UNIVERSITÀ E SCUOLA

Bye-bye asilo: tutti a scuola a 5 anni

Un ordinamento scolastico per uno non fa male a nessuno: è ormai lontana l’era di Maria Chiara Carrozza, alfiere della riduzione a quattro anni della durata delle scuole superiori. Ora al ministero dell’Istruzione siede Stefania Giannini, e la proposta di chi l’ha preceduta (cui è seguita una sperimentazione avviata in un pugno di istituti) sembra già archiviata. Il ministro Giannini ha infatti dichiarato che il modello del liceo quadriennale non le sembra quello da perseguire, e ha rilanciato con un’idea opposta ma con la medesima finalità: anticipare di un anno l’avvio del percorso scolastico, facendo iniziare a 5 anni la scuola primaria ai bimbi. L’obiettivo è sempre quello di ridurre di dodici mesi la durata complessiva degli studi scolastici, consentendo così ai ragazzi di conseguire la maturità a 18 anni, come avviene in alcuni Paesi dell’Unione Europea (ma non in tutti).

Volendo dare un’occhiata a come si regolano gli altri Stati dell’Unione sull’età di inizio della scuola per i bambini, si apprende che in realtà una vera comparazione è complicata, perché i sistemi scolastici divergono notevolmente. Per ancorarsi a un parametro internazionale bisogna riferirsi alla classificazione ISCED dell’Unesco, che suddivide la carriera scolastica in livelli: la nostra “prima elementare” corrisponde all’inizio del livello ISCED 1, istruzione primaria, che segue l’ISCED 0, istruzione dell’infanzia. Il problema è la transizione tra i due livelli, che in molti Paesi non è rigida come nel nostro: l’Unesco definisce il passaggio tra i due cicli come “l’inizio dell’insegnamento e apprendimento sistematici in lettura, scrittura e matematica”. In diversi Stati il “cambio di passo” è graduale, flessibile, e non coincide con un passaggio obbligato da un tipo di scuola a un'altra a una data sempre costante: c’è discrezionalità, sia da parte dei genitori che degli insegnanti, nel valutare i progressi e lo sviluppo del bambino, e il salto alla fase superiore può essere ritardato o accelerato anche nel corso dell’anno.

Fatte le dovute precisazioni, va detto comunque che il riferimento più frequente per l’inizio dell’istruzione primaria è l’età di 6 anni: l’anno solare in cui vengono compiuti è quello di avvio dell’ISCED 1 nella grandissima maggioranza dei Paesi dell’Unione. L’anticipo a 5 anni è prassi comune in pochi casi (Regno Unito, Irlanda, Malta, Paesi Bassi), mentre un altro piccolo gruppo di Stati (soprattutto baltici e orientali) posticipa addirittura l’inizio a 7 anni o lascia libertà di optare per i 6 o i 7 anni. L’analisi degli ordinamenti scolastici esteri permette comunque di stabilire un principio: ciò che conta di più, nei sistemi avanzati, non è tanto la formale età d’inizio della scuola primaria, ma ciò che precede questo momento. La qualità, cioè, dell’insegnamento garantito ai bimbi in età prescolare, e l’attenzione con cui se ne segue lo sviluppo fisico e intellettivo, ciò che permette ai docenti, nei casi in cui è prevista discrezionalità nel passaggio al ciclo successivo, di decidere a ragion veduta se anticipare di un anno o no l’ingresso nella scuola primaria.

 Venendo all’Italia, quale linea potrebbe adottare la Giannini per anticipare l’età scolare a 5 anni? In realtà, com’è noto, la legge consente già l’anticipo per i genitori che lo desiderano: le vie possibili sono due. Il bambino può essere iscritto al primo anno di scuola all’età di 5 anni, a condizione che ne compia 6 entro il 30 aprile dell’anno successivo a quello di iscrizione: ciò significa che un bambino che compia gli anni nell’ultimo giorno del periodo consentito potrebbe iniziare la scuola a poco più di 5 anni e 4 mesi, contro i 6 anni e 8 mesi del compagno più vecchio, nato il primo gennaio di un anno prima. Quindi oggi la legge consente che due bimbi possano legittimamente frequentare la prima elementare pur avendo, nei casi estremi, sedici mesi di differenza di età.

La seconda possibilità riguarda invece i genitori che intendano iscrivere il figlio direttamente al secondo anno di scuola all’età di soli 6 anni, facendogli sostenere un esame di idoneità per evitare il primo anno. In questo caso la condizione giuridica è che i bimbi compiano il sesto anno di età entro il 31 dicembre dell’anno di iscrizione alla seconda. In questo caso, dunque, è possibile trovare nella stessa classe bambini nati, nei casi estremi, il primo gennaio di un anno e il 31 dicembre dell’anno successivo: i mesi di differenza, stavolta, diventano quasi ventiquattro (ovviamente l’anticipo tramite esame non è consentito ai bambini che abbiano già usufruito dell’iscrizione in prima classe a 5 anni). L’esame, che si svolge presso le scuole statali o paritarie davanti a una commissione di due docenti designati dal dirigente scolastico, si basa sul programma seguito durante l’anno che si intende saltare, va sostenuto a giugno e consiste (così la circolare Miur 27/2011) in “due prove scritte” riguardanti “l’area linguistica e l’area matematica”, più “un colloquio inteso ad accertare l’idoneità dell’alunno alla frequenza della classe per la quale sostiene l’esame”.

Come si vede, già oggi esiste un’amplissima discrezionalità nell’età di iscrizione dei figli a scuola, che può portare all’estremo di bambini di 6/7 anni che frequentano la stessa classe pur avendo due anni di differenza tra loro. Il nodo è semmai se rendere questo anticipo obbligatorio, e non più facoltativo: scelta che cozzerebbe contro tutti gli orientamenti espressi dal ministero in passato. I documenti del Miur, nel caso dell’iscrizione anticipata, raccomandano infatti che “per una scelta attenta e consapevole” i genitori si avvalgano delle indicazioni “fornite dai docenti delle scuole dell’infanzia”; così come alle scuole che accolgono bambini iscritti in anticipo si richiede di rivolgere loro “particolare attenzione e cura, soprattutto nella fase dell’accoglienza”. E riguardo all’esame per l’iscrizione diretta alla seconda classe, il colloquio è diretto a valutare “l’idoneità” del bimbo, concetto che certamente non si esaurisce con la preparazione nelle materie del primo anno. Riassumendo: se l’intento del ministro è di rendere generale e facoltativo l’anticipo scolastico a 5 anni, non servono norme nuove, semmai nuove strutture e insegnanti adatti; se invece il progetto è di far iniziare a tutti a 5 anni la scuola dell’obbligo, sarà il Miur a doverci spiegare con quali mezzi far fronte a un esercito di bimbi armati di libri o, ancor meglio, di tablet.

Martino Periti

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