Andrea Pennacchi. Nella parte destra della foto il teatro Mariupol dopo i bombardamenti russi. Foto: Reuters
È di pochi giorni fa la notizia del teatro di Mariupol che viene bombardato nonostante ci sia scritto chiaramente, per terra, davanti e dietro, che ci sono dei bambini dentro che si rifugiano. È difficile commentare. L'unica notizia positiva è che a quanto pare le persone che si erano rifugiate lì sono sopravvissute.
Stiamo perdendo il contatto con l'umanità, che è proprio la cosa cui servono i teatri. Bombardare i teatri sembra rispondere a un disegno preciso, quello di voler uccidere una città, una cultura identitaria.
Trent'anni fa iniziava l'assedio di Sarajevo, con l'obiettivo di distruggere l'anima multietnica di quella città, di fare quel che si chiama un urbicidio, che è culminato nell'incendio della biblioteca di Sarajevo.
Io lo ricordo. Alla fine degli anni ’90, quando ormai la guerra era finita, sono andato con Andrea Segre e altri a Sarajevo. Ricordo ancora che c'era un ragazzo serbo dentro la biblioteca, dove c’erano ormai solo i segni dell'incendio, piangeva a dirotto pensando che era stato il suo popolo a fare questa cosa.
LEGGI ANCHE:
Mi consola un po’ pensare che un teatro abbia protetto le persone fisicamente, come generalmente tutti i luoghi di cultura vorrebbero proteggere un po l'anima delle persone. E mi consola che abbia tenuto.
Spero che finisca presto, perché io sono dentro un teatro. Sono a raccontare la storia di mio padre, nella seconda guerra mondiale. Lui sperava che fosse l'ultima, che si fossero sacrificati molti giovani e invece siamo di nuovo qua a discutere, a combattere una battaglia lunga.
Uno dei punti assurdi sono anche le dichiarazioni del leader sovietico che sostiene che I teatri vengano minati dagli ucraini per farli saltare in aria quando sono sorvolati da un caccia russo. Sono dichiarazioni che hanno dell’assurdo. E se non ci fosse una guerra, dove muore della gente, io ci farei uno spettacolo sopra.
Quindi chiudo con questa considerazione. Spesso mi chiedo se abbia senso stare sul palco a raccontare cose, a far ridere la gente, mentre sta succedendo l'inferno a pochi chilometri da noi. E la risposta è sì. Sì, perché cerchiamo di far pensare e tener viva l’anima.
E forse un giorno, sperando che questa guerra finisca presto, potremmo fare uno spettacolo grottesco sulle assurdità proprio della guerra.
Il teatro di Mariupol dopo i bombardamenti russi. Foto: Azov Handout/ via REUTERS