SCIENZA E RICERCA
Estinzione dei dinosauri: scartata l'ipotesi alternativa al meteorite
C’è un solo colpevole per l’estinzione più famosa al mondo, quella che spazzò via dalla faccia della Terra i dinosauri. Ed è un meteorite caduto sul nostro pianeta 66 milioni di anni fa. Ne è certo un nutrito gruppo di scienziati che scarta definitivamente l’altra ipotesi, meno conosciuta, che vede responsabile della quinta estinzione di massa un’eccezionale attività vulcanica in India. Secondo il nuovo studio da poco pubblicato su Science non c’è storia: l’ipotesi più conosciuta, celebrata e terrificante corrisponde a verità. E la prova – come sempre in questi – è incastonata nelle rocce. Ma andiamo con ordine.
Capire la dinamica e le cause dell’estinzione di massa che si verificò tra la fine del Cretaceo e l’inizio del Paleogene – nel cosiddetto limite K-T – precisamente 65,95 milioni di anni fa è sempre stata da sempre una sfida per geologi e paleontologi. La prima spiegazione scientifica fu avanzata nel 1979 dal premio Nobel per la fisica Luis Álvarez e da suo figlio Walter Álvarez. I due avevano trovato dei livelli insoliti di iridio negli strati geologici risalenti al limite K-T, vicino Gubbio. L’iridio è un elemento raro sulla Terra, ma molto comune nei meteoriti. E dunque avanzarono “l’ipotesi del meteorite”, che poi negli anni ’90 ha trovato riscontro nel ritrovamento del cratere di Chicxulub, in Messico.
Per tutta risposta, nel 2008, un’altra schiera di ricercatori ha avanzato una seconda ipotesi. E se la scomparsa del 75% delle specie viventi a quel tempo – dinosauri compresi – fosse dovuta a una serie incredibilmente violenta di eruzioni vulcaniche avvenute nella più grande area vulcanica al mondo, la regione conosciuta come Trappi del Deccan, in India? Polveri, fuliggine ed enormi quantità di gas serra come metano, anidride carbonica e solforosa si sarebbero così riversate in atmosfera, innescando dei cambiamenti climatici di portata globale.
Ma secondo Pincelli Hull, geologa dell’Università di Yale, e i suoi colleghi l’intensa attività vulcanica, si sarebbe verificata molto prima dell’estinzione di massa avvenuta tra il periodo Cretaceo e l’inizio del Terziario. E di fatto, quindi, non ne sarebbe responsabile.
Per datare le emissioni e i fenomeni vulcanici più intensi il team ha analizzato gli isotopi del carbonio nei reperti dei fossili risalenti a quel periodo sul fondo dell’oceano Atlantico e li ha comparati con i modelli dell’effetto climatico del rilascio di anidride carbonica in atmosfera. E ne ha concluso che in effetti, le temperature nel periodo corrispondente al limite K-T erano troppo basse e che la maggior parte delle eruzioni e del rilascio di gas è avvenuto molto prima dell’impatto dell’asteroide, circa 200.000 anni prima dell’estinzione di massa. E dunque l’unico responsabile per quel collasso della vita sulla Terra dev’essere stato il meteorite.
“L’attività vulcanica del tardo Cretaceo ha causato un graduale riscaldamento globale di circa due gradi, ma non un’estinzione di massa” ha spiegato Michael Henehan, ex ricercatore di Yale tra gli autori della ricerca. “A causa del riscaldamento diverse specie si sono spostate verso il polo Nord o il polo Sud momentaneamente, durante il periodo delle eruzioni, ma sono tornate indietro molto prima dell’impatto con l’asteroide”.
Così, dopo la scoperta del cratere di Chicxulub e di quella che è stata ribattezzata “la Pompei dei dinosauri” – un sito in North Dakota che testimonia gli ultimi attimi dei dinosauri tra sismi, tzunami e una pioggia di vetro incandescente generati dall’impatto dell’asteroide – l’ipotesi avanzata dagli Álvarez 40 anni fa continua a raccogliere prove importanti a suo favore.
Ma le eruzioni nell’area dei Trappi del Deccan in India avrebbero avuto comunque un ruolo nella storia della vita sulla Terra. Le eruzioni e le emissioni di anidride carbonica sarebbero continuate anche dopo il periodo del limite K-T, determinando profondi cambiamenti nel ciclo del carbonio e acidificando gli oceani. E proprio per questo, dopo la quinta grande estinzione di massa, potrebbero aver avuto un ruolo determinante nella ripresa della vita, che ha visto l’ascesa dei mammiferi.
Intanto, in Africa meridionale, un gruppo di ricercatori guidato da Emese M. Bordy dell’Università di Cape Town ha indentificato una “passeggiata dei dinosauri”: venticinque impronte impresse nelle rocce di arenaria del parco del Karoo, in SudAfrica, ben 183 milioni di anni fa.
Secondo gli autori dello studio appena pubblicato su Plos One, le venticinque impronte corrisponderebbero a cinque percorsi diversi lasciati da tre specie: un sinapside non meglio identificato, appartenente quindi al gruppo che include i mammiferi e i loro parenti fossili più vicini; e due dinosauri, sia bipedi e probabilmente carnivori, che quadrupedi e probabilmente erbivori. Proprio questi ultimi rappresenterebbero una nuova icnospecie, ovvero tracce fossili mai osservate prima.
Queste impronte raccontano la storia di alcuni degli animali che hanno abitato il bacino del Karoo prima che venisse invaso da lava durante il Giurassico inferiore. L’arenaria in cui sono rimaste impresse le orme dei dinosauri è infatti conservata tra due strati di roccia basaltica, segno che questi animali si sono ritrovati probabilmente a fuggire da quella che stava diventando una terra di fuoco. Il prossimo passo sarà continuare le ricerche paleontologiche nell’area e perfezionare la datazione degli strati rocciosi locali, che potrebbero svelare nuovi scenari e fornire dati di inestimabile valore su come gli ecosistemi locali hanno reagito all’intenso stress ambientale.