A luglio dello scorso anno fece notizia la previsione per cui la popolazione mondiale dovrebbe raggiungere il picco nel 2064, a 9,7 miliardi di abitanti, per poi contrarsi progressivamente. Alla fine del secolo si fermerebbe a 8,8 miliardi e per quella data 23 paesi del mondo avrebbero una popolazione dimezzata rispetto a quella del 2017. Tra questi i ricercatori che hanno pubblicato lo studio su The Lancet inserivano anche l’Italia: nel 2100 la popolazione nazionale si attesterebbe attorno ai 30 milioni.
Si tratta di una previsione in parziale controtendenza con la preoccupazione più diffusa, iniziata con gli studi del Club di Roma e la loro pubblicazione del libro I limiti dello sviluppo, per cui la tendenza è a una crescita che porterà inevitabilmente a sempre maggiore pressione sulle risorse. In realtà, anche Hans Rosling, famoso in tutto il mondo per le sue conferenze spettacolo sui temi dello sviluppo e della salute, ha sostenuto per anni che una cifra attorno ai 10 miliardi potrebbe rappresentare una sorta di punto di equilibrio naturale per la popolazione mondiale. Il che non significa che non vedeva potenziali problemi di gestione delle risorse, ma che in qualche modo pensare solamente a come ridurre il tasso di natalità per stabilizzare la popolazione era una parziale perdita di tempo: ci avrebbe pensato una maggior istruzione e un maggior benessere economico delle popolazioni più povere a contenere il numero dei figli per famiglia.
Lo studio di Vollset e colleghi pubblicato un anno fa su The Lancet ha però proposto una prospettiva addirittura contraria: la contrazione della popolazione mondiale. Le cause? In primo luogo un tasso di natalità mondiale che tende a diminuire con una velocità maggiore nei paesi con le economie più avanzate. In secondo luogo, una serie di politiche di blocco dell’immigrazione, che alla lunga, dicono gli studiosi, porterà a un problema molto diffuso di mancanza di lavoratori che possano garantire il funzionamento delle economie.
Cosa dicono i dati di Eurostat
Sul tasso di fertilità dei paesi europei, una delle aree economicamente più avanzate del pianeta, arrivano i nuovi dati EuroStat sui nuovi nati. Nel 2019 i neonati all’interno dell’Unione Europea sono stati 4,17 milioni, confermando un trend in continuo calo dal 2008, quando i neonati erano 4,68 milioni.
Il tasso di fertilità totale, cioè il numero medio di figli per donna, si è attestato a 1,53 nascite per donna nell'UE nel 2019, una piccola diminuzione rispetto al suo recente picco nel 2016 (1,57), ma un aumento rispetto al 2001 (1,43). Un dato comunque lontano dal cosiddetto tasso di 2,1, calcolato come il valore necessario a mantenere la popolazione. Anche i paesi con il tasso più elevato si trovano comunque oggi al di sotto di questa soglia negli ultimi anni. È vero anche per Irlanda e Francia che un decennio fa avevano un tasso di fertilità di poco superiore a 2, ma comunque inferiore al tasso di mantenimento.
L’Italia è uno dei paesi fanalino di coda per questa statistica, in compagnia di Spagna, Grecia, Malta, Cipro e Lussemburgo. Malta, addirittura, negli ultimi quattro anni per cui Eurostat fornisce le statistiche, ha visto un vero e proprio crollo da 1,37 nel 2016 a 1,14 nel 2019.
I nati da madri straniere
I dati di Eurostat rilasciati in questi giorni permettono anche di andare a vedere un altro aspetto, meno noto dell’andamento dei nuovi nati in Europa. In un panorama in cui le cittadine europee mettono al mondo mediamente sempre meno figli c’è un dato in aumento. Si tratta di quello dei nati da madri che sono nate in un altro paese, sia un paese membro o meno dell’Unione Europea. Nel 2019 sono stati complessivamente quasi 764 mila su 4,3 milioni di nuovi nati, pari al 17,75% (dati riferiti all’UE a 27). Ma questo tasso varia enormemente all’interno dell’Unione: tocca il minimo in Bulgaria (1,62%) e il massimo in Lussemburgo, dove quasi due terzi dei nuovi nati avevano la madre nata in un paese diverso. Per Cipro, Austria e Belgio questa quota è di circa un terzo.
In Italia i nuovi nati da madre nata in un altro paese nel 2019 sono oltre il 22%, in una tendenza consolidata - e oltre la media europea - nell’ultimo decennio.
La previsione elaborata da Vollset e i suoi colleghi sul crollo della popolazione mondiale, che i dati mostrati in questo articolo non sembrano poter contraddire almeno per il nostro continente, sottolinea anche altri aspetti preoccupanti. Nel 2100 potrebbero esserci, una cosa mai vista nella storia dell’umanità, due ottantenni per ogni bambino di 5 anni. Questo avrebbe delle conseguenze molto significative sulla forza lavoro.
Per esempio, gli Stati Uniti, che attualmente si contendono il posto di prima potenza economica mondiale con la Cina, avrebbero un calo della popolazione di circa il 10% e per mantenere la propria struttura produttiva dovrebbero applicare politiche di immigrazione più liberali, altrimenti non riuscirebbero a tenere il passo. Per l’Europa e per l’Italia, dove il calo di popolazione potrebbe essere maggiore, la situazione potrebbe essere ancora più grave, mostrando quale potrebbe essere una delle grandi crisi di questo secolo, a fianco di quella climatica e ambientale.