SCIENZA E RICERCA

A caccia di comete, con Giotto e Rosetta

La storia delle missioni cometarie inizia di fatto tra il 13 e 14 marzo 1986, quando la sonda europea Giotto sorvolava la cometa di Halley, in una storica impresa che per la prima volta permetteva all’umanità di studiare una cometa da vicino. Una missione che dimostrava da un lato che le comete hanno veramente un nucleo, e dall’altro la fallacia di alcuni paradigmi della fisica e chimica cometarie dell’epoca.

L’interesse verso la cometa fu mondiale, dal Giappone, all’Unione Sovietica, all’Europa, agli Stati Uniti di America: verso Halley fu inviata infatti una vera e propria flottiglia di sei sonde, una specie di ‘grande armada spaziale’ che ancor oggi non ha trovato uguali. Il successo della Giotto fu anche merito delle due sonde sovietiche Vega 1 e Vega 2, che potremmo chiamare ‘esploratici del cammino migliore’: le due Vega, infatti, fornirono il 6 e 9 marzo le posizioni precise del nucleo e permisero l’ultima correzione di rotta alla Giotto. Fu uno scambio di dati e persone che riuscì a superare l’apparentemente impenetrabile cortina di ferro di quegli anni, e che permise a Giotto di passare a meno di 600 km dal nucleo cometario, ottenendo immagini di straordinario interesse scientifico e anche mediatico.

Le immagini delle Vega e della Giotto, infatti, sono rimaste negli annali della ricerca scientifica: l’ultima immagine, ottenuta dalla HMC prima che un grano di polvere cometaria ‘accecasse’ la camera, mostra chiaramente i getti di polvere e vapor acqueo emessi da alcuni crepacci del nucleo verso il Sole. La HMC - Halley Multicolour Camera, montata sulla Giotto, ebbe molto di ‘padovano’: nostro fu il compito di disegnare, costruire e verificare due elementi fondamentali del telescopio, cioè il paraluce e lo specchio metallico esterno. Un compito che richiese, accanto a una intensa ricerca scientifica, l’uso intensivo di programmi di calcolo molto sofisticati, probabilmente mai prima utilizzati in Italia. Possiamo ben affermare, a trent’anni di distanza, che la missione Giotto ebbe il grandissimo merito di formare un primo nucleo di ingegneri, scienziati e tecnici che negli anni seguenti avrebbero avuto un ruolo di grande rilievo in tante imprese spaziali e terrestri, e in particolare in Rosetta.

L’ultima immagine del nucleo della Halley ottenuta dalla Halley Multicolour Camera a bordo della sonda Giotto.

E infatti, praticamente al termine della analisi dei risultati delle missioni verso la Halley (in effetti già nel 1995), i vari scienziati che avevano costruito la Giotto iniziarono lo studio di una missione molto più ambiziosa, con il compito di decifrare almeno un buon numero dei tanti interrogativi lasciati aperti dalla precedente avventura spaziale. Per analogia con l’importanza avuta nel decifrare la scrittura geroglifica egizia, la nuova missione fu chiamata Rosetta, riprendendo il nome della stele trovata in Egitto nel 1799 dai soldati di Napoleone e oggi conservata al British Museum di Londra.

La sonda prese ben presto forma: non più un piccolo satellite ma una vera e propria astronave, con a bordo vari strumenti scientifici e in più una assoluta novità nel campo delle esplorazioni spaziali, cioè un modulo con il compito di atterrare sul nucleo cometario, indagarne il suolo e l’atmosfera e trasmettere i dati a Rosetta e da qui alla Terra. Questo modulo prese il nome di Philae, dall’obelisco trovato verso l’attuale Assuan negli scavi in cui ebbe tanta importanza il padovano Giovan Battista Belzoni.

Come bersaglio scientifico della missione fu scelta una cometa scoperta nel 1969 da due astronomi ucraini dell’allora Unione Sovietica, di nome Klim Ivánovic Churiumov e Svetlana Ivánovna Gerasimenko: la C-G, o 67P. E’ una cometa piccola, mai visibile a occhio nudo al contrario della Halley, ma era l’unica raggiungibile dal razzo Ariane 5, partito nel 2004 per lanciare Rosetta nel suo viaggio interplanetario. L’astronave, prima di raggiungere la cometa, dovette sorvolare tre volte la Terra e una volta Marte per poter acquisire l’energia necessaria a raggiungere la C-G nei pressi dell’orbita di Giove. Un lungo viaggio di oltre 10 anni, ma ricco di successi scientifici, in particolare il sorvolo di due asteroidi (Steins nel 2008 e Lutetia nel 2010), per la prima volta nella storia europea.

Dopo Lutetia, Rosetta stabilì un altro primato: fu la prima sonda europea a avventurarsi al di là dell’orbita di Marte. Il “grande freddo” di quella zona di sistema solare costrinse a spegnere tutta la strumentazione della sonda, programmata per risvegliarsi il 20 gennaio 2014, e iniziare le manovre di avvicinamento alla cometa, manovre che si conclusero con pieno successo il 6 agosto 2014. Appena arrivati a circa 3.000 km di distanza si vide non solo la forma ma tanti dettagli superficiali del tutto inaspettati. Fu possibile determinarne il periodo di rotazione, le dimensioni, la massa e, con una complessa ricostruzione matematica, ottenere con altissima precisione sia l’area che il volume di questo bizzarro corpo. Da quel giorno, cometa e sonda hanno viaggiato assieme, una specie di crociera mai effettuata prima e che ha dato risultati di eccezionale interesse, al punto che la missione, che avrebbe dovuto terminare il 31 dicembre 2015, fu estesa fino alla fine di settembre del 2016.

La ‘strana’ forma della C-G, con una testa, un collo e un corpo.

Pozzi e fratture, che non solo sono una via di ingresso del calore solare verso le parti interne, ma che permettono una visione diretta dell’interno cometario fino a qualche centinaio di metri di profondità.  

Nel complessivo successo di Rosetta, due eventi illustrano vividamente le difficoltà e i rischi di queste missioni. Il primo fu il mancato aggancio di Philae: il modulo, infatti, si staccò regolarmente nel novembre 2014 dalla sonda madre a circa 25 km sopra alla superficie, e dopo ore di lenta discesa toccò il suolo nel punto previsto sulla testa della cometa, ma rimbalzò a oltre un chilometro di distanza, a causa del mancato funzionamento del dispositivo di ancoraggio da un lato e per la inaspettata durezza del suolo dall’altro. Philae riuscì comunque a trasmettere i dati acquisiti durante il sorvolo e in alcune ore successive, fino all’esaurimento delle batterie. Se mancano quindi alcuni dei dati sperati, sia sulla natura del terreno che sulla struttura interna, Philae ha però prodotto dati interessanti, dalle microfotografie del suolo circostante il punto di atterraggio alla composizione dei gas analizzati durante il volo, con la scoperta di quattro nuove molecole.

Il secondo evento avvenne nell’aprile 2015, quando la sonda era a appena 15 km sopra alla superficie. Con l’avvicinarsi della cometa al Sole, la produzione dei grani di polvere aumentò al punto di rendere pericolosissima la navigazione della sonda, poiché i sensori di assetto scambiavano i grani per stelle brillanti e rendevano del tutto erratico il puntamento dell’antenna. Rosetta fu quindi portata in zona di sicurezza, tra 400 e 200 km dalla superficie e lì rimase. Questa maggior distanza causò da un lato una forte perdita di risoluzione e sensibilità a vari strumenti, in particolare alla camera Osiris e al rivelatore di gas Rosina, ma assicurò di arrivare indenni al termine della missione.

Ai primi di novembre, infine, i due corpi uscirono dall’orbita di Marte per ritornare nella fascia principale degli asteroidi, dove la cometa rimase ancora molto attiva, con spettacolari getti di materia in varie occasioni. Di tutto questo la missione è riuscita a raccogliere immagini fondamentali, anche qui grazie al contributo padovano. Alcune parti di Osiris, il sistema di immagini della sonda (costituito di due camere, una a largo e una stretto campo di vista), sono state disegnate e costruite a Padova, nei laboratori universitari e presso aziende del territorio. Come trent’anni prima, uno sforzo che ha portato alla formazione di giovani ricercatori e all’acquisizione di tecnologie innovative in campo opto-meccanico, ma che ha anche consentito l’acquisizione di oltre 80.000 immagini dei due asteroidi, della cometa, della Luna, di altri corpi celesti, un database unico per estensione e qualità nella storia delle scienze cometarie e che darà modo di studiarlo ancor per molti anni a venire.  

Possiamo ora ben dire che la ‘crociera’ dei due corpi, uno celeste e uno umano, non ha paragone nella storia e probabilmente per almeno un decennio non ci saranno altre missioni spaziali di tale complessità. Ma come sempre succede in ricerca scientifica, rispondere a alcuni interrogativi spalanca la porta a altri ancor più complicati. L’origine delle comete e i processi primordiali di formazione, la geologia dell’interno, la natura delle polveri, la presenza di aminoacidi ancor più complessi della glicina trovata da Rosina, il meccanismo responsabile della attività cometaria, sono stati oggetto di vivaci dibattiti che stanno emergendo sulle più prestigiose riviste internazionali. Progetti per il futuro, come nuove missioni spaziali sulla C-G o in previsione del ritorno della Halley nel 2061, così come i grandi telescopi come ALMA, SKA, E-ELT, JWST e altri, sono attesi con impazienza da tutta la comunità planetologica.

Cesare Barbieri

 

A sinistra lo spettacolare getto di polvere rilasciato il 12 agosto, cioè il giorno prima del perielio vero e proprio. A destra Il grande ventaglio rilasciato il 25 agosto 2015.

La cometa è rimasta molto attiva anche gli ultimi mesi di vita, nonostante fosse già molto distante dal Sole. L’immagine di sinistra (WAC) è del giugno 2016, quella di destra (NAC) del luglio 2016.  

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012