SCIENZA E RICERCA

Additivi e conservanti: attenzione al cloruro di sodio

Parte dalla dispensa Mark Lorch, docente di chimica all’università di Hull in Inghilterra, per elencare cibi e bevande che fanno male alla salute a causa degli additivi che contengono. Ed elenca tra gli altri l’E290, il monossido di diidrogeno e il cloruro di sodio. Vuoi per l’autorevolezza di chi lo sostiene, vuoi perchè lo scrive sul Guardian, il lettore che ne sa poco di chimica potrebbe credere sulle prime a quanto legge, se non fosse che le sostanze incriminate altro non sono che l’anidride carbonica, l’acqua e il comune sale da cucina. Possibile? La spiegazione arriva direttamente da Lorch sul suo blog personale, Try this at home, in cui dichiara apertamente – a scanso di equivoci – trattarsi di uno scherzo. O forse di una provocazione se pensiamo alle informazioni poco corrette che spesso fanno il giro della rete, ricevendo credito e generando allarmismi.

Coloranti, conservanti, dolcificanti sono alcuni tra i più comuni additivi alimentari. Si tratta di sostanze che non sono normalmente consumate come alimenti in sé, né utilizzate come ingredienti, ma che vengono aggiunte agli alimenti per conservarne le qualità nel tempo, per aumentarne il sapore o la consistenza. Non senza qualche preoccupazione (fondata?) da parte dei consumatori. “È necessario innanzitutto distinguere tra additivi naturali e additivi artificiali o di sintesi – spiega Enzo Menna, docente del dipartimento di Scienze chimiche dell’università di Padova –. Il limone, ad esempio, usato nella macedonia perché non annerisca è un comune additivo antiossidante”. Gli additivi alimentari sono utilizzati da secoli: la salatura e l’affumicatura per conservare più a lungo carne e pesce; aromi e coloranti già tra gli Egizi per rendere più appetitosi i cibi; salnitro (nitrato di potassio) e spezie tra i Romani per conservare e rendere i cibi più appetitosi.

Nell’ultimo mezzo secolo i progressi della scienza hanno portato alla scoperta di molte nuove sostanze chimiche potenzialmente utili come additivi. Ma a livello europeo il loro utilizzo e immissione sul mercato vengono autorizzati solo dopo una rigida valutazione dei rischi, che ha portato a un elenco dell’Unione degli additivi alimentari consentiti. Organo di consulenza specialistica è l’European food safety authority (Efsa) che fornisce i pareri scientifici su cui si fonda l’attività legislativa e la definizione delle politiche europee in materia. Sulla base dei dati disponibili, si stabilisce il livello massimo di additivi per cui non si osservano effetti nocivi, detto “livello effetto zero” (“no-observed-adverse-effect level” – Noael). Questo permette a sua volta di definire la dose giornaliera ammissibile (Dga) di ogni additivo, cioè la quantità che può essere assunta quotidianamente in relazione alla massa corporea, anche per tutta la vita senza rischi per la salute. Per garantire un ampio margine di sicurezza il Noael viene suddiviso per un coefficiente di sicurezza pari a 100, al punto che se occasionalmente venisse superata la dose giornaliera difficilmente si verificherebbero effetti dannosi sull’organismo. A ciò si aggiunga che la regolamentazione europea prevede il monitoraggio dei livelli di assunzione degli additivi da parte della popolazione attraverso le stime di consumo medio e massimo e se la valutazione indicasse che la dose giornaliera ammissibile viene superata da alcune fasce di popolazione, la decisione potrebbe essere di diminuire i livelli di additivi consentiti o di ridurre gli alimenti in cui tali additivi sono consentiti.

“Ciò che sarebbe necessario – continua Menna – è una maggiore trasparenza nelle etichette degli alimenti per permettere al consumatore di scegliere con consapevolezza”. Lo stesso concetto viene affermato nel Libro bianco della Commissione europea in cui si sottolinea l’importanza di dare al consumatore informazioni chiare, coerenti e valide al momento di scegliere quali cibi acquistare. E si precisa che l’etichettatura è uno dei metodi principali per informare i cittadini sulla composizione degli alimenti tale da consentire una scelta oculata a tutela della propria salute. A ribadirlo è anche la Strategia per la politica dei consumatori dell’UE 2007-2013 quando sottolinea che solo i consumatori consapevoli possono effettuare vere scelte, i quali devono dunque poter disporre di informazioni accurate e di un mercato trasparente.

Anche su queste basi nel 2011 è entrato in vigore un regolamento europeo, che dovrà essere applicato entro il 2014, con l’obiettivo dichiarato “di ottenere un elevato livello di tutela della salute dei consumatori e assicurare loro il diritto all’informazione”. Vengono fornite nuove indicazioni sulle diciture delle etichette alimentari, dall’introduzione della tabella nutrizionale alla segnalazione di eventuali sostanze allergizzanti, dall’indicazione del paese di origine per la carne all’indicazione del tipo di oli e grassi utilizzati. E a proposito di additivi? Devono essere elencati tra gli ingredienti indicando la categoria di appartenenza, cioè la loro funzione nell’alimento finito (acidificanti, emulsionanti, coloranti), seguita dalla sostanza specifica utilizzata, espressa attraverso la denominazione o dal numero preceduto dalla lettera E con cui gli additivi sono identificati nell’Ue (ad esempio, gomma di xantano o E415). Quindi, occhio all’etichetta e a scegliere con attenzione: con qualche timore in meno, ma senza abbassare la guardia verso quel tipo di comunicazione che cerca di stupire più che di informare.

Monica Panetto

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