UNIVERSITÀ E SCUOLA

Ammissione ai master Usa: arrivano i test formato tweet

Una parola è poco, due sono troppe: un vecchio adagio e una verità condivisa. La Columbia Business School ha dimezzato il numero dei caratteri concessi nelle risposte alle domande brevi dei suoi test di ammissione: 100 battute – meno di un tweet – per spiegare “qual è la tua meta professionale immediata dopo il tuo master in business administration (Mba)?”. 

La brevità costringe ad arrivare al punto, semplifica e migliora la valutazione dei candidati ai corsi Mba d’America. La tendenza è accorciare la lunghezza dei saggi di ammissione, o limitarne il numero; diminuito in molti casi anche il numero di lettere di referenze richieste. Da un lato il mercato dei saggi su commissione (quindi non scritti dai candidati ma confezionati e acquistati su misura) o delle lettere di comodo dovrebbe riceverne uno scossone, dall’altro la semplificazione delle procedure di ammissione può diventare uno specchietto per allodole e attirare più possibili candidati.

Semplificare è la parola d’ordine nei campus statunitensi, ma – giurano – non è sinonimo di facilitare. Non sarà più facile entrare, anzi. Cambiano le modalità di accesso: video-interviste, colloqui di gruppo, interviste faccia a faccia contano sempre più rispetto al solo test scritto, offrendo anche un  maggiore controllo delle conoscenze linguistiche del candidato. La difficoltà dell’intervista resta invariata, e la possibilità di non farcela resta alta.

D’altronde per accedere a un corso Mba i passaggi richiesti sono vari, a partire dal necessario conseguimento del Gmat (Graduate management admission test), il test più comunemente accettato, o del Gre Revised general test. Tentare un Gmat costa 250 dollari, un Gre solo 185 ma vale quasi solo negli Stati Uniti. Un po’ come per i test di lingua, Gmat e Gre possono essere conseguiti in qualsiasi parte del mondo, grazie a una rete di centri d’esame. E naturalmente anche la competenza linguistica va certificata, con uno dei tre esami più diffusi: Toefl, Ielts o Pearson test of English. Tutto come prerequisito per sottoporre la propria candidatura al corso Mba preferito.

Tanta fatica verrà ripagata? Forse. Charles Handy, un esperto di management citato negli ultimi post di business education del Financial Times, ritiene che i manager ormai hanno dimenticato a cosa serve il business. Il risultato è un circolo vizioso anche nel campo della formazione, con i media che premiano i programmi Mba in base alla loro capacità di attrarre guadagni e le scuole di business progettano corsi per fornire agli studenti gli strumenti per massimizzare i ritorni del loro investimento in formazione. Alla fine le scuole migliori risultano sempre quelle che piazzano i loro alunni nei posti più pagati: un cane che si morde la coda. Molto distante dalle necessità delle aziende vere, che contano invece su visione strategica, talento, capacità di innovazione.

Ma per la gioia di scuole ed enti di certificazioni, ecco subito David Wilson, presidente dell’associazione che gestisce il Gmat, pronto a spiegarci che è proprio la realtà dei fatti, stavolta quella innovativa dei corsi on line, a rendere ancora più necessaria la verifica delle competenze. Come dicevano un tempo, mai chiedere all’oste se il suo vino è buono.

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