SOCIETÀ

Il mondo salvato dai ragazzini. Le differenze tra il Sessantotto e l'attivismo ai giorni nostri

L'attivismo degli studenti e dei giovani in generale in risposta ai principali problemi ambientali e sociali di oggi sembra essere cresciuto nell'ultimo anno. Basti pensare, ad esempio, agli scioperi dei fridays for future, il cui scopo è quello di sensibilizzare l'opinione pubblica e lanciare un messaggio ben preciso alle classi dirigenti: quello di non sottovalutare il problema e dimostrare tutta la propria volontà di non arrendersi finché non verrà fatto qualcosa di rilevante per salvare il pianeta.

Le proteste di Greta Thunberg hanno trovato seguaci su scala internazionale e hanno mobilitato soprattutto gli under 30 che si dichiarano esplicitamente contro le scelte dei governi che non prendono a cuore la questione ambientale. Questi aspetti sembrano richiamare alla memoria alcuni tratti tipici delle contestazioni del Sessantotto, ma quali sono oggi le principali differenze nel modo di manifestare, di aggregarsi, e di diffondere il messaggio rispetto ad allora?
Naturalmente, non è solo la questione ambientale a mobilitare i membri più giovani delle società. A Hong Kong e in Russia, per esempio, sono proprio gli studenti e i ragazzi in generale a manifestare con maggiore impegno per la difesa e per il riconoscimento di alcuni diritti che ritengono fondamentali, come la libertà di parola, di associazione e il rispetto del multiculturalismo. In Italia, inoltre, sono sempre più i giovani che hanno aderito al movimento delle sardine. Ha senso ricercare aspetti di ispirazione sessantottina in questi casi?

Di questo abbiamo parlato con tre esperti: il professor Giovanni Moro dell'Università “La Sapienza” di Roma, il professor Luigi Di Gregorio dell'università della Tuscia e il professor Marco Almagisti dell'università di Padova.

La prima differenza che salta all'occhio, naturalmente, riguarda le modalità tramite le quali coloro che protestano si aggregano e fanno propaganda. Infatti, come fa notare il professor Almagisti, “la comunicazione è politica, e oggi si fa comunicazione in modo diverso: è sicuramente più facile convocare le persone grazie all'uso dei social”.

Il modo di comunicare non è l'unica differenza di cui tenere conto, anche perché “non è chiaro cosa sia stato precisamente il Sessantotto”, precisa il professor Moro, “in quell'epoca convivevano diverse attenzioni e focalizzazioni. Erano in atto diversi conflitti: uno riguardava il sistema politico e la democrazia, uno riguardava la cittadinanza, i diritti dei cittadini e il loro status”. Inoltre, come nota il professor Almagisti, “la realtà di oggi è sicuramente diversa da quella del Sessantotto. I protagonisti delle proteste di allora si battevano contro un establishment, mentre quelli di oggi lottano per lo più a favore dell'ambiente. Al contrario di quello che succede oggi, una volta le lotte erano contraddistinte da una ideologia di fondo, come il marxismo, mentre è interessante notare che gran parte dei giovani che protestano oggi non appartengono a nessun partito politico in particolare”.

Il fatto che una grande differenza sia legata al contesto è un aspetto evidenziato anche dal professor Di Gregorio: “nel periodo di fine anni Sessanta e inizio anni Settanta, grosso modo tutta la politica occidentale era caratterizzata da ideologie forti e credenze stabili, soprattutto per quanto riguardava l'Europa. Il Sessantotto è diventato abbastanza presto un fenomeno non tanto generazionale e interpartitico quanto un fenomeno abbastanza politicizzato e presto etichettato a sinistra. I movimenti di oggi agiscono invece in un contesto che molti definiscono post-ideologico, nel quale, cioè, le ideologie novecentesche sono considerate morte. Ovviamente ci sono credenze forti anche in questo momento, come l'ambientalismo e il sovranismo. Rispetto alle ideologie novecentesche, però, la differenza è che sono credenze forti che però spesso non sono stabili, e perciò rischiano di durare poco”.

“L'altra differenza, che è collegata, è che se un movimento ha un'ideologia forte alla base, quel movimento diventa anche una comunità solida e stabile”, continua il professor di Gregorio. “Se invece si hanno dei movimenti legati a tematiche contemporanee, attuali, ma non cementate da una credenza stabile, è più facile che diventino dei singoli flash mob, anche affollati e sentiti, che però non creano delle comunità forti. Nel Novecento, quando la gente scendeva in piazza, lo faceva perché c'era un collante ideologico forte che permetteva il formarsi di comunità vere e proprie. La fortuna di essere un movimento di protesta, poi, è che non c'è bisogno di una leadership vera e propria, perché il leader è il nemico contro cui ci si schiera, che più è forte più rende la protesta catalizzabile e veicolabile. Questo è il caso sopratutto delle proteste per l'ambiente e le manifestazioni delle sardine. Per quanto riguarda Hong Kong, si tratta di una protesta dietro la quale c'è una lotta per i diritti, per la democrazia, e quindi va un po' oltre i movimenti di Greta Thunberg o delle sardine. Può, per alcuni versi, essere più simile a quelle del Sessantotto, in cui coloro che protestavano rivendicavano le loro libertà e diritti e dicevano alle classi dirigenti più attempate che era ora di cambiare, perché il mondo stava cambiando”.

È interessante notare, poi, che i più impegnati nelle proteste per l'ambiente (ma non solo) sono soprattutto gli studenti e, in generale, i più giovani.
“I giovani che si ribellano sollevano il problema su quello che succederà domani e dopodomani contro chi pensa solo all'oggi e non vuole rinunciare ai privilegi, ai benefici e alla qualità della vita a cui è abituato. Si tratta di un conflitto non proprio generazionale, ma piuttosto di un conflitto sul “futuro”, che pone il benessere economico di oggi contro la vita di domani. È un problema a livello mondiale che è un bene che sia stato sollevato, anche se è duro cambiare le abitudini di migliaia di persone. Se però non l'avessero fatto i giovani nei modi che noi abbiamo potuto osservare, forse non l'avrebbe fatto nessuno”, commenta il professor Moro.

I giovani che si ribellano sollevano il problema su quello che succederà domani e dopodomani contro chi pensa solo all'oggi Professor Giovanni Moro

“Con riferimento all'Italia”, continua il professor Moro, “è interessante notare quello che è avvenuto in termini di mobilitazione dei cittadini su argomenti come il futuro dell'umanità, in seguito all'appello da parte di Greta sulla tutela dell'ambiente, e sul modo in cui il dibattito pubblico dev'essere organizzato e svolgersi, ovvero il tema lanciato dalle sardine. Parlando di queste ultime, il fatto che centinaia di migliaia di persone negli ultimi mesi siano scese in piazza con lo stile silenzioso e pacifico che è stato scelto, al di là dei risultati elettorali, è qualcosa che ha un significato politico in sé, perché la politica non è fatta solo di voti, di elezioni, di leggi e di parlamenti, ma anche di dibattito pubblico.
Chi fa ricerca sui fenomeni politici nel mondo, sa benissimo che l'Italia e il sud Europa sono dei luoghi in cui i cittadini sono apatici, rifuggono alla partecipazione, e non si mobilitano, a differenza di quelli quelli inglesi, scandinavi, canadesi... qui invece, tra tutte queste visioni un po' riduttive, emerge un modello di cittadinanza e di partecipazione che ci dice che i cittadini italiani, in particolare i giovani, si mobilitano, nonostante i pregiudizi contrari”.

Insomma, quello che è successo nell'ultimo anno in Italia sembra mettere in discussione alcuni pregiudizi sugli italiani e sui giovani. “I cittadini che si mobilitano dimostrano di esistere come soggetto pubblico in tante forme, e queste forme raramente coincidono con quello che le leadership politiche, ma anche gli intellettuali, pensano che i cittadini dovrebbero fare.
La ricerca scientifica, quindi, dovrebbe aiutare a cogliere la realtà, anche se questa spesso non coincide con quello che i ricercatori si aspettano. In quel caso bisognerebbe chiedersi se non sono proprio i modelli con cui osserviamo la realtà a dover essere rivisti”, conclude il professor Moro.

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