SOCIETÀ

Russia: i nuovi dissidenti sfidano la censura

C’era una volta il dissidente, spesso più apprezzato in occidente che in patria. Poteva avere la dirittura morale di Andrej Sacharov o il carisma di Aleksandr Solženicyn, resistere nel suo Paese o andare all’estero, ma per qualche decennio è stata una delle figure più caratteristiche della guerra fredda, destinata a rappresentare un dissenso che difficilmente riusciva a manifestarsi in altri modi.

Un fenomeno che in parte oggi sembra replicarsi nella Russia di Putin, dove la libertà di espressione e di manifestazione sono sempre più sotto pressione. Così, se dopo il 24 febbraio c’erano state diverse manifestazioni di piazza, in seguito alle brutali repressioni da parte della polizia oggi l’opposizione alla guerra sembra essere stata lasciata a pochi testimoni autorevoli ma isolati, a partire dal fresco premio Nobel per la pace Dmitry Muratov, direttore del giornale indipendente Novaya Gazeta.

Il 4 marzo è stata emanata una legge che criminalizza la "diffusione di informazioni deliberatamente false sulle forze militari della Federazione Russa": da allora chi sia ritenuto colpevole di propagare feki (da fake news, in pratica tutto quello che si discosta dalla propaganda ufficiale), o anche solo di utilizzare la parola “guerra”, è passibile di condanna fino a 15 anni prigione. Un attentato alla libertà di informazione che però ha incontrato fin da subito l’opposizione di alcuni giornalisti. È noto il caso di Marina Ovsyannikova, che ha interrotto una diretta sul primo canale pubblico mostrando un cartello contro la guerra; quanto a Muratov e alla sua redazione, in un primo momento hanno reagito soprattutto con l’arma dell’ironia: un titolo riportava ad esempio il ritorno dei coscritti russi dall'Ucraina "dove non sono mai stati", mentre in altri casi la parola guerra è stata evocata all’interno degli articoli con il sapiente utilizzo di spazi bianchi. Un continuo gioco a sfidare la censura, pur rimanendo negli ambiti formalmente descritti dalla legge, che è terminato il 28 marzo con la chiusura della Novaya Gazeta da parte delle autorità.

    Del resto la questione non è limitata al mondo dell’informazione, ma proprio come ai tempi della cortina di ferro coinvolge anche la cultura e la ricerca. “Con lo scoppio della guerra il fenomeno dei dissidenti è diventato ancora più rilevante”, conferma Claudia Criveller, docente di lingua e letteratura russa presso l’università di Padova. Si registra inoltre il ritorno di fenomeni come il samizdat, adattato ovviamente alle nuove tecnologie: “Un esempio viene dalla rivista Roar (Russian Oppositional Arts Review), della quale è stato appena pubblicato on line il secondo numero – continua la slavista –. Su essa pubblicano i poeti e gli scrittori più autorevoli del contesto letterario russo contemporaneo: ma in forma anonima, il che vuol già dire molto. Moltissimi sono poi gli autori emigrati all'estero, mentre altri continuano a provare a resistere”. La pubblicazione, promossa e animata dalla poetessa ucraina di lingua russa Linor Goralik, è stata immediatamente hackerata dopo la prima uscita ma in seguito è stata altrettanto velocemente ripristinata.

    Altra iniziativa interessante è *** / *****. Voci russe contro la guerra, una raccolta poetica tradotta e pubblicata a cura di Mario Caramitti e Massimo Maurizio, scaricabile gratuitamente dal sito dell’università di Torino, mentre l’università per stranieri di Siena ha a sua volta tradotto e pubblicato una serie di testimonianze contro il conflitto. In tempi di dittatura e di soppressione dei diritti i canali culturali e accademici si stanno insomma rivelando particolarmente preziosi per capire cosa stia accadendo oltrecortina, e allo stesso tempo fanno sentire meno isolati quanti cercano giorno per giorno di resistere alla deriva autoritaria. Mostrare dissenso verso il regime putiniano è tutt’altro che semplice: “Un esempio viene dai numerosi documenti e petizioni contro la guerra, che in molti casi hanno portato all’emarginazione e al licenziamento dalle università dei ricercatori e intellettuali che li hanno firmati – spiega Claudia Criveller –. Anche questa non è una novità, ma con l’invasione l’atmosfera si è fatta particolarmente pesante: per questo anche sui social molti preferiscono esprimersi con grande cautela”. Soprattutto per chi rimane la pressione psicologica è costante: le storie che arrivano da Russia e Bielorussia parlano di persone arrestate per un post su Facebook, per aver partecipato a una manifestazione o addirittura solo presenziato a una riunione on line con i colleghi occidentali.

      il regime ripropone costantemente concetti ed espressioni di epoca sovietica, se non addirittura staliniana

      Nella Russia di Putin minacce e intimidazioni non sono una novità: a volte con esiti drammatici come nella vicenda di Anna Politkovskaja, in altri casi portate avanti con mezzi più subdoli ma non meno efficaci. Memorial Italia, racconta Criveller, si è ad esempio occupata del caso dello storico Yury Dmitriev, che con la sua opera ha contribuito in maniera determinante a far riacquistare memoria e dignità a molte vittime dei gulag: “Oggi è in prigione con l’accusa di aver molestato la figlia, dopo un processo molto controverso che ha tutta l’aria della messinscena. Non si tratta di un caso isolato: la stessa associazione Memorial, nata proprio per ricordare le vittime delle repressioni in Urss, è stata recentemente dichiarata illegale, mentre gli studiosi che cercano di portare avanti la sua missione sono a loro volta vittime di intimidazioni e passibili dell’accusa di associazione terroristica. Rimangono al momento attive solo le sezioni internazionali, tra le quali Memorial Italia è particolarmente attiva e vivace”.

      Resta da vedere quanto le voci del dissenso siano ascoltate dall’opinione pubblica russa, che per adesso appare compattata dal conflitto attorno al suo leader. “Mi capita a volte di sentire su Radio Svoboda (‘libertà’, ndr) le interviste dei moscoviti sull’‘operazione speciale’: purtroppo il numero delle persone favorevoli è molto elevato – conclude la studiosa –. Colpisce soprattutto la riproposizione di concetti ed espressioni tipiche dell'epoca sovietica, se non addirittura staliniana, così come sono analoghi i percorsi di emigrazione e i metodi per emarginare le voci dissonanti. Vediamo ripetersi tutto quello che abbiamo studiato”. Una situazione drammatica e dolorosa da accettare soprattutto per chi, ancora oggi, continua a studiare e ad amare la grande cultura russa.

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