SCIENZA E RICERCA

I valori della scienza e la guerra in Ucraina

La scienza moderna, nata dalla «rivoluzione scientifica» tra Cinquecento e Seicento, è andata via via definendo non solo i suoi ambiti di applicazione e il suo metodo, ma anche alcuni dei valori o delle norme fondamentali che costituiscono il suo ethos. Questi valori si trovano in larga parte già espressi negli scritti degli scienziati, da Galileo in poi, e sono stati sintetizzati magistralmente dal sociologo Robert Merton nel 1942, in piena seconda guerra mondiale, nel suo articolo dal titolo «A note on science and democracy». Ci limitiamo qui a elencarne alcuni, ampliando la tassonomia di Merton. Il primo è l’“universalismo”, inteso come indipendenza da etnia, nazionalità, religione, classe sociale. Questo valore a tra le sue conseguenze la vocazione “internazionalista della scienza. Il secondo valore è quello della libertà, di ricerca, di comunicazione, di relazione tra gli scienziati, non circoscritta da autorità politiche o religiose. Il terzo valore è il “comunismo”, nel significato esteso del termine, come “proprietà comune” delle acquisizioni scientifiche, che mette in discussione l’effettiva congruenza dello sviluppo scientifico in un’economia capitalistica. Il quarto valore è il “disinteresse”, non nel senso che uno scienziato è un altruista, ma che per fare scienza ogni tentativo di frode alla fine viene punito grazie al controllo dei risultati. Infine un quinto valore è lo “scetticismo organizzato”, inteso come l’uso sistematico della ragione, l’educazione al senso critico e la sospensione del giudizio fino a che non ci siano fatti acclarati. Questo valore, come osservava Merton nel 1942, viene disatteso nelle società totalitarie, dove si promuove l’anti-razionalismo e la centralizzazione del controllo istituzionale.

A ben vedere i valori dell’ethos della scienza costituiscono non solo una base epistemica della democrazia, ma sono anche un punto di riferimento ineliminabile per promuovere la convivenza pacifica tra i popoli. Più volte nel corso della storia il rapporto tra scienza, da un lato, e società e politica, dall’altro, ha attraversato momenti di crisi: questi segnalano di solito involuzioni delle società, dove si manifestano eccessi prodotti dal nazionalismo, dal fondamentalismo, dai conflitti etnici, dalla celebrazione della violenza e dalle guerre. Quasi sempre, come osservava lo storico della scienza Gerald Holton in un convegno del 1991, il primo di una serie di convegni tra gli Stati Uniti e l’allora Unione Sovietica centrati sulla riflessione della dimensione politica e sociale della scienza e della tecnologia, questi fenomeni sono connessi col diffondersi nella società di posizioni anti-scientifiche. Alcuni esempi, tratti dalla storia del XX secolo, sono a tal proposito particolarmente significativi. Il primo viene citato anche da Merton.

Nell’ottobre 1914, a seguito della reazione mondiale di condanna della Germania, che in agosto aveva invaso il Belgio violandone la neutralità, il governo tedesco tentò di correre ai ripari forzando gli intellettuali a pronunciarsi a sostegno del Reich. Venne così redatto il “Manifesto al mondo al mondo civile”, che giustificava il militarismo tedesco come necessario per la difesa della cultura tedesca, il «più prezioso bene dell’umanità». Il Manifesto che, oltre all’atteggiamento nazionalista, esprimeva anche un atteggiamento razzista, venne firmato da 93 personalità del mondo accademico, scientifico e umanistico. Tra gli scienziati, vale la pena menzionare Paul Ehrlich, Fritz Haber, Felix Klein, Walter Nernst, Wilhelm Ostwald, Max Planck.

Questo documento spinse Georg Friedrich Nicolai, un cardiologo berlinese, e Albert Einstein a stendere un “Manifesto agli europei”, che condannava il nazionalismo, si opponeva alla guerra e proponeva l’unione dell’Europa «come un’unica entità per preservare il suo territorio, la sua popolazione e la sua cultura». Alla fine ottennero l’adesione solo di Wilhelm Förster, già direttore dell’osservatorio di Berlino, e del giovane ricercatore Otto Buek, filosofo. Solo quattro intellettuali presero posizione in difesa di uno dei capisaldi dell’ethos della scienza. Eppure la loro denuncia fu importante, come osserva Merton: «Questa violazione della norma dell’universalismo di fatto presuppone la legittimità di questa norma. Perché il ‘pregiudizio nazionalistico’ è criticabile solo se giudicato in termini dell’accezione usuale di universalismo; all’interno di un altro contesto istituzionale, esso viene ridefinito come una virtù, il patriottismo. Così, attraverso il processo che porta a disprezzare la loro violazione, i valori [dell’ethos della scienza] sono riaffermati».

Il secondo esempio riguarda l’ostracismo che colpì gli scienziati degli “Imperi centrali” (tedesco e austro-ungarico), cioè appartenenti alle nazioni uscite sconfitte dalla prima guerra mondiale: dal 1918 e fino alla seconda metà degli anni 1920, infatti, gli scienziati di lingua tedesca vennero esclusi da quasi tutti i convegni e associazioni internazionali di scienziati. Anche in questo caso furono pochi gli scienziati che continuarono a battersi in difesa della vocazione internazionalista della scienza. Tra questi spicca il nome di Tullio Levi-Civita che in una lettera a Sommerfeld del 9 dicembre 1920 scriveva: «Io sono sempre stato, non soltanto in scienza, un internazionalista convinto, e, in base a tale idealità, considero au-dessus de la mêlée [“al di sopra della mischia”] tutti indistintamente i nazionalismi, nonché i precedenti e i conseguenti della orribile guerra che ha sconvolto l’Europa in modo così disastroso». Proprio a Levi-Civita si devono importanti contributi alla riapertura del dialogo tra tutti gli scienziati, indipendentemente dal paese di origine.

Il terzo esempio è la lettera aperta alle Nazioni Unite di Niels Bohr del 9 giugno 1950. In essa lo scienziato danese sostiene che le armi nucleari creano una situazione di pericolo mai incontrata prima dall’umanità. Ma proprio perché minacciano ugualmente tutte le nazioni, esse offrono un’opportunità unica per raggiungere un universale accordo a non farne uso, da cui può scaturire un’era di pace duratura. «Qualunque garanzia - scrive Bohr - che il progresso delle scienze sia usato solo a beneficio del genere umano presuppone lo stesso tipo di atteggiamento di quello richiesto per realizzare la cooperazione tra le nazioni in tutti i settori della cultura. [...] Oggi infatti è più necessario che mai rendersi pienamente conto dei doveri e delle responsabilità che l’essere cittadini del mondo comporta. [...] Il fine da porre sopra ogni altro è quello di un mondo aperto, nel quale ciascuna nazione possa affermarsi solo nei limiti in cui sia in grado di contribuire alla cultura comune e di aiutare le altre grazie alla propria esperienza e alle proprie risorse]. [...] I ragionamenti qui presentati suggeriscono che ogni iniziativa, proveniente da qualsiasi parte, che si muova nella direzione di una rimozione degli ostacoli alla libera informazione reciproca e al libero scambio, sarebbe della massima importanza per rompere l’attuale situazione di stallo e incoraggiare altri a muoversi nella stessa direzione». Ancora un esempio del richiamo ad alcuni valori dell’ethos della scienza in chiave di presa di posizione in favore di uno sviluppo democratico “internazionalista”, sotto l’egida delle Nazioni Unite. Non a caso Bohr promuove, insieme a Pierre Auger ed Edoardo Amaldi, la nascita del Cern di Ginevra a partire dal 1952: è di fatto il primo atto concreto di una cooperazione europea tra nazioni che uscivano da due guerre mondiali, con tragedie inenarrabili che le avevano viste schierate su fronti opposti.

Questi esempi ci riportano a quanto sta avvenendo oggi con la guerra in Ucraina invasa dalla Russia e, alla luce dei valori della scienza, stimolano alcune domande.

Colpire la scienza, l’arte, la cultura in senso lato, ostracizzando gli intellettuali russi (compresi quelli del passato, come Dostoevskij, Prokof'ev, Čajkovskij, le cui opere vengono in vari paesi, e anche in Italia, messe al bando) è davvero la strada giusta per opporsi alla guerra in atto e per costruire la pace? Molti scienziati e intellettuali russi, rischiando di persona, hanno preso posizione contro la guerra, e questi indubbiamente vanno ammirati e sostenuti. Ma ha senso chiedere agli scienziati e intellettuali russi una pubblica dichiarazione contro Putin e la guerra per poter svolgere il loro lavoro fuori dalla Russia?

Il Consiglio del Cern, dove sono presenti rappresentanti degli stati membri e di stati “osservatori” (Giappone, Federazione Russa, USA), con una decisione senza precedenti ha sospeso lo status di “osservatore” alla Federazione Russia e contestualmente ha deciso di non impegnarsi in nuove collaborazioni con la Federazione Russa e le sue istituzioni fino a nuovo ordine. Questa decisione non è stata condivisa da molti scienziati del Cern, tra cui John Ellis e Guido Tonelli, che pure hanno apprezzato il fatto che non siano stati allontanati i molti scienziati russi che operano oggi nel Cern. Quindi ogni volta che uno stato membro od osservatore del Cern si impegna in una guerra il Consiglio dovrebbe discutere di una sua sospensione? Sarebbe la paralisi dell’impresa scientifica. L’ostracismo deciso dalla politica di una parte dei membri della comunità scientifica non va forse a detrimento non solo della scienza, ma anche di quelle relazioni personali che, come ben esemplificato dalle posizioni di Levi-Civita, servono per conoscersi, discutere e capire più a fondo i diversi punti di vista, e su questa base costruire la pace tra i popoli?

E le circolari emanate dalla ministra italiana dell’Università e della Ricerca, Maria Cristina Messa, che prima chiede di far arrivare al Ministero la lista delle collaborazioni con Istituzioni e Enti russi, e poi di sospendere ogni attività mirata a far partire nuove collaborazioni, e sospendere quelle in atto che possano avere utilizzo duplice civile e militare, serve davvero a costruire la pace? Università italiane, più realiste del re, su questa base hanno interrotto ogni collaborazione con i russi in qualunque ambito della cultura.

I valori della scienza hanno dimostrato, come abbiamo visto, il ruolo importante che la scienza può svolgere per costruire la pace e la cooperazione. E la storia dimostra che la loro messa in discussione segna momenti bui della storia dell’umanità.

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