SCIENZA E RICERCA

“Smart” e deformabili: le future case anti-sismiche

“La situazione è difficilissima. Gli edifici dell’università hanno subito danni ingenti e resteranno chiusi fino al 4 giugno, da quello che sappiamo però dovrebbero essere rimasti in piedi: nessuno studente ha perso la vita. Ci dicono che anche negli ospedali c’è bisogno di tutto”. Erano queste le informazioni che dava Anna Milvia Boselli, biologa, docente di igiene e legislazione sanitaria all’università di Padova, dopo la prima scossa di terremoto in Nepal. Pochi giorni fa Francesca Da Porto, ingegnere nell’ateneo padovano, aggiunge che le principali costruzioni storiche nepalesi pare siano andate in gran parte distrutte. I fatti accaduti riportano sotto i riflettori un tema particolarmente sentito, pur con le dovute differenze, anche nel nostro Paese. L’Italia infatti è un’area a pericolosità sismica medio-alta, le immagini del terremoto dell’Aquila nel 2009 e dell’Emilia nel 2012 sono ancora nitide e hanno messo in evidenza le vulnerabilità delle attuali tecniche edilizie. Ad affrontare la questione, con l’obiettivo di definire nuovi sistemi di costruzione, è un consorzio di ricerca internazionale che vede capofila l’università di Padova.   

“Durante i sopralluoghi all’Aquila e in Emilia – argomenta Da Porto, coordinatrice del progetto – abbiamo rilevato che gli edifici di concezione più moderna con telaio in cemento armato magari possono non subire crolli, ma le pareti in muratura non portanti che fungono da divisori tra gli ambienti interni o tra l’interno e l’esterno (le cosiddette pareti di tamponamento Ndr) possono invece venire danneggiate in modo consistente”. Con conseguenze sia sociali che economiche. Il danneggiamento di queste pareti può infatti costituire un pericolo per la vita umana, ma non solo. I costi di ricostruzione, che implicano il ripristino di tutti gli impianti, degli intonaci, delle pitture, sono molto elevati e se le pareti sono pesantemente rovinate, l’edificio viene dichiarato inagibile. Ciò significa trovare alloggi alternativi per chi vi risiedeva e dunque costi ulteriori che sul lungo termine possono rivelarsi molto elevati: un conto infatti è evacuare temporaneamente gli sfollati e sistemarli per qualche mese nelle tende, un conto è trovare un’abitazione per un anno o più, cioè per tutto il periodo necessario a ricostruire le pareti di una casa. 

Da queste premesse nasce l’idea di sviluppare sistemi di costruzione innovativi proprio per le pareti non portanti per fare in modo che, pur rispettando tutti i requisiti attualmente richiesti, siano in grado di “comportarsi in modo intelligente” durante un terremoto, danneggiandosi di meno e “interagendo in modo positivo” con la struttura. 

“Il problema – spiega Francesca Da Porto – deriva dal fatto che il telaio in cemento armato durante un terremoto tende a deformarsi al punto da danneggiare le pareti, comprese tra pilastro e pilastro, che invece sono più rigide”. Le soluzioni dunque sono di due tipi: o si aumenta la resistenza delle pareti in muratura così da impedirne il danneggiamento o si punta a renderle anch’esse “deformabili”. Sono queste le direzioni in cui si stanno muovendo i vari partner del consorzio e il gruppo di ricerca padovano, in particolare, sta percorrendo la seconda strada.   

“L’idea è di rendere le pareti meno rigide, di fare in modo che riescano a seguire le deformazioni che subisce la struttura e alla fine del terremoto rientrare in sede”. Insomma, un po’ come voler trasformare il vetro in gomma. Ma come si arriva a questo risultato? “Stiamo predisponendo – spiega Da Porto – l’inserimento di dispositivi di vario genere all’interno dei giunti di muratura delle pareti (gli interstizi tra mattone e mattone Ndr): giunti speciali che possono scorrere o deformarsi, fatti di gomma o che hanno al loro interno un binario, così da creare pezzi di muratura che possono scorrere gli uni sopra gli altri”. Un metodo sicuramente più “smart”, ma tecnicamente anche più complicato. 

Fino a questo momento alcuni partner del consorzio hanno proposto sistemi di scorrimento verticali che si sono dimostrati abbastanza efficaci, ma anche orizzontali come quelli prospettati dall’università di Pavia. Padova, invece, sta testando un tipo di gomma molto particolare da collocare all’interno del giunto: “Abbiamo già sperimentato il metodo su campioni piccoli. Ora siamo in fase di preparazione su un campione che è rappresentativo dell’intera campata di un edificio”. Si prevede che i test verranno conclusi tra l’estate e l’autunno con una successiva dimostrazione pubblica di costruzione con questi nuovi sistemi. L’ultima parte del progetto, che si concluderà nel 2016, sarà dedicata alla divulgazione dei risultati ottenuti e allo sviluppo dunque di nuove modalità di progettazione delle pareti in muratura non portanti applicabili nella pratica. Un aspetto su cui peraltro l’attuale normativa, per i sistemi costruttivi tradizionali, sembra non essere così chiara.

Secondo Da Porto infatti le norme tecniche per le costruzioni evidenziano che le pareti non portanti in caso di terremoto possono rappresentare una fonte di rischio soprattutto per le persone e obbligano per questo alla verifica nei confronti dell’azione sismica, senza tuttavia fornire indicazioni su come si debba procedere, senza stabilire modalità effettive di progettazione e verifica. E questo crea non poco scompiglio nel mondo della professione. “A fronte di questo vuoto normativo – spiega Da Porto, che contribuisce con i colleghi padovani e pavesi alla redazione delle norme nazionali – dopo aver condotto una serie di ricerche con la Protezione civile, stiamo consolidando dei metodi di progettazione e verifica per i sistemi tradizionali di costruzione delle pareti non portanti”. Quelli nuovi invece, attualmente in fase di sviluppo nell’ambito del progetto Insysme, potranno essere impiegati subito dopo aver ottenuto le necessarie certificazioni.    

Monica Panetto

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