UNIVERSITÀ E SCUOLA

La scuola in ospedale: dal fai-da-te a progetto nazionale

È un’opportunità ancora poco conosciuta, con tanto bisogno di risorse e organizzazione. Ma la scuola in ospedale, il servizio che permette a bambini e ragazzi ricoverati di assistere alle lezioni ed essere seguiti dai docenti direttamente nel luogo di cura, sta ormai assumendo dimensioni rilevanti. Nell’anno scolastico 2013/2014 sono stati 72.765 gli alunni che hanno frequentato periodi di formazione in ospedale: i docenti impegnati sono stati 1.016, mentre sono in tutto 240 gli istituti scolastici che comprendono (o hanno istituito nell’ultimo anno) una o più sezioni ospedaliere. La maggioranza degli studenti appartiene alla scuola primaria (40,2%), seguita dalla scuola dell’infanzia (38,3%) e dalla secondaria di primo grado (14,2%), mentre sono ancora pochi i giovani della secondaria di secondo grado (4,9%).

Più limitata, ma ugualmente importante, la dimensione che sta assumendo l’istruzione domiciliare, che garantisce il supporto didattico presso l’abitazione dei ragazzi malati: nel 2013/2014 ne hanno usufruito 1.235 studenti, che si sono potuti avvalere di 3.448 docenti (in media quasi tre docenti a disposizione di ogni alunno). Un seminario promosso dal ministero dell’Istruzione ha permesso di tracciare un bilancio dell’esperienza svolta fin qui e, soprattutto, di avviare una nuova fase organizzativa per un servizio assolutamente cruciale per il sostegno e la formazione dei ragazzi che non possono frequentare la scuola per motivi medici. Il rinnovato portale Internet “Scuola in Ospedale”, frutto della collaborazione con Cnr e Politecnico di Milano, è ora il principale strumento di raccordo dei soggetti impegnati in questo settore (studenti, docenti ospedalieri, genitori, uffici scolastici, operatori sanitari, associazioni) e in futuro, si spera, permetterà di integrare un numero crescente di strumenti multimediali per facilitare questa complessa forma di istruzione decentrata.

Se la scuola in ospedale è una realtà in espansione si deve, al momento, soprattutto all’iniziativa dei singoli istituti e dirigenti. Uno dei problemi da superare è proprio il quadro normativo carente, cui è collegata la scarsa messa a punto di procedure standard, che in tutto il territorio nazionale offrano modalità e tempi  di risposta uniformi rispetto alle richieste delle famiglie. L’esperienza delle scuole ospedaliere nasce negli anni Cinquanta, per offrire sostegno didattico e psicologico ai bambini costretti a lunghi ricoveri; ma è solo tra la fine degli anni ’80 e il decennio successivo che le indicazioni ministeriali si fanno un po’ più dettagliate, e inizia a prendere forma un sistema meno frammentario. Circolare dopo circolare, il ministero ha chiarito alcuni punti essenziali. I ragazzi ricoverati presso un ospedale in cui un istituto scolastico ha attivato una sezione vi sono ammessi senza formalità, pur rimanendo iscritti nella scuola di provenienza. Le fasi di formazione trascorse in ospedale sono pienamente riconosciute come frequenza scolastica, purché documentate; qualora il prolungamento della degenza renda prevalente la formazione in ospedale rispetto ai periodi trascorsi nella scuola di provenienza, gli scrutini finali verranno effettuati dai docenti ospedalieri, previo accordo con l’istituto a cui il ragazzo è iscritto. È anche possibile che lo studente sia ricoverato o sia a casa durante lo svolgimento di esami di Stato: in questo caso è ammesso che le prove siano sostenute in ospedale o presso il domicilio del malato. L’istruzione domiciliare, di norma, viene riservata agli alunni che, per motivi di salute, si trovino a casa e nell’impossibilità di frequentare la propria scuola per almeno 30 giorni. I genitori che siano interessati ai progetti di scuola in ospedale o di istruzione domiciliare devono rivolgersi allo specifico referente del proprio territorio (ogni ufficio scolastico regionale ne ha uno). Qualora la struttura dove lo studente è ricoverato non disponga di una sezione scolastica, visto che non è consentito alle famiglie far cambiare ospedale al bambino per motivi didattici e non terapeutici, è possibile attivare ore aggiuntive di insegnamento a cura di singoli docenti, oppure servirsi di tecnologie multimediali per permettere al ragazzo di mantenere il contatto con la propria scuola. Nel caso dell’istruzione domiciliare, alla richiesta dei genitori deve seguire un progetto specifico redatto dalla scuola di appartenenza dello studente; una volta approvato dal collegio dei docenti e dal consiglio di istituto, il progetto viene inserito nell’offerta formativa della scuola e trasmesso all’ufficio scolastico regionale, che stanzia i fondi necessari e rilascia il nulla osta. Un iter, come si vede, ancora complesso e lungo, poco adeguato a situazioni che spesso richiederebbero risposte rapide.

Una recente nota del Miur cerca di aprire una fase nuova per la scuola in ospedale, sottolineando i punti critici e stabilendo le priorità d’azione. Viene rimarcato come non esistano, ad oggi, né una procedura generale vincolante né precisi requisiti per il reclutamento dei docenti ospedalieri o domiciliari; è quindi necessario che la formazione degli insegnanti chiamati a un compito così delicato possa essere definita in modo permanente nel quadro della riforma scolastica, che (si auspica) dovrà predisporre un assetto organizzativo completo del settore. Occorre poi un monitoraggio costante dei fabbisogni di istruzione in ospedale e a domicilio, per correggere gli squilibri che spesso si verificano (troppi docenti di alcuni livelli scolastici, pochi per gli altri, in particolare per le scuole superiori). Il Miur ha inoltre istituito tavoli regionali in cui sono rappresentati uffici scolastici, istituti e docenti: un coordinamento ministero – uffici regionali che in autunno dovrà portare alla redazione delle prime linee guida nazionali per la scuola in ospedale e a domicilio.  Infine, i fondi: per l’anno scolastico che si sta per chiudere, lo stanziamento complessivo è di due milioni 470.000 euro. Una cifra che dà l’idea di quanto siamo lontani, per il momento, dal disporre di risorse sufficienti per assicurare un servizio all’altezza (si va dai circa 325.000 euro assegnati al Lazio ai poco più di 16.500 euro per il Molise ). Riuscirà la “buona scuola” a diffondersi anche oltre i portoni delle cliniche? 

Martino Periti

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