UNIVERSITÀ E SCUOLA

21 marzo, gli atenei si mobilitano per il disgelo di un Paese in declino

Sarà una primavera speciale, quella che attende le università italiane. Il 21 marzo la fine dell’inverno sarà segnata da una grande mobilitazione degli atenei del nostro Paese: “Per una nuova primavera” è il titolo scelto dalla Crui, la Conferenza dei rettori, per la giornata che vedrà impegnati docenti, personale tecnico-amministrativo, studenti, cittadini a sensibilizzare opinione pubblica e istituzioni sulla grande difficoltà in cui versa il sistema universitario nazionale. Un settore cruciale per lo sviluppo e il futuro dell’Italia, ma, secondo la Crui, da troppo tempo privo di politiche serie per promuovere l’accesso dei diplomati agli studi superiori, la competitività della ricerca, l’innovazione scientifica e tecnologica.

Anche l’università di Padova aderisce alla manifestazione della Crui, raddoppiando gli sforzi: la “primavera” durerà due giorni, il 20 e il 21 marzo. Il titolo delle iniziative padovane è “Orgoglio e pregiudizio”: gli echi di Jane Austen giocano sui sentimenti contrastanti con cui la comunità universitaria vive questo periodo. Orgoglio per i risultati d’eccellenza, pregiudizi da combattere contro quanti misconoscono l’importanza di un sistema che da anni è sottoposto a continue e stringenti valutazioni di qualità, pur se gravemente sottofinanziato.

I dati sull’istruzione universitaria in Italia riferiti dalla Crui raccontano un declino progressivo e drammatico. Il nostro è, tra i Paesi a maggiore sviluppo, uno tra quelli con il più basso numero di laureati sul totale della forza lavoro: 19%, contro il 35% della Francia o il 39% del Regno Unito. L’Italia destina al sistema universitario lo 0,4% del Pil, contro lo 0,73% della Spagna o lo 0,99% della Francia. Fa impressione, in particolare, la radicale diversità delle politiche sull’università con cui in Europa si è affrontata la crisi economica: tra il 2010 e il 2013 in Italia gli investimenti pubblici sono calati del 9,9%; in Francia e in Germania, nello stesso periodo, sono aumentati del 3,6% e del 20%. La spesa per studente pro capite, a prezzi costanti e a parità di potere d’acquisto, in Italia è diminuita dell’11%, mentre in Germania è cresciuta del 12,6% e in Francia del 16,1%.

Un deficit di investimenti per le generazioni future che non ha mancato di produrre effetti pesanti sul numero degli immatricolati negli atenei italiani, calati del 13% tra il 2007 e il 2013 (ma al Sud il dato negativo è del 21%). Il tasso medio di passaggio all’università per studente superiore è calato dallo 0,56 allo 0,52: su 100 studenti che nel 2005 frequentavano l’università in ciascun Paese Ocse, ora in Italia ne rimangono 97, mentre sono aumentati a 114 in Spagna e 119 in Germania.

Tra i fattori che gravano sull’accesso all’istruzione universitaria, fondamentale è la mancanza di sostegno finanziario agli iscritti. Non solo l’università italiana è costretta a una tassazione studentesca elevata rispetto alla media europea, ma il numero di borse di studio per i nostri studenti è del tutto inadueguato. Nel 2012 le borse assegnate sono state 120mila, contro le 305mila in Spagna e le 620mila in Francia.

Il difficile accesso all’università non produce solo declino culturale e scientifico, ma anche economico. L’Ocse ha stimato che il “valore aggiunto” prodotto da ogni laureato per la collettività, rispetto a chi non ottiene il titolo, si traduce in maggiori imposte e contributi versati allo Stato, dal momento che i laureati ottengono in media retribuzioni superiori. A questo vantaggio diretto si somma quello a lungo termine di una forza lavoro più preparata, in grado di assicurare alle imprese una maggiore capacità di competere nel mercato internazionale.

Intanto, però, la ricerca italiana subisce l’assenza di strumenti a suo favore davvero efficaci per farla contribuire allo sviluppo nazionale. L’Italia investe in ricerca e sviluppo meno dell’1,5% del Pil contro il 2% della media europea. Eppure il nostro Paese riesce comunque a classificarsi ai vertici per la sua produzione scientifica (siamo ottavi tra le nazioni Ocse). Ma i fondi ministeriali sono in discesa, e ciò si ripercuote anche sui posti di dottorato di ricerca banditi: dal 2007 il calo è stato del 22%, e l’Italia è tra gli Stati Ocse con il più basso numero di dottorandi ogni 1000 abitanti (0,6, contro i 2,6 della Germania). Il sottofinanziamento falcidia anche il personale delle università: dal 2007 al 2014 sono stati oltre 15mila i docenti e tecnici-amministrativi persi dagli atenei italiani. Un crollo del 13% dovuto ai limiti di legge al turn over e alla diminuzione delle risorse, molto superiore al calo medio degli organici sopportato da tutte le altre amministrazioni pubbliche (il 5%).

Per tutti questi motivi, le università italiane chiedono una nuova attenzione che si traduca in finanziamenti adeguati, una revisione del sistema premiale, una semplificazione degli oneri amministrativi, un adeguamento delle retribuzioni alla media europea, una nuova politica del diritto allo studio. Perché senza un’università all’altezza, rischiamo la periferia dell’Europa.

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