SOCIETÀ

“Quando esci non sai se tornerai”: il Venezuela degli studenti

Il Venezuela è in rivolta: le manifestazioni di piazza ormai si succedono senza soluzione di continuità in tutte le maggiori città, mentre si contano ormai quattro vittime tra i partecipanti. A quasi un anno dalla morte del leader Hugo Chávez, il successore Nicolás Maduro si trova a fronteggiare la peggiore crisi del suo mandato. Il centro delle proteste questa volta sono le università.

Sentiamo alcuni studenti proprio mentre partecipano a una manifestazione a Barquisimeto: una delle città più grandi del Venezuela e capitale dello stato di Lara, dove nei giorni scorsi ci sono stati scontri con decine di studenti feriti e arrestati. Uno di essi, Juan Carlos Briceño, finirà probabilmente su una sedia a rotelle per un proiettile, non si sa bene se esploso dalla polizia o da un gruppo di miliziani chavisti. Oggi la situazione è più tranquilla: “i militari della guardia nazionale ci hanno appena chiesto di liberare la strada per le auto, in questo momento gli stiamo spiegano tranquillamente le nostro ragioni”, ci dice uno studente che si presenta solo con il nome di Anyuri.

Alejandro Arana, studente del quinto anno di medicina alla Universidad Centroccidental Lisandro Alvarado (Ucla), racconta la protesta: “Uno dei motivi principali è l’insicurezza: migliaia di venezuelani muoiono per la violenza nelle strade, che sta addirittura aumentando”. “Quando esci non sai se tornerai – conferma Maria Adames Cardinale, anche lei studentessa di medicina alla Ucla – Possono ucciderti anche per un cellulare. I giovani sono stufi e vogliono il cambiamento”. Nel 2013 in Venezuela, secondo l’ultimo rapporto di una Ong, si sono registrati 24.763 omicidi, dato che ne fa uno dei paesi più pericolosi al mondo. “Abbiamo un’inflazione superiore al 50% e in questo momento mancano prodotti basilari di consumo – conferma Jefferson Quiroz, anche lui studente – non si trovano pane, latte, farina e carta igienica perfino nei Mercal, gli spacci controllati dal governo. Bisogna fare ore di coda per comprare una bottiglia di olio o per fare benzina; spesso salta anche la corrente elettrica”. Un paradosso per un paese membro dell’Opec, tra i primi produttori di petrolio al mondo.

Come è nata la protesta? Dietro ci sono dei partiti politici? “La lotta è nata dagli studenti, senza bandiere politiche. Poi ovviamente si sono uniti anche i partiti e parte della società civile” dice Alejandro. Jefferson: “In tutto il mondo e in qualsiasi epoca gli studenti sono sempre i primi a scendere in piazza per reclamare i propri diritti, il motore principale per il cambiamento”. “La protesta è nata nello stato di cui sono originario, il Táchira – racconta Jefferson – principalmente nelle organizzazioni studentesche e negli studentati di università come l’Unet, l’Ula e l’Unefa”. Successivamente il 12 febbraio, in Venezuela il Día de la Juventud, gli studenti sono scesi in piazza in tutto il paese, ma durante gli scontri con la polizia e con gruppi di sostenitori del regime sono morti tre manifestanti, a cui si è ora aggiunta una quarta vittima.

Mentre la protesta cresce l’obiettivo è sempre più quello delle dimissioni del presidente Maduro: “Vogliamo essere ascoltati anche a livello internazionale – conclude Maria – nel mondo pensano che in Venezuela stiamo bene, mentre non è così. I diritti umani e la costituzione sono violati continuamente”. Su una però tutti gli studenti sono d’accordo: no a un colpo di stato, il rinnovamento deve mantenersi dentro la costituzione.

Anche i professori si uniscono alla protesta

Anche Gerardo Marquez, quando lo sentiamo, si sta preparando a scendere in piazza. È professore di auditoria (auditing) presso la facoltà di amministrazione della Ucla di Barquisimeto. “Anche qui la guardia nazionale ha usato gas, idranti e proiettili da 9 millimetri – conferma il docente – arrestando e picchiando diversi studenti, anche minorenni”. Perché ha deciso di appoggiare la protesta degli studenti? “Premetto che sono contro i vandali che si mescolano agli studenti per saccheggiare i negozi e provocare i militari. La protesta pacifica però deve essere permessa, mentre il presidente Maduro è andato in televisione a dire che le manifestazioni erano proibite. Per questo sto protestando anch’io”.

“Attualmente c’è una crisi economica fortissima, a cui si accompagnano la repressione da parte della polizia e un alto indice di corruzione – continua Marquez – I media sono completamente asserviti al governo come tutti gli organi dello Stato, compresi quelli di garanzia”. Queste condizioni però c’erano anche con Chavez: forse adesso pesa anche lo scarso carisma del nuovo presidente? “Anche. Molti hanno dubbi persino sul fatto che sia nato su territorio venezuelano, come richiederebbe la costituzione”.

Quello degli studenti è un movimento politicizzato o autonomo? “Non si può negare che l’opposizione vuole strumentalizzare la protesta: gli studenti rischiano di essere carne da cannone per gli obiettivi dei politici. Ma le organizzazioni studentesche stanno cercando di mantenersi autonome. Il grido è ‘ni con Capriles ni con Maduro, los estudiantes combaten por el futuro’”. Del resto anche l’opposizione è divisa. “Esatto. In questo momento chi vuole una radicalizzazione del conflitto non è Capriles, lo sconfitto delle ultime elezioni presidenziali, ma Leopoldo López – che si è appena consegnato alla polizia, dopo essere stato accusato dal presidente di essere uno dei responsabili degli scontri, ndr – e María Corina Machado. Di fatto il nostro regime quasi dittatoriale riesce a resistere solo perché l’opposizione è divisa”.  E l’accusa agli Usa di essere dietro la protesta (Maduro ha recentemente annunciato l’espulsione di tre diplomatici americani)? “I chavisti da sempre sono antiamericani, così come l’opposizione è anticubana. In realtà nessuno ha le mani pulite”.

Nelle proteste le ragioni politiche e sociali sociali si sommano a quelle proprie della realtà universitaria in Venezuela: “Mancano le strutture e i computer, le biblioteche non sono fornite e le classi sovraffollate. Il governo favorisce inoltre le università direttamente sotto il suo controllo, come l’Universidad Bolivariana e l’Unefa, l’ateneo delle forze armate. Questi istituti ricevono maggiori finanziamenti e borse di studio ma sono sotto il controllo ideologico del regime, senza alcun pluralismo”. Come ha reagito il mondo accademico alla repressione? “Il consiglio universitario Ucla ha sospeso le lezioni il 13 e il 14 febbraio. Lunedì 17 sono ripartite le attività amministrative e il 18 quelle accademiche, ma gli studenti hanno bloccato le lezioni”.

Intanto le proteste crescono: “La gente vede che le manifestazioni sono pacifiche, molti inoltre si stanno si stanno liberando della paura. Domenica ha marciato un numero enorme di donne in appoggio agli studenti, che hanno chiesto giustizia per i loro figli e fratelli”. La repressione però è in agguato: “Tutto qui è sotto il controllo del governo: media, polizia, potere giudiziario e amministrazione pubblica. Se alzi la voce puoi essere licenziato, se hai un’impresa ti mandano gli ispettori del fisco e la chiudono senza motivo. Polizia e militari arrestano e picchiano, e i giudici glielo permettono”. Come se ne uscirà? “Il presidente dovrebbe rendersi conto della situazione, ma non si dimetterà. La gente purtroppo crede sempre meno alle vie e agli strumenti legali e molti si danno alla guarimba, la violenza e la devastazione”.

Daniele Mont D’Arpizio

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