CULTURA

Sessantotto, Cani Sciolti: la normalità di una generazione in un fumetto

Milano 1968, le prime occupazioni di università e licei, le prime manifestazione in piazza, la voglia di cambiare. Sono state utilizzate varie forme per raccontare questo periodo della storia italiana e tra queste c’è anche un fumetto. Gianfranco Manfredi e Luca Casalanguida hanno dato vita a Sessantotto. Cani Sciolti, un volume di 128 pagine edito da Sergio Bonelli Editore, precursore di una serie che uscirà in edicola a novembre. 

I protagonisti sono sei ragazzi: Lina, Margherita, Paolo, Armando, Milo e Turi, uniti da un legame d’amicizia nato durante le agitazioni di quell’anno. La prima parte segue, infatti, le vicende accadute nel capoluogo lombardo all’inizio del movimento, dall’occupazione dell’università Statale alle manifestazioni in piazza Duomo, passando per il bar Magenta, che con il suo stile Liberty accoglie gli studenti da diverse generazioni. Tuttavia, questi eventi storici fanno solo da sfondo alle vite dei protagonisti, collocate al centro del racconto in un viaggio tra le speranze e i desideri di ognuno.

Dopo questo inizio immerso nell’atmosfera sessantottina, il fumetto fa un passo in avanti di vent’anni. Siamo nel 1988: in una mostra fotografica ritroviamo uno scatto dei protagonisti durante una manifestazione del ’68. In modo velato, il lettore si trova di fronte non solo alla crescita dei personaggi ma anche della società, con le conferme e le contraddizioni tipiche dei cambiamenti.

Un lavoro adatto sia a chi ha vissuto quel periodo storico, sia alle generazioni successive: abbiamo intervistato Gianfranco Manfredi per dare uno sguardo ancora più profondo non solo al fumetto ma anche alla sua personale esperienza.

Nella postfazione di Sessantotto. Cani Sciolti lei racconta di aver recuperato la sua agenda del 1968, anno in cui ha iniziato l’università lì a Milano, per favorire la stesura della trama. Continua scrivendo “la memoria non registra le cose in ordine cronologico ma in ordine emotivo”: in questo tuffo nel passato, quali sono le emozioni che ha riscoperto, ricordato oppure non ha più sentito sue durante la creazione?

Mi riferivo a una mia canzone (Agenda 68) in cui raccontavo di aver trovato l’agenda. La canzone era del 1976 e intendeva dire che dopo solo sei anni già non mi ricordavo più cosa avessi fatto nel '68, cioè intendeva misurare lo stacco. Le agende degli appuntamenti sono diverse da quelle diaristiche, e di qualunque anno si tratti, sono indecifrabili come epigrafi etrusche: si leggono sigle, orari, nomi, numeri di telefono che non si riescono a ricondurre a esperienze vissute. Nel caso del '68, i giorni che sull’agenda erano bianchi, cioè non c’era scritto nulla, non erano giorni vuoti, ma giorni talmente pieni che non c’era neanche il tempo di prendere un appunto sull’agenda.ù

Questo stile di vita è bene espresso nell’album del 1968 che De André scrisse con i New Trolls: Senza orario, senza bandiera.  Anche se l’album è di quell'anno, può sembrare paradossale applicarlo a un '68 in cui si sventolavano bandiere, però era più importante il ”senza orario”: se non si considera il “senza orario” non si capiscono neanche le bandiere. Il “senza orario” trasmette bene le emozioni e le tensioni , le esperienze e i sogni , cioè tutte le cose che travalicano il tempo “ordinato” (tra l’altro, una delle canzoni dell’album, si intitola Duemila, dunque racconta come si guardava al futuro). Se invece si osservano, anche nelle foto, le bandiere, gli striscioni, gli slogan sui cartelli, lì entra la Storia e le cose si fanno “ordinate”. Gli stessi cortei, con la loro disposizione, con i cordoni, sono “ordinati.” Dunque il difficile è stato raccontare questo intreccio tra disordine (vitale, non regolato e non regolabile) e ordine (con cui si “manifestava” cioè, come da parola stessa, ci si raccontava agli altri tutti insieme, in modo organizzato, esprimendo i motivi della propria lotta e le proprie aspirazioni non di singoli, ma condivise e collettive).

Sono presenti sei personaggi principali, ognuno con una sua specifica storia e sviluppo nella trama. Rivolgendoci a chi non ha vissuto il movimento, possiamo considerarli un "esempio" di studenti presenti durante le manifestazioni e le occupazioni? Quali erano, più in generale, le tipologie di studenti o quali sono quelle che le sono rimaste più impresse?

Non ho scelto le tipologie scolastiche classiche e banali: il primo della classe secchione, la ragazza carina e quella bruttina, il grasso simpatico, il timido e lo sfacciato. Il criterio è stato un altro, fondato su due motivi principali di tipo storico e sociale: 1. Ci sono quattro maschi e due femmine perché nell’Università di allora le donne erano in minoranza numerica; 2. Sono tutti studenti borghesi, perché l’istruzione era selettiva su base di classe, cioè era difficilissimo per un figlio di proletari conseguire diplomi di scuola superiore o addirittura laurearsi. Dire borghesia, però vuol dire poco, se non si considera che c’erano tra noi: studenti di famiglie alto borghesi (come il personaggio di Marghe il cui padre è un alto dirigente di un’importante finanziaria con legami internazionali), studenti con famiglie borghesi (Deb il cui padre è un impresario edile e il fratello lavora in una multinazionale della plastica), studenti con famiglie di commercianti (Lina, Pablo, Milo) e studenti figli di impiegati (Turi, figlio di un vigile urbano che lavora al comando della polizia municipale, in ufficio).

Il gruppo in sé, invece, come composizione di “tipi”, casuale, come erano casuali i gruppi di amici. Ho pensato ad amici miei, a persone che avevo conosciuto, a differenze di caratteri “reali” non stereotipati. Questo gruppo esprime una sua unità pur nella diversità delle persone. Dopodiché ciascuno di noi ha avuto esperienza di gruppi diversi tra loro, non tutte le “compagnie” erano e sono uguali. Quello che caratterizza la compagnia dei miei personaggi è che restano in contatto al di là del loro percorso scolastico, non solo per mera “amicizia” , ma perché anche negli anni '80 continuano ad avere interessi sociali comuni. Si ritrovano non solo per stare insieme e neanche per nostalgia, ma perché continuano a fare delle cose insieme. Dopodiché questo gruppo non è affatto chiuso, perché il volume Sessantotto è solo il primo di una serie a fumetti che sarà in edicola da novembre e che copre un arco che va dal '68 al '89 , ma anche con flash back addirittura d’epoca fascista e flash forward sul 2000, dunque nella serie ci sono moltissimi personaggi. Questo gruppo è il nucleo forte, ma c’è un gran via vai nelle loro conoscenze.

Crede che l’interesse per il cambiamento, sia in ambito universitario che non, coinvolga ancora oggi gli studenti oppure nota una certa apatia?

L’apatia non la rilevo io, credo che la riscontrino loro stessi. I legami tra gruppi di amici e di amiche restano forti, ma l’Università non è più il fulcro, come non lo è più la scuola in generale. La mancanza di un luogo “cruciale” pesa molto e contribuisce alla dispersione. Inoltre i giovani di allora erano baby boomers, cioè erano tanti e pure figli di famiglie numerose; quelli di oggi sono pochi rispetto alla popolazione anziana e sono spesso figli unici. Quando si cresce (come il personaggio di Lina) tra una dozzina di fratelli e sorelle più altri parenti, nonne, zii eccetera è evidente che si impara cosa sia la socialità fin da piccoli.

Ciascuna generazione fa il suo bilancio misurando più i cambiamenti avvenuti nella loro vita concreta che i cambiamenti economici, storici e sociali

La fotografia che ritrae i protagonisti durante una manifestazione porta il titolo di Dove siete?, scelto dall'autore dello scatto in una mostra successiva al 1968: rigirando la domanda in chiave più generica, secondo lei cosa è rimasto del Sessantotto? Citando una sua frase nella postfazione "I giovani restano giovani al di là del tempo"? 

Tutte le generazioni si sono poste la stessa domanda, crescendo: cosa ne è stato del periodo in cui avevamo vent’anni? Nel film di Ettore Scola C’eravamo tanto amati ci si interrogava su: cosa ne è stato dello spirito della Resistenza? Nel film Il Grande Freddo ci si interrogava su: cosa è rimasto del ciclo delle lotte degli anni 60 e 70, al di là delle canzoni? Oggi ci si interroga su “cosa è rimasto degli anni 80”? E dei novanta? Ciascuna generazione fa il suo bilancio misurando più i cambiamenti avvenuti nella loro vita concreta, nelle loro scelte di vita, che i cambiamenti economici, storici e sociali.

Questi secondi non possono essere misurati bene se non si prendono a parametro le nostre vite concrete e le nostre esperienze reali. Dunque ha poco senso chiedersi cosa è rimasto di un certo periodo: i periodi sono tutti a termine per definizione. Quello che conta, nel tempo, sono altre cose: che lavoro faccio? Ho avuto dei figli o no? Sto meglio o sto peggio? Sento di aver ottenuto qualcosa o è prevalente la sensazione di aver perso qualcosa?  Come giudico le mie scelte nel confronto alle scelte altrui? Spero ancora in qualcosa o non ho più speranza alcuna? Queste sono le domande che contano. Dove siete? è un interrogativo che ci si dovrebbe porre sempre: Dove siamo? nel senso anche di “a che punto stiamo?” Questa domanda interroga il nostro OGGI non il nostro IERI.

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