risultato sono state delle simulazioni che rispecchiavano i cambiamenti nella chimica stratosferica osservati dopo gli incendi.

Secondo le stime degli scienziati gli incendi hanno determinato una riduzione dello strato di ozono fino al 5% in tutta la stratosfera alle medie latitudini e hanno ampliato del 10% il buco dell'ozono sopra l'Antartide, allargandolo di due milioni e mezzo di chilometri quadrati. 

Lo studio ha inoltre scoperto che gli effetti dannosi degli incendi sullo strato di ozono richiedono alcuni mesi prima di manifestarsi e che più tempo passa e più queste particelle risultano un veleno per quella parte dell’atmosfera. A sostegno di questa analisi vi è il fatto che i ricercatori hanno notato una rapida crescita del buco dell’ozono solo nell’agosto del 2020, nonostante questa sia dipesa dagli incendi australiani del biennio 2019-2020 responsabili del rilascio di quasi un milione di tonnellate di fumo.

"Desta preoccupazione il fatto che mentre il buco dell'ozono di solito si forma sopra l'Antartide a causa delle basse temperature, gli aerosol degli incendi sembrano essere in grado di promuovere perdite di ozono alle temperature relativamente più calde presenti alle medie latitudini che sono densamente popolate", ha affermato al Guardian Laura Revell, scienziata atmosferica presso l'Università di Canterbury in Nuova Zelanda, non coinvolta nella ricerca. 

Da quando il protocollo di Montreal del 1987 ha gradualmente eliminato l'uso di clorofluorocarburi lo strato di ozono è in via di recupero praticamente ovunque nell’atmosfera terrestre. E non è un risultato da poco visto che l'ozono agisce come una protezione solare nell'aria, esercitando un'azione filtrante nei confronti delle radiazioni solari ultraviolette, pericolose per la salute umana (ancor di più per le popolazioni che vivono alle medie latitudini o ai tropici). 

Il ripristino dello strato di ozono è stato il risultato di una straordinaria storia di successo nell'ambito delle politiche ambientali ma gli incendi più frequenti derivanti dai cambiamenti climatici potrebbero adesso ostacolare questo percorso. "L'effetto degli incendi non era stato precedentemente considerato nelle proiezioni sul recupero dell'ozono. Ora c'è una specie di corsa contro il tempo: se tutto va bene, i composti contenenti cloro si degraderanno del tutto prima che la frequenza degli incendi aumenti con il cambiamento climatico", ha affermato Susan Solomon.

Questa ricerca rappresenta quindi anche un altro avvertimento sui pericoli del riscaldamento globale: il fuoco può liberare grandi giacimenti di carbonio che si aggiungono alle emissioni legate ai combustibili fossili antropici e i cambiamenti climatici non fanno che rendere più probabile e frequente l'innesco di incendi (compresi fenomeni particolare come gli overwintering fires o le fiamme che devastano le regioni artiche e sub-artiche). Il risultato è un feedback clima/fuoco molto dannoso per l'ambiente. La preoccupazione, puntualizzano gli scienziati, è adesso che incendi più frequenti e intensi possano ritardare il recupero dell’ozono in un mondo che si riscalda.

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