SCIENZA E RICERCA

Meteorite o cometa? Si riaccende il dibattito sulla causa di estinzione dei dinosauri

Meteorite o cometa? Negli ultimi giorni di febbraio si è acceso un dibattito a colpi di paper sul corpo celeste che 66 milioni di anni fa cambiò per sempre la storia della Terra e provocò l’estinzione dei dinosauri. Secondo l’ipotesi avanzata su Scientific Reports da due astronomi della Harvard University, Amir Siraj e Abraham Loeb, il colpevole sarebbe il frammento di una cometa di lungo periodo, proveniente da molto lontano. Un folto team internazionale, invece, ha presentato su Science Advance altre prove per avvalorare la tesi del meteorite proveniente dalla cosiddetta fascia principale degli asteroidi, che si trova tra l’orbita di Giove e quella di Marte.

Che ci fosse un solo colpevole – un “meteorite” – per l’estinzione più famosa al mondo era già stato assodato e recenti studi avevano definitivamente assolto ed escluso dal banco degli imputati l’intensa attività vulcanica in India, nella regione dei Trappi del Deccan. Nessuno però era riuscito a spiegare dove avesse avuto origine il “meteorite” e quale fosse stato il suo percorso prima di schiantarsi a Terra, lasciando il suo indelebile segno: il cratere da impatto di Chicxulub, profondo 20 chilometri e con un diametro di 150 chilometri, che si estende tra la penisola dello Yucatan in Messico e l’oceano Atlantico. 

Secondo i due ricercatori di Harvard, Amir Siraj e Abraham Loeb, l’ipotesi del meteorite avrebbe invece un altro corpo celeste come protagonista: una cometa proveniente dalla lontanissima nube di Oort, una nuvola sferica di corpi ghiacciati situata a circa un anno luce e mezzo dal Sole. Una nube troppo lontana e buia per essere osservata dai moderni telescopi e “madre” delle comete di lungo periodo, così chiamate perché impiegano almeno 200 anni per percorrere la loro orbita intorno al Sole.  Su Scientific Reports, infatti, scrivono che a colpire la Terra 66 milioni di anni fa sarebbe stato un pezzo bello grosso (per usare un eufemismo) proprio di una cometa di lungo periodo proveniente dalla nube di Oort, la cui rotta però sarebbe stata deviata dal campo gravitazionale di Giove. La cometa sarebbe quindi stata spinta da Giove verso il Sole, arrivando a disintegrarsi in tante comete più piccole. E una di queste avrebbe colpito la Terra.

"Giove in sostanza agirebbe come una sorta di flipper" ha spiegato Amir Siraj "spingendo le comete di lungo periodo su orbite molto vicine al Sole». Ecco perché queste comete sono conosciute anche come comete radenti, in inglese anche sun grazers. In questi casi, però, la cometa non fa in tempo a sublimare, o meglio il processo interessa solo una frazione piuttosto piccola rispetto alla massa totale del corpo celeste. «Quello che accade è che la nostra stella disintegra la cometa per azione delle forze mareali: in pratica la parte della cometa più vicina al Sole risente di una maggiore attrazione gravitazionale rispetto alla parte che è più lontana dal Sole. E il risultato è un evento di disgregazione mareale: una frammentazione in comete più piccole". Un evento raro, ma non rarissimo.

Per Siraj e Loeb, il 20% delle comete di lungo periodo diventano radenti, vengono quindi deviate da Giove verso il Sole, si frantumano e i frammenti generati potrebbero colpire la Terra provocando un impatto come quello di Chicxulub una volta ogni 250-730 milioni di anni circa. Ad avvalorare la tesi dei due ricercatori di Harvard c’è anche un motivo geologico: Chicxulub è ricco di condriti carbonacee, tipiche rocce presenti nelle comete di lungo periodo. E le stesse condriti carbonacee costellano anche altri crateri da impatto come il Vredefort in Sud Africa, il più grande cratere della storia della Terra, originatosi per un impatto avvenuto circa due miliardi di anni fa, e il cratere Zhamanshin in Kazakistan, formatosi nell’ultimo milione di anni.

Invece solo un decimo degli asteroidi presenti nella fascia principale, tra Giove e Marte, è composto da condriti carbonacee. Ma questi asteroidi sono molto ricchi di iridio: elemento raro sulla Terra, ma appunto comune nei meteoriti. Come avevamo spiegato qui, nel 1979, a Gubbio, il premio Nobel per la fisica Luis Álvarez e suo figlio Walter Álvarez avevano trovato dei livelli insoliti di iridio negli strati geologici risalenti a circa 66 milioni di anni fa. La stessa anomalia era stata poi riscontrata in più parti del mondo e i due avanzarono “l’ipotesi del meteorite”, che ha trovato riscontro poi negli anni ’90 con il ritrovamento del cratere di Chicxulub, in Messico.

E proprio sui livelli di iridio insiste il team internazionale di geologi, astronomi e astrobiologi che è finalmente riuscito a trovare quella stessa “polvere di asteroide” rinvenuta in più parti del mondo anche all’interno del cratere di Chicxulub.

Nell’ambito di una missione internazionale più ampia, l’International Ocean Discovery Program 2016, il team ha infatti trivellato il fondo oceanico nell’area sommersa del cratere di Chicxulub con la “lift boat” Myrtle: una nave oceanografica futuristica, sollevata su tre pilastri come fosse una piattaforma petrolifera. E nei carotaggi effettuati in mare, il team ha trovato un picco nei livelli di iridio, compatibile con quello rilevato nel resto del mondo. 

"La ‘coincidenza’ è ormai tale che, geologicamente parlando, non può presentarsi senza una relazione di causalità», ha sottolineato Sean Gulick della UT Jackson School of Geosciences, fra i coautori dello studio. «Si pone così fine a qualunque dubbio circa il fatto che l’anomalia dell’iridio possa non essere correlata al cratere Chicxulub".

Insomma l’iridio potrebbe metter la parola fine anche al ballottaggio cometa-meteorite. Secondo il team internazionale non ci sono dubbi: Chicxulub sarebbe l’impronta lasciata da un meteorite, ricco di iridio e con un diametro di almeno una decina di chilometri, che avrebbe colpito la Terra nell’attuale Yucatan circa 66 milioni di anni. L’impatto diede inizio a una sorta di inverno planetario che provocò un’estinzione di massa: le polveri alzatesi e trasportate in atmosfera, prima di ricadere su tutta la Terra, impedirono al calore solare di arrivare al suolo, lasciando al buio e al freddo piante e animali per molti anni. Già, ma per quanti anni?

Proprio nella porzione di cratere ormai sepolta dall’oceano il team potrebbe aver trovato la risposta. Lo strato di sedimenti depositatosi dopo l’impatto è talmente spesso e ben conservato che gli scienziati sono stati in grado di stabilire che le polveri sollevate in atmosfera si sarebbero depositate nei due decenni successivi all’impatto. L’inverno planetario sarebbe durato, quindi, al massimo 20 anni: un lasso temporale brevissimo, che ha messo fine al destino evolutivo di circa il 75% della biodiversità vegetale e animale del Cretaceo.

Per capire se l’ipotesi della cometa resterà davvero solo “una cometa”, destinata a un veloce passaggio nella storia della scienza e se sia già sublimata al Sole, o ci riserverà un “colpo di coda”, dobbiamo aspettare ancora.

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