CULTURA
(Non) autofiction vol.3: l’esordio strabiliante di Maud Ventura, un esempio, letterario, di DOC
“…Questo quaderno mi ricorda con dolore la mia posizione di eterna debuttante. Si tratta sicuramente anche di un’ammissione di fallimento. Mi rattrista dover stilare una lista di regole da seguire per fa sì che l’uomo che condivide la mia vita mi resti accanto. Perché a quarant’anni sono condannata all’esperienza delle prime relazioni? In amore non ho mai imparato nulla. Sin da adolescente seguo sempre lo stesso schema: amo in maniera così intensa che mi faccio consumare dal mio stesso amore (con analisi, gelosie e dubbi), al punto che, quando sono innamorata, finisco sempre per spegnermi un po’. Quando amo, divento severa, seria, intollerante. Faccio piombare sui miei amori un’ombra di gravità. Amo e voglio essere amata con così tanta serietà che questo amore diventa presto logorante (per me e per l’altro). Insomma soffro di amore infelice. Adrien, Antoine, Arnaud: la mia voglia di amare è sempre stata così tanta che, a prescindere dal soggetto a cui fosse rivolta, l’intensità con cui amavo era sempre la stessa. Per consolarmi di uno passavo tra le braccia di un altro, incapace di stare da sola. L’unica costante era la mia dipendenza dall’amore, piuttosto che da uno o dall’altro di questi ragazzi. Il mio bisogno inesauribile d’amore suscitava in loro reazioni opposte. Per alcuni era visto come una dimostrazione d’affetto eccessiva ma rassicurante. Per altri era piuttosto una responsabilità, che generava paura e sensi di colpa. In ogni caso però le mie storie d’amore si rivelavano un fiasco. Così quando ho incontrato mio marito, l’husband material perfetto, ho deciso di non far trasparire nulla della mia dipendenza. Avevo appena compiuto venticinque anni, non potevo più permettermi di rovinare tutto rivelando in modo troppo chiaro le mie intenzioni (trovare l’uomo della mia vita). Oggi ho imparato a nasconderle, so fingere meglio, ma in fondo c’è una sola cosa capace di tirarmi giù dal letto a qualsiasi ora della giornata e della notte: l’amore”.
Questa è una pagina del libro più bello uscito nel 2022: si intitola Mio marito, lo ha scritto la ventottenne francese Maud Ventura, esordiente, e in Italia è uscito per SEM. La protagonista è una quarantenne di cui mai viene fatto il nome che racconta in prima persona una settimana della sua organizzatissima vita di moglie. Evidentemente – anche per sole ragioni biografiche – non può trattarsi di autofiction. Eppure è un libro tanto vero da far rabbrividire, nonostante la protagonista sembri, per certi versi, al confine tra la sanità mentale e la pazzia, e non si possa credere che il suo modo di pensare e agire sia veritiero, cioè rappresentativo di un’interiorità non patologica. Eppure.
Maud Ventura, salutata da alcuni come la Sally Rooney francese (e in comune con la romanziera irlandese ha di certo, oltre alla giovane età, anche il talento e la capacità, che deve essere del romanziere sempre, di narrare personaggi e situazioni distanti dal proprio vissuto), si cimenta nell’immedesimazione con una donna che fa del suo matrimonio una vera e propria ossessione.
Si lamenta di tutto e tutto pianifica. La sua paura più grande è che il marito possa lasciarla mettendo fine al suo grande e inesausto amore. Quindi registra le conversazioni e le riascolta meticolosamente per poter cogliere microinflessioni della voce o segreti taciuti, prende appunti su diversi quaderni divisi per argomento, trascrive traducendo in inglese le chiacchiere coniugali per farle leggere ai suoi studenti (è professoressa di inglese oltre che traduttrice) di modo da ottenere l’opinione ingenua di parti terze, si tinge di biondo badando che il marito mai non scopra che di natura sarebbe castana perché a lui piacciono le bionde, non si addormenta mai veramente quando è con lui per poter vegliare di continuo il miracoloso amore che le è toccato in sorte. Ma, contemporaneamente, di questo amore così perfetto si lamenta: “Invidio gli amori vietati, le passioni trasgressive che non si possono vivere alla luce del sole. Invidio ancora di più l’amore quando non è – o non è più – reciproco, quando il cuore batte a senso unico, senza che batta anche l’altro. Invidio le vedove, le amanti e le donne abbandonate, dato che io vivo da quindici anni nella fortuna costante e paradossale di essere corrisposta, di conoscere una passione senza apparenti intoppi. Quante volte ho sperato che mio marito mi mentisse, che mi tradisse o che mi lasciasse: la parte della divorziata distrutta è più facile da interpretare. È già scritta. È già stata recitata”. C'è di più:
C'è di più. La protagonista, che pure ama alla follia il marito, lo tradisce ogni giovedì, ma solo per riuscire in questo modo a essere con lui più morigerata e a modo: di fatto l’amante è la valvola di sfogo dall’ossessione che le permette un riposo dal bisogno inesausto di controllo.
Al lettore sembra quindi un personaggio fortemente contraddittorio e chapeau per Ventura che lo ha reso invece profondamente consistente. E non è un caso. Se si chiede a uno scrittore di cosa sia fatto il suo mestiere, infatti, molte volte ci si sente rispondere non tanto "dello scrivere” quanto "del capire le persone” così anche se stupisce che uno scrittore o una scrittrice molto giovani riescano in pieno a cogliere la personalità di personaggi con cui non hanno niente in comune, in realtà ciò è assolutamente in linea con la loro professione. È come fossero degli psicologi senza laurea.
A questo proposito abbiamo scambiato due parole con Daria Tinagli, che psicologa lo è davvero, per sapere cosa si possa dire della protagonista di Mio marito.
Daria, la protagonista senza nome del romanzo di Ventura ha un disturbo psicologico?
“Posto che non è possibile fare una diagnosi psicologica al personaggio di un libro, nella protagonista del romanzo di Maud Ventura è identificabile abbastanza chiaramente un DOC rovesciato, ovvero un disturbo ossessivo compulsivo, nella fattispecie da relazione, ma inverso”.
Cosa vuol dire? In cosa consiste?
“Nelle relazioni di coppia esiste, a volte, un dolore che arriva chissà da dove e riempie di dubbi insopportabili, creando pensieri ossessivi sul proprio amore, sulla sua profondità, sulla sua reale esistenza, su tutto quello che riguarda la persona e il partner: ci si può chiedere se è quello giusto, se quello che proviamo è davvero amore, se siamo in grado di amare davvero eccetera. Ora: se una certa dose di incertezza nelle relazioni ci sta, nel disturbo ossessivo compulsivo da relazione questa incertezza invece non trova prove sufficienti per essere dissipata e diventa il fulcro di ogni pensiero o esperienza”.
E nel caso del libro?
“In generale Il DOC da relazione può essere distinto in due categorie: quello con incertezze circa la relazione, in cui la persona si trova a chiedersi continuamente “Lo amo abbastanza?”, “È la storia che fa per me?”, “Siamo felici come i primi tempi?” e quello con incertezze circa le caratteristiche del partner in cui la persona si chiede “È la persona per me?” “È abbastanza bello/buono/intelligente?”, “Sono sempre attratta da lui?”, “Dovrei essere maggiormente coinvolta da lui?”. La protagonista soffre del disturbo del primo tipo ma in un certo senso a rovescio. Ama troppo, per citare un celeberrimo libro di Robin Norwood (Donne che amano troppo) ed è completamente concentrata in questo suo amore: non esiste vita e pensiero al di fuori di esso. A ben guardare poi si osservano, nella protagonista, i tratti di una dipendenza affettiva: lei si fonde completamente nella coppia perdendo la sua identità. Esiste solo lui e la paura di perderlo”.
E quindi cosa accade?
“Le persone che ne soffrono iniziano a sviluppare una serie di strategie riparative o preventive per rassicurarsi sui sentimenti provati e allontanare le paure legate all’incertezza circa la relazione. Il grado di certezza desiderato è però estremamente alto e irraggiungibile, e così le strategie usate sono destinate a fallire e vanno poi a rinforzare il pensiero ossessivo. Queste strategie disfunzionali utilizzate sono: l’evitamento, il controllo dei pensieri e l’evitamento cognitivo, le autorassicurazioni o la richiesta di rassicurazioni, la confessione, il disinvestimento relazionale. La protagonista di Ventura fa molte di queste cose: cerca di rassicurarsi analizzando meticolosamente i fatti e annotandoli nei quaderni, chiede conferme all’amica Lucie, ma quando questa non gliele offre decide di chiudersi ed evitarla, la confessione è trasposta nel ritrovamento – voluto dalla protagonista – di uno dei quaderni da parte del marito e il disinvestimento, forse, nei tradimenti che opera, rischiando di essere scoperta”.
Ma chi soffre di questo disturbo?
Le persone inclini a sviluppare un DOC da relazione sono frequentemente persone con forti regole morali e una spiccata tendenza al perfezionismo. Anche in questo senso, soprattutto per il perfezionismo, il personaggio di Maud Ventura potrebbe soffrire di disturbo ossessivo compulsivo da relazione”.
C'è da chiedersi se Maud Ventura fosse consapevole del disturbo psicologico del suo personaggio, ed è anche probabile che la risposta sia negativa. La cosa affascinante della letteratura è infatti, sempre, che in ogni libro c'è infinitamente di più di quello che lo scrittore consapevolmente ci mette.
“ Sono innamorata di mio marito. Ma forse dovrei dire: sono ancora innamorata di mio marito Maud Ventura