SCIENZA E RICERCA

Una nuova interfaccia neuro tecnologica con risvolti avveniristici

Per molto tempo gli etologi hanno pensato che gli animali, a differenza degli esseri umani, non fossero in grado di proiettarsi con la mente nel futuro o nel passato e che quindi, in altre parole, non fossero dotati di immaginazione e creatività. Gli studi sul comportamento animale, però, hanno progressivamente ampliato la comprensione delle capacità cognitive degli animali, suggerendo che queste potrebbero comprendere qualche forma di immaginazione o comunque abilità che necessitino di un pensiero flessibile e adattativo.
Gli etologi hanno iniziato a esplorare queste idee attraverso osservazioni sul campo, esperimenti comportamentali e, più recentemente, attraverso l'uso di tecnologie avanzate come l'analisi delle attività cerebrali.

Uno studio dei ricercatori del Janelia Research Campus di HHMI (Istituto medico di Howard Hughes) pubblicato su Science suggerisce che anche i ratti possono immaginare degli scenari, proprio grazie a un metodo innovativo che combina la realtà virtuale e un’interfaccia cervello-macchina.
Per comprendere meglio l’esperimento e le possibili ricerche future abbiamo intervistato Giorgio Vallortigara, docente di neuroscienze all’università di Trento.

Servizio e montaggio di Anna Cortelazzo

Com’è arrivata la tecnologia a permetterci di “leggere nel pensiero” dei ratti e di altri animali? L’interfaccia neuro tecnologica sviluppata dai ricercatori consente di vedere cosa succede nell’ippocampo, dove ci sono dei neuroni che rispondono alla posizione che l’animale occupa nello spazio e che si chiamano place cells (cellule di posizione). Detto così sembra semplice, ma riconoscere e ricostruire il pattern delle place cells, per poi collegare i movimenti dei ratti all’ambiente virtuale, non è stato tecnologicamente banale: “È stato un vero tour de force neuro tecnologico – conferma Vallortigara. – Luoghi diversi del mondo sono rappresentati dall’attività di neuroni diversi, e quello che hanno fatto questi colleghi è piuttosto sofisticato: hanno addestrato i ratti a compiere un determinato percorso in una realtà virtuale per ottenere, alla fine, una ricompensa, il che significa che non si muovono realmente nello spazio, ma sono appoggiati su un tapis roulant a forma di sfera che scorre sotto le loro zampe mentre camminano. Sopra di loro c’è una telecamera connessa con il sistema di realtà virtuale, per cui ogni passettino che loro fanno si riflette sull’immagine visiva corrispondente che viene loro mostrata, e così anche la distanza percorsa e la direzione scelta. Il tutto, come se si stessero davvero muovendo nello spazio. Mentre succede questo, viene registrata l’attività dei neuroni nell’ippocampo e viene spedita a un decoder che impara a leggere i segnali neuronali di queste cellule, così da poterli ricostruire in un pattern in cui a determinati segnali neuronali corrisponde una particolare porzione di scena visiva”.

Questa era solo la preparazione dell’esperimento, durante il quale il ratto era invece completamente bloccato, ma poteva continuare ad attivare i neuroni e a navigare, è proprio il caso di dirlo, nello spazio simulato, come se stesse andando proprio in quel posto in cui poteva ottenere il premio, e qui sta l’attività presumibilmente immaginativa. Ma non solo: “Si può insegnare al ratto – aggiunge Vallortigara – a far muovere in questo ambiente un oggetto esterno usando solamente i segnali del suo cervello, in modo da portarlo, sempre virtualmente, nella posizione giusta per ottenere il premio. È tutto molto spettacolare, devo dire”. In effetti la tecnica dell’esperimento è più sorprendente delle conclusioni.

Di fatto non sappiamo neppure se si può parlare esattamente di immaginazione, perché i ratti sono stati addestrati, quindi potrebbe trattarsi anche di un’attività automatica predittiva dei neuroni: basandosi sulla loro esperienza, i ratti predicono ciò che con più probabilità segue la scena che hanno appena visto. “Quello che accade qui – spiega Vallortigara – è che in ogni circostanza l'animale vede una porzione di scena e l’attivazione dei suoi stessi neuroni, sulla base dell’apprendimento che è stato fatto nel decoder, li fa muovere nell'ambiente. Questo vuol dire che per ogni momento della scena visiva questi neuroni possono predire quello che succede normalmente dopo, cioè che tipo di scena comparirà. Questa attività predittiva fa parte normalmente dell'attività elettrica delle cellule dell'ippocampo e presumibilmente è del tutto inconsapevole, un po' come quando si ha familiarità con un ambiente e mentre ci si muove si sa che girando l'angolo ci sarà una certa scena visiva, per esempio il corridoio che conduce alla porta di una camera. Può darsi che quello che noi stiamo osservando qui nei ratti sia qualcosa di simile, cioè l'esecuzione di un'attività di predizione a partire dalle sequenze di scene visive. Qualcuno in effetti ha fatto osservare che forse l'esperimento giusto sarebbe quello di togliere del tutto l'animale dal sistema di realtà virtuale e vedere se in assenza di questo lui sviluppa lo stesso tipo di pattern che svilupperebbe in condizioni normali per dirigersi in quel posto. Questo corrisponderebbe più precisamente a un'attività immaginativa come noi la conduciamo”.

non sappiamo neppure se si può parlare esattamente di immaginazione, perché i ratti sono stati addestrati, quindi potrebbe trattarsi anche di un’attività automatica predittiva dei neuroni Giorgio Vallortigara

Per chi quindi si era già figurato un ratto seduto in poltrona a leggere Topolino scuotendo la testa con disprezzo, è bene quindi precisare che questo esperimento non è del tutto dirimente per provare che i ratti possiedono capacità immaginative. Tuttavia, come dicevamo, esistono altre prove, alcune delle quali aneddotiche ma esplicative.
Vallortigara racconta per esempio di Santino, uno scimpanzé ospitato dallo zoo di Uppsala, che era solito tirare sassi ai visitatori. Come notavamo, per molto tempo gli etologi hanno pensato che gli animali vivessero solo nel presente, e non fossero in grado di proiettarsi nel futuro. In questo senso, Santino, guidato dall’impulso del momento, infastidito dai visitatori avrebbe preso la prima pietra che trovava e gliel’avrebbe tirata addosso, e questo non avrebbe implicato un esercizio immaginativo, ma una reazione istintiva.

Conoscendo la pessima abitudine dello scimpanzé, i dipendenti dello zoo lo sorvegliavano, per controllare che non raccogliesse pietre da lanciare. A quel punto, però, Santino è stato più furbo, e ha cominciato a raccogliere le pietre molto prima dell’orario di apertura dello zoo, nascondendole dove i custodi non avrebbero potuto vederle, così quando arrivavano i visitatori le poteva recuperare e dedicarsi al “tiro all’umano”. L’elaborazione di questo piano richiede proprio l’immaginazione, che viene infatti associata a comportamenti come il gioco, l'adattabilità a nuove situazioni e, appunto, la capacità di prevedere o pianificare azioni future.

In questo senso, l’esperimento dei ricercatori del Janelia Research Campus non ci dice qualcosa di nuovo, ma è ugualmente notevole per la tecnica utilizzata, che apre nuovi scenari neuro tecnologici: “Si tratta di una tecnologia fantastica – conferma Vallortigara – basti pensare semplicemente al fatto che quello che fanno questi animali lo fanno da fermi, cioè navigano in un ambiente virtuale rimanendo completamente bloccati. Questo tipo di possibilità se applicata, per esempio, alle persone che per varie ragioni non possono muoversi ci lascia immaginare cose totalmente impensabili in questo momento, nell'ambito della salute pubblica ma anche dell’espansione delle nostre possibilità di immaginazione e di pensiero, ovviamente in un futuro in cui queste tecnologie non fossero più legate a procedure invasive come l’impianto di micro elettrodi nel cervello”.

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