SCIENZA E RICERCA

Proteggere la ricerca in Ucraina: l’appello degli scienziati

No, l’Ucraina non ha bisogno solo di armi. A necessitare del sostegno occidentale c’è sicuramente l’esercito, ma anche i profughi e la popolazione rimasta sotto le bombe, oltre al sistema produttivo e a quello agricolo (anche per scongiurare il pericolo di una crisi alimentare mondiale). Mentre l’Europa, in particolare i Paesi vicini come la Polonia, si adopera per assorbire l’enorme massa di profughi, con l’allungarsi del conflitto si pone però anche il problema di preservare il più possibile le funzioni vitali del Paese, nell’ottica di una futura – e vicina, si spera – ricostruzione.

Ricostruzione nella quale scienza e ricerca non potranno che svolgere un ruolo fondamentale: per questo vanno innanzitutto messi in sicurezza il capitale umano del Paese e le strutture di ricerca esistenti. Si spiega così l’appello pubblicato su Science e firmato congiuntamente da Anatoly Zagorodny, Jerzy Duszyński e Marcia McNutt, rispettivamente presidenti delle accademie delle scienze ucraina, polacca e statunitense.

Molti vedono nell'attacco alle strutture scientifiche e culturali un tentativo di cancellare l'identità ucraina

I tre propongono un piano d’azione in 10 punti alla cui messa a punto hanno partecipato anche i rappresentanti della Leopoldina tedesca, della Royal Society britannica, dell’Accademia Reale danese e dell’Allea, la federazione europea delle accademie che riunisce circa 50 istituzioni scientifiche e culturali di 40 Paesi. Il messaggio è che anche in tempo di guerra in Ucraina si deve continuare a fare – per quanto possibile – formazione e ricerca: per questo viene proposta una serie di iniziative che permettano a scienziati e studiosi, in particolare giovani e a inizio carriera, di creare o mantenere i contatti con i colleghi di altri Paesi, oltre a trovare finanziamenti e un luogo e gli strumenti per continuare a svolgere le loro ricerche, sempre nell’ottica di tornare prima o poi alla normalità in un’Ucraina finalmente libera e pacificata.

Un’iniziativa tanto più importante in quanto l’offensiva russa, oltre che la popolazione, ha colpito pesantemente anche obiettivi scientifici e culturali. È il caso ad esempio dell’università di Kharkiv, una della più antiche e prestigiose del Paese, fondata nel 1804, quando l’Ucraina era ancora parte dell’impero zarista, dall’intellettuale e politico ucraino Vasily Karazin. Considerata una dei migliori atenei del Paese nelle materie tecnico-scientifiche, ha accolto sui suoi banchi premi Nobel come Élia Metchnikoff (medicina 1908), Lev Landau (fisica 1962) e Simon Kuznets (economia 1971), ma questo non l’ha salvata da una pioggia di proiettili e missili che non accenna ancora a finire.

In particolare ad essere stato pesantemente colpito è stato l’Istituto di Fisica e Tecnologia, uno dei più importanti del Paese, mentre lo scorso 6 marzo l'Ispettorato statale ucraino per la regolamentazione nucleare (Snriu) ha comunicato alla Iaea che un pesante cannoneggiamento ha danneggiato la locale struttura l'installazione della sorgente di neutroni del KIRP di Kharkiv, con danni significativi. A crollare sotto i bombardamenti è stata anche la Banca dei semi dell’università, una della più importanti al mondo e la più grande in assoluto in termini di estensione e di esemplari conservati: secondo l’organizzazione non profit CropTrust sarebbe a rischio la conservazione dei codici genetici di almeno 2.000 specie di cereali.

Non si tratta dell’unica istituzione scientifica che in questi quattro mesi è stata oggetto di pesanti attacchi, che oltre ad abitazioni, fabbriche e silos per lo stoccaggio di prodotti agricoli hanno colpito anche scuole e teatri (come quello di Mariupol, dove peraltro si erano rifugiati centinaia di civili e di bambini). Tanto che sono in molti a leggere nella strategia di attacco russa un tentativo di cancellare anche la cultura e la ricerca, come mezzo per annullare l’identità ucraina.

L’attacco all’Ucraina fin dall’inizio ha sollevato le proteste di studiosi e scienziati di tutto il mondo, scesi in campo a fianco degli aggrediti in nome degli stessi valori di libertà, trasparenza e rispetto che caratterizzano (o dovrebbero caratterizzare) il mondo della ricerca e della cultura. Per questo anche in Italia molte istituzioni, tra cui l’università di Padova, si sono adoperate innanzitutto per accogliere gli studenti ucraini e permettere loro di non interrompere ma anzi rafforzare i loro percorsi di formazione.

Adesso però, sostengono i firmatari dell’editoriale apparso su Science, è il momento di fare un passo ulteriore, anche in vista della storica decisione che ha riconosciuto Ucraina e Repubblica Moldava lo status di Paesi candidati all’ingresso nell’Unione Europea. Per farlo però è innanzitutto necessario salvaguardare, riparare e rafforzare le reti per la creazione e la diffusione dei saperi. La ricerca, argomentano i rappresentanti delle accademie europee della cultura e delle scienze, sono strettamente connesse con la costruzione del futuro di un Paese, quindi in ultima istanza con la sua stessa sovranità. Senza scienza e cultura non solo non è possibile lo sviluppo: non c’è nemmeno libertà.

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