SOCIETÀ
Il periglioso cammino del Trattato di non proliferazione verso i suoi 50 anni
Il Trattato contro la proliferazione delle armi nucleari (NPT) è uno degli strumenti legali internazionali fondamentali per l’ordine e la sicurezza globali. Entrato in vigore 5 marzo del 1970, è quasi universale, mancando l’adesione di soli 5 paesi: Corea del Nord, India, Israele, Pakistan e Sud Sudan. Il trattato affronta globalmente le problematiche dell’energia nucleare e fissa i termini di un triplice “contratto” fra non-proliferazione, promozione delle applicazioni nucleari pacifiche e disarmo nucleare.
L’NPT ammette una disparità di diritti e doveri fra le parti: da un lato i Nuclear-weapons states (NWS), ossia Cina, Francia, Russia, UK, e USA, e dall’altro i rimanenti paesi (Non-nuclear-weapon states– NNWS); tale discriminazione è solo temporanea, prevedendo l’NPT il raggiungimento del disarmo nucleare, ma di fatto si sta perpetuando nel tempo e costituisce la causa principale delle difficoltà del trattato stesso.
Ogni cinque anni l’NPT prevede una conferenza di revisione per “esaminare il funzionamento del Trattato al fine di accertare se le finalità del suo Preambolo e le sue disposizioni si stiano realizzando”. Di fatto le conferenze di revisione sono sempre state caratterizzate dallo scontro tra NWS e NNWS, i primi insistendo su condizioni più strette e maggiori garanzie di non proliferazione, i secondi ricordando gli obblighi riguardo il disarmo nucleare: per i primi non può esserci disarmo senza prevenzione della proliferazione, per i secondi la lotta alla proliferazione viene solo assieme al disarmo. Nel corso degli anni l’attenzione allo sviluppo civile dell’energia nucleare è andata perdendo rilevanza e l’NPT è essenzialmente visto come bilancia fra disarmo e non-proliferazione.
Poiché in queste conferenze ogni decisione, compresa l’agenda dei lavori, richiede l’unanimità di consensi, non sempre è possibile l’adozione di un documento finale, specie in occasione di gravi tensioni politiche. La conferenza del 2015 ha visto molteplici insanabili contrapposizioni e irriducibili posizioni sulla maggioranza dei punti in esame e si è conclusa senza un documento finale; anche per questo diventa particolarmente cruciale la prossima conferenza, che si svolgerà nel maggio 2020 e dovrebbe celebrare i 50 anni del trattato.
In preparazione alla conferenza si sono svolti tre comitati preparatori, l’ultimo (PrepCom III) durante lo scorso maggio, con la partecipazione di 150 dei 191 paesi membri e di numerosi osservatori dalla società civile. Il PrepCom III avrebbe dovuto produrre un rapporto condiviso con raccomandazioni per la conferenza del 2020, ma, pur senza raggiungere i livelli di scontro del 2015, non si è trovato un accordo per sostanziali suggerimenti, che possano costituire il punto di partenza per i lavori della conferenza sui principali argomenti discussi.
La prima bozza di rapporto è stata giudicata dalla maggioranza dei paesi inadeguata, formalistica e silente sui punti cruciali; una seconda bozza predisposta dal presidente del comitato, l’ambasciatore malese Syed Hussin, con i suggerimenti e le correzioni dei vari membri particolarmente incisivi sui temi del disarmo, ha trovato l’opposizione decisa dei NWS e di paesi occidentali; l’ambasciatore Hussin ha quindi deciso di presentare la seconda bozza delle “Raccomandazioni alla Conferenza del 2020” come personale documento di lavoro.
I lavori e il clima generale hanno risentito gravemente dei recenti sviluppi negativi: i nuovi programmi nucleari di tutti i paesi con armi nucleari, la cessazione del trattato sui missili a gittata intermedia (INF, ttps://ilbolive.unipd.it/it/news/corsa-armamenti-conseguenze-ritiro-usa-INF), i rischi cui è esposta l’estensione del trattato New START, il ritiro unilaterale americano dall’accordo JCPOA sul programma nucleare iraniano con l’inasprimento del contrasto fra USA e Iran e lo stallo sul problema delle armi nucleari della Corea del Nord.
Il PrepCom III ha visto incancrenirsi le contrapposizioni già emerse nella conferenza di revisione del 2015 e nuovi scismi e contrasti all’interno di organizzazioni e alleanze. La questione cruciale sono le prospettive per il disarmo nucleare, imposto dall’articolo VI dell’NPT, che non ha visto alcun sviluppo negli ultimi 10 anni: la storica contrapposizione fra NWS e NNWS si è riproposta e rafforzata nei nuovi termini legati al trattato sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW) definito nel 2017; il TPNW non è ancora in vigore, ma è sostenuto da 120 paesi e avversato dai NWS e da loro alleati e nel PrepCom III questa dicotomia si è duramente riproposta, con divisioni anche all’interno dell’Unione europea, della Collective Security Treaty Organization e di altri raggruppamenti continentali o formatisi sulla base di specifiche iniziative di disarmo.
Anche gli NWS sono giunti con proposte divergenti sull’approccio al disarmo; nel loro incontro di Pechino di gennaio non sono riusciti a redigere un documento comune per il PrepCom III e durante i lavori in più occasioni si sono scambiati accuse e attacchi sui vari contenziosi aperti. Con vari distinguo, Cina, Francia e Gran Bretagna rimangono legate a un approccio al disarmo nucleare basato su passi successivi e sul rispetto degli impegni presi in occasione delle conferenze di revisione del 2000 e del 2010 (atteggiamento sostenuto anche dall’Unione Europea).
La Russia ha ribadito che le armi nucleari le sono necessarie per rispondere a specifiche minacce esterne, che occorre legare il disarmo nucleare a un “disarmo generale e completo”, in un approccio “realistico e pragmatico” basato sul principio di una “sicurezza indivisibile”, minacciata da fattori destabilizzanti dovuti essenzialmente ad azioni americane, in particolare alla politica della “dissuasione estesa”, e a sviluppi di nuove armi convenzionali; comunque per la Russia sono controproducenti i tentativi di forzare i NWS alla rinuncia incondizionata delle proprie forze nucleari senza considerare le realtà strategiche e i legittimi interessi di sicurezza (condannando così l’approccio umanitario e il TPNW).
Gli stati Uniti hanno presentato una proposta che rovescia l’approccio finora sostenuto nelle conferenze precedenti e in varie sedi diplomatiche, rifiutando un processo a passi successivi ben definiti e incrementali verso il disarmo in favore della “creazione di un ambiente per il disarmo nucleare” (CEND), ossia la costituzione di un gruppo di lavoro internazionale per affrontare le “motivazioni fondamentali di sicurezza che hanno reso necessaria la deterrenza nucleare per prevenire un conflitto fra le maggiori potenze e mantenere la stabilità globale”. Una volta comprese queste motivazioni diventa possibile capire le cause che hanno impedito progressi verso il disarmo e quindi agire per creare le condizioni che lo possano favorire: “con la promozione dell’iniziativa CEND, gli Stati Uniti mirano a superare il presente dialogo improduttivo per costruire un ambiente di sicurezza globale più stabile e aprire nuove vie per un reale progresso di disarmo”.
Va osservato che la CEND, dopo laboriosi decenni di sostegno a misure pratiche, rappresenta un enorme distrazione dallo sforzo di raggiungere progressi misurabili nella realizzazione degli impegni di disarmo concordati da tutte le parti del TNP e definiti nel 2000 e 2010. Con la sua implicazione che poco possa essere fatto in termini di progresso di disarmo fino a quando non sia soddisfatto un ampio spettro di condizioni (ancora da individuare), l’iniziativa CEND è una fuga in avanti disconnessa da un reale processo di disarmo e rischia di ridursi a un esercizio di chiacchere su come si possa realizzare un alcionio mondo futuro privo di conflitti. Di fatto la proposta americana non ha trovato seguito neppure fra gli alleati, rimasti fedeli al processo a passi incrementali, anche se si può prevedere che numerosi parteciperanno alle riunioni CEND lanciate dagli USA.
Gli USA si sono trovati soli anche nella condanna dell’accordo JCPOA, difeso dagli altri firmatari, dai raggruppamenti di stati e in singoli interventi e ripreso nelle raccomandazioni del presidente. Ulteriore terreno di scontro il problema della creazione di una zona priva di armi nucleari in Medio Oriente, condizione imposta dai paesi arabi nel 1995 per l’estensione indefinita dell’NPT, ribadita in tutte le conferenze di revisione e per cui nel 2010 era stata fissata una conferenza preparatoria, mai convenuta per i contrasti fra Israele (col sostegno americano) ed Egitto; ora in sede ONU è ripartita l’iniziativa per una conferenza da tenersi entro il 2019 e durante il PrepCom III gli USA hanno espresso la loro contrarietà e alcuni paesi occidentali hanno insistito per la partecipazione paritaria tutti i paesi della regione, Israele inclusa.
Argomenti su cui vi è stato pieno consenso sono l’importanza di programmi di educazione al disarmo e al contrasto alla proliferazione e la necessità di un equilibrio di genere su queste tematiche, con un maggiore coinvolgimento di donne in tutti i processi decisionali che riguardino disarmo, pace e sicurezza internazionale.
Purtroppo le ampie divergenze e duri contrasti sui problemi critici della sicurezza internazionale e il disarmo rendono estremamente deboli le prospettive di una proficua conferenza di revisione nel 2020, affidata al diplomatico argentino Rafael Grossi, e la stessa sopravvivenza dell’NPT è esposta a gravi rischi se non migliorerà il clima internazionale e non si attenueranno le continue provocazioni politiche e militari in troppi contesti internazionali.