UNIVERSITÀ E SCUOLA

Il bando per cinquecento superprof: su quali aspetti serve chiarezza

Per ora è solo una bozza, che il Consiglio di Stato ha appena approvato. Ma il provvedimento che finanzia 500 nuovi posti per professore ordinario e associato negli atenei italiani, in deroga ai meccanismi che regolano la selezione dei docenti universitari, sta suscitando un dibattito vivace. Tutto nasce dalla legge di stabilità dello scorso anno, che ha previsto (all’articolo 1, commi 207 – 212) l’istituzione del fondo “Giulio Natta”, per promuovere l’assunzione con chiamata diretta di “studiosi di elevato e riconosciuto merito scientifico”. Un’iniziativa per cui sono stanziati 38 milioni per quest’anno e 75 a decorrere dal 2017, allo scopo, secondo il ministro Stefania Giannini, di “accrescere l’attrattività e competitività del sistema”. Ma se uno stanziamento straordinario per il nostro sistema universitario, in tempi di ristrettezze, è una novità interessante, più controverso è il metodo che il decreto introduce nel nostro ordinamento per reclutare, sia pure in via straordinaria, i 500 “superprofessori”.

Secondo il testo (parziale) finora trapelato, i 500 posti sono ripartiti in questo modo: 424 (metà ordinari metà associati) sono destinati a nuovi docenti da inserire nelle università italiane; 76 invece (sempre a metà tra ordinari e associati) sono riservati a docenti già in ruolo in Italia, e saranno coperti tramite mobilità. La prima novità riguarda il criterio di individuazione dell’area disciplinare dei docenti: per il bando straordinario, come parametro si assumono i 25 settori che l’Erc (European Research Council) utilizza per selezionare i vincitori delle proprie borse. L’Erc, va ricordato, suddivide i campi del sapere in tre macroaree (Scienze della vita, scienze sociali e discipline umanistiche, scienze fisiche e ingegneristiche); ciascuna macroarea è poi distinta in settori (25 totali). 

Sui requisiti per partecipare al bando, la bozza di decreto è estremamente generica: a parte i docenti già in servizio, gli altri possibili candidati vengono definiti in modo residuale (come “soggetti non ricompresi” nella categoria precedente); c’è quindi da attendersi, se non vi saranno puntualizzazioni, un elevatissimo numero di domande. Ogni candidato dovrà optare per un settore Erc e per la fascia di docenza cui aspira. La domanda, ammessa in italiano o in inglese, dovrà essere presentata con modalità telematica entro 60 giorni dalla pubblicazione del bando nella Gazzetta Ufficiale. Il candidato dovrà poi allegare, oltre al curriculum, da cinque a dieci pubblicazioni, di cui tre risalenti all’ultimo quinquennio; potrà anche citare progetti di ricerca “realizzati o in corso di svolgimento”, che verranno comprovati da “documentazione o specifiche pubblicazioni”. 

L’elemento più controverso del decreto riguarda la formazione delle commissioni di selezione dei candidati. È previsto che vengano istituite 25 commissioni, una per ciascun settore Erc oggetto di valutazione, composte da tre membri, in carica per un triennio e non rinnovabili. La nomina dei presidenti delle commissioni è demandata al presidente del Consiglio, che dovrà scegliere all’interno di una rosa proposta dal ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca. Il ministro dovrà indicare i nomi di studiosi “di elevatissima qualificazione scientifica” in “posizioni di vertice” presso “istituzioni universitarie o di ricerca estere”. Il tenore letterale della norma sembrerebbe escludere, quindi, scienziati in servizio presso istituzioni con sede principale in Italia. “Nel caso” siano docenti universitari, i presidenti devono ricoprire una posizione “equipollente a quella di professore ordinario” nelle istituzioni di cui si trovano al vertice.

Complessa anche la procedura per la nomina dei due ulteriori membri di ogni collegio. I nomi saranno scelti dal presidente della commissione e nominati con decreto del presidente del Consiglio. I commissari dovranno essere professori ordinari, in ruolo presso atenei italiani, dotati di “comprovato prestigio scientifico, anche internazionale” (il decreto ne dettaglia i titoli di preferenza: posizioni di vertice in istituzioni scientifiche, premi, appartenenze ad importanti accademie o commissioni Erc, pubblicazioni di rilevanza internazionale). All’interno di ogni commissione non potranno esserci componenti che appartengono al medesimo ateneo. I componenti non potranno far parte, al tempo stesso, di commissioni per l’abilitazione scientifica nazionale (è previsto l’obbligo di opzione). 

La selezione dei candidati avrà una fase preliminare, in cui la prima scrematura si baserà sui curriculum dei candidati e sulla valutazione degli indicatori bibliometrici o di altri criteri relativi alla produzione scientifica; nella seconda fase si giudicheranno pubblicazioni, titoli e progetti di ricerca. Per ogni candidato ammesso alla seconda fase dovrà essere tracciato un profilo scientifico; a questo scopo la commissione dovrà designare in via riservata uno studioso esterno, professore ordinario o equipollente “in atenei ed enti di ricerca italiani o stranieri”, dotato di “comprovato prestigio scientifico internazionale” ed esperto nelle discipline del candidato.

Il verdetto della commissione consisterà in un giudizio e un voto in centesimi, espressi a maggioranza. Per conseguire l’idoneità, i candidati dovranno ottenere almeno 80/100. I candidati non vincitori, ma che avranno comunque ottenuto un punteggio pari a 80 o superiore, potranno essere chiamati nel caso di rinuncia o decadenza dei vincitori. Ogni commissione dovrà concludere i lavori entro sei mesi dalla prima riunione, prorogabili al massimo per altri quattro; al termine del periodo di proroga, se i lavori non saranno terminati, la commissione verrà sostituita da un’altra nominata con le stesse modalità, la quale potrà, se lo ritiene, far salvi gli atti della commissione decaduta.

I vincitori del bando potranno essere chiamati dagli atenei italiani entro dodici mesi dalla pubblicazione della graduatoria. Ogni università potrà chiamare non oltre il 30% dei vincitori in ciascun settore Erc: ordinari e associati dovranno essere chiamati in numero uguale. Ogni università inquadrerà i chiamati nelle classi stipendiali definite dal decreto o (qualora l’ateneo ne assuma gli oneri) anche in una classe superiore. Sono previsti vincoli di permanenza dei docenti presso le sedi che li hanno chiamati: tre anni, nel caso di professori esterni, e cinque anni, nel caso di docenti vincitori con mobilità. 

Due sono gli allegati alla bozza di decreto: il primo specifica la distribuzione delle cattedre assegnate a ciascuno dei 25 settori Erc, suddivisi per posti di prima o seconda fascia e per assunzione ex novo o tramite mobilità; il secondo è la griglia di corrispondenza che viene stabilita tra settori Erc e settori concorsuali universitari.

Di fronte alle perplessità manifestate da settori del mondo accademico, il ministro Giannini ha precisato che “il governo e il ministero sono aperti ad accogliere proposte” su aspetti come i meccanismi di individuazione dei commissari e i lavori delle commissioni. Dal canto suo, il Cun (Consiglio universitario nazionale) ha pubblicato una mozione in cui lamenta possibili “gravi ricadute sull’autonomia” del sistema universitario e rivendica la competenza a intervenire sulla corrispondenza tra settori Erc e concorsuali.

Martino Periti

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