SCIENZA E RICERCA

I minerali critici ucraini tra politica, economia e scienza

Dopo mesi di negoziati, a tratti anche molto tesi, il 30 aprile Stati Uniti e Ucraina hanno firmato un accordo sui minerali critici, che secondo il Dipartimento del Tesoro USA aiuterà anche la ricostruzione del Paese dopo il conflitto. Il presidente americano Trump aveva sostenuto a lungo che un simile accordo fosse una condizione per fornire future garanzie di sicurezza a Kyiv, mentre l’Ucraina continua a resistere all’invasione russa. L’intesa prevede la creazione di un fondo d’investimento congiunto fra Stati Uniti e Ucraina per esplorare le risorse minerarie e, anche se i dettagli non sono ancora pubblici, dovrebbe stabilire un’equa distribuzione dei ricavi generati.

La vicepremier ucraina e ministra dell’economia Yulia Svyrydenko (volata a Washington per firmare l’accordo con il segretario al Tesoro statunitense, Scott Bessent) ha dichiarato in un post su X che il nuovo fondo “attrarrà investimenti globali nel nostro Paese”. Infatti l’intesa dovrebbe riguardare progetti nei settori dell’estrazione mineraria, del petrolio e del gas, ma la partnership dovrà prima essere ratificata dal parlamento ucraino. In cambio, gli Stati Uniti dovrebbero fornire nuovi aiuti a Kyiv.

L’annuncio della firma è arrivato pochi giorni dopo un incontro tra i presidenti Donald Trump e Volodymyr Zelensky a margine del funerale di papa Francesco, immortalato da una foto divenuta subito virale. L’accordo originario doveva essere firmato a febbraio, ma era clamorosamente naufragato dopo una conferenza stampa congiunta alla Casa bianca in cui i toni erano stati a dir poco accesi.

I tesori nel sottosuolo ucraino

Il territorio ucraino possiede vaste riserve di minerali critici come grafite, titanio e litio, che sono molto richiesti per il loro impiego nelle energie rinnovabili, nelle applicazioni militari e nelle infrastrutture industriali. L’interesse degli USA per queste risorse si inserisce in un contesto di crescente conflitto commerciale con la Cina, che al momento controlla quasi il 90% delle terre rare mondiali.

Ma cos’hanno di speciale i minerali critici ucraini (che non comprendono solo le terre rare) e perché sono al centro delle trattative internazionali? Per capire l’importanza di questi elementi, abbiamo sentito Volodymyr Pavlyshyn, professore all’Istituto di geochimica, mineralogia e formazione dei minerali dell’Accademia nazionale delle scienze ucraina. Innanzitutto ci dice che “la terra e le risorse minerarie sono i due fattori più importanti che possono influenzare lo sviluppo dell’economia ucraina. Questo perché, fino al 2014, l’Ucraina possedeva circa il 25% del suolo fertile mondiale (černozëm) ed è anche una delle nazioni europee più ricche di risorse minerarie”.

Tra i vari minerali ucraini, ce ne sono però alcuni che interessano più di altri soprattutto la politica, ovvero – continua Pavlyshyn – “i metalli delle terre rare, il litio e il titanio: hanno proprietà diverse, ma quasi tutti trovano ampio impiego nello sviluppo dell’elettronica moderna”. Questi metalli si trovano soprattutto in una struttura geologica chiamata Scudo Ucraino, una vasta fascia che copre circa due terzi del Paese da nord-ovest a sud-est. Il mineralogista spiega che “lo Scudo è costituito da rocce dure e circondato da rocce più morbide (come petrolio, carbone, gas e sabbia). Ci sono diversi giacimenti di litio e i più interessanti sono nel sud: Polokhivske, oggi il più ricco, e Shevchenkivske, praticamente pronto per l’estrazione ma al momento inattivo”. Quest’ultimo giacimento è particolarmente problematico perché si trova nel Donbas, una delle zone attualmente occupate dalle forze russe.

Dall’Unione Sovietica a oggi

L’estrazione di minerali critici comporta spesso rischi per l’ambiente, specialmente in un Paese che ha sofferto ingenti danni industriali per colpa della guerra, per questo chiediamo a Pavlyshyn come pensa che l’Ucraina possa garantire pratiche sostenibili nello sfruttamento minerario. Ci risponde che bisogna guardare alla storia, infatti “l’Unione Sovietica ha sfruttato in modo predatorio le risorse ucraine: se l’estrazione di litio era modesta, il titanio ucraino rappresentava oltre il 70% del bilancio complessivo dell’URSS; una percentuale simile riguardava il mercurio e alcune argille. In Unione Sovietica non si sviluppavano tecnologie verdi, mentre l’estrazione aumentava; per questo nel 1991 l’Ucraina garantiva il 5% dell’estrazione mondiale di materie prime minerali, pur occupando meno dell’1% della superficie terrestre”.

Oggi però è necessario adottare metodi più efficaci per estrarre, lavorare e consumare le materie prime minerali. E il problema – secondo il docente ucraino – si può dividere in due parti: “l’estrazione e la componente ambientale; ma la questione più importante da risolvere è la redditività, e per calcolarla bisogna considerare molti dettagli come la composizione minerale, la temperatura, l’evaporazione di gas nocivi”.

Per risolvere questi problemi, Pavlyshyn sostiene che “è importante una transizione tecnologica verso metodi biologici e fisici. Fino al 2014, quando la Russia ha invaso l’Ucraina per la prima volta, c’erano piccoli tentativi in questo senso. Ma si trattava di startup che operavano ancora a livello di laboratorio (principalmente a Kryvyi Rih, Dnipro e Zaporižžja), non esistevano biotecnologie su larga scala produttiva. Oggi nel settore minerario-estrattivo ci sono alcune aree di sviluppo attente all’ambiente, ma siamo terribilmente indietro e non possiamo sviluppare le nostre tecnologie, dovendo adottare innovazioni straniere”. Per esempio, il mineralogista cita il Giappone dove ci sono “tecnologie che estraggono non solo il componente principale di maggior valore ma anche elementi presenti in tracce che lo accompagnano, poiché questi possono essere altrettanto preziosi. In Ucraina, invece, si estrae solo il componente principale e non ci sono tecnologie per recuperare anche gli altri elementi”.

La scienza tra guerra e pace

Vista anche la recente firma dell’accordo con gli Stati Uniti, domandiamo a Volodymyr Pavlyshyn come l’Ucraina potrebbe sfruttare questa partnership per far ripartire l’economia mantenendo al contempo la sovranità sui propri asset critici. Ci risponde che è una questione “molto importante e nuova per l’Ucraina, perciò penso che anche ai livelli più alti del governo non sia ancora stata del tutto elaborata. Per esempio, si potrebbe usare la semplice formula ‘50 e 50’: se per ipotesi estraiamo 10 tonnellate di cerio, le dividiamo a metà (5 tonnellate vanno agli Stati Uniti, 5 tonnellate restano in Ucraina). Questo è un approccio molto primitivo e schematico, ma bisogna definire bene l’accordo affinché la cooperazione porti benefici all’economia senza danni per l’ambiente”. 

La situazione in Ucraina è in effetti molto complessa e, come conclude il mineralogista, “sorgono anche molte domande riguardo ai giacimenti minerari che si trovano nelle zone attualmente occupate dai russi”. Anche per questo motivo, l’intesa che porterà interessi economici statunitensi sul suolo ucraino è stata valutata positivamente, sebbene le trattative per cessare le ostilità sembrano ancora in alto mare.

Siamo riusciti a intervistare il professor Pavlyshyn grazie all’aiuto di Science at Risk, la piattaforma digitale e comunità di scienziati ucraini che aiuta giornalisti, donatori e ricercatori stranieri a stabilire contatti con specialisti in Ucraina. La loro missione è raccontare come le istituzioni di ricerca e gli scienziati ucraini stanno affrontando le sfide poste dalla guerra: per esempio, secondo i loro dati il 15% delle infrastrutture scientifiche ucraine è stato danneggiato a causa dell’invasione russa. Nonostante ciò l’88,2% degli scienziati è rimasto in Ucraina, ma il 72,9% di loro riporta di non poter continuare le proprie ricerche allo stesso livello di prima. Anche per la scienza dunque, una pace giusta e duratura è l’obiettivo cruciale da raggiungere, e si spera che l’accordo appena firmato sia un passo in questa direzione.

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