SOCIETÀ

Argentina: fuga dalla dittatura e speranza di una nuova politica

Sono riusciti a salvarsi, ma non a dimenticare: sono gli esuli argentini durante gli anni della dittatura militare, che riuscirono a mettersi in salvo in Europa e in Israele. A loro – in particolare a quelli che partirono appena adolescenti – è dedicato I ragazzi dell’esilio, edito dall’associazione 24 marzo onlus e scritto da Vera Vigevani Jarach, leader storica di una delle associazioni più importanti delle madres de la Plaza de Mayo, con Diana Aguelar e Beatriz Ruiz.

“Gli esuli sono vittime di cui per tanto tempo non si è parlato, proprio come avvenne per i superstiti dei campi di sterminio nazisti” ha detto Vera Vigevani, nata a Milano nel 1928, emigrata in Argentina proprio a causa delle leggi razziali, durante un incontro a Padova nei giorni scorsi. Durante la dittatura furono circa un milione e mezzo gli argentini a espatriare, molti dei quali adolescenti.

Il regime aveva infatti scatenato la sua feroce repressione soprattutto contro i giovani: per essere inghiottiti dai centri clandestini di tortura bastava aver fatto parte di un gruppo studentesco, detto una parola di troppo durante una riunione o un’assemblea, dipinto uno slogan sul muro. Oppure, semplicemente, essere nel posto sbagliato al momento sbagliato. Solo dal Colegio Nacional, una delle scuole della borghesia bene di Buenos Aires, sparirono 105 ragazzi sotto i 18 anni, quasi altrettanti dall’ugualmente prestigioso Carlos Pellegrini.

L’idea del libro nasce quando, dopo tanti anni, Vera Vigevani – per anni corrispondente dell’Ansa a Buenos Aires – incontra di nuovo Diana, amica e compagna di scuola e di militanza di sua figlia proprio al Nacional. Franca era scomparsa a 18 anni nel 1976: per anni non se ne seppe niente, finché una sopravvissuta non trovò il coraggio di parlare. Oggi si sa che fu portata all’Esma – la famigerata Escuela Mecanica de la Armada – poi, non si sa se ancora in vita, fu imbarcata per essere buttata nell’Atlantico da uno dei famigerati “voli della morte”.

Al contrario a Diana Guelar toccò il volo della vita e della speranza, che la portò al sicuro poche ore prima che la polizia venisse a prenderla. Sulla copertina del libro campeggia proprio una sua foto all’aeroporto, lo sguardo fiero e perduto allo stesso tempo. Un’immagine scattata da un fotografo itinerante, che si rivelò di importanza vitale: grazie a essa infatti i suoi genitori riuscirono a convincere le guardie che lei era partita davvero. Diversamente, avrebbero potuto catturare l’intera famiglia.

Non passa giorno che non emergano particolari, nuovi e terribili, sul regime di Videla, sulla ferocia e lucidità con la quale mise in atto il suo piano di folle ingegneria sociale. Forse solo la lontananza temporale inizia far comprendere le reali dimensioni della tragedia. I ragazzi dell’esilio aggiunge un tassello importante al quadro di quegli anni, analizzando le storie di tanti che riuscirono a salvarsi, spesso però pagando a caro prezzo la loro fortuna.

Ci fu chi non diede credito alle voci che iniziavano a circolare, aspettando inerme e incredulo l’arrivo della polizia; altri più fortunati furono convinti dalle famiglie a espatriare. Tante storie, quelle raccolte nel libro, tutte diverse ma somiglianti: il dramma del distacco, la difficoltà di crescere senza riferimenti in un Paese e in una cultura estranei, il continuo errare alla ricerca di affetti e di sicurezze. Il senso di colpa, per essere sopravvissuti agli amici e ai fratelli. E il rapporto irrisolto, ma inscindibile, con la propria identità e la memoria. “Molti sono rimasti in un silenzio che solo ora inizia poco a poco a sgretolarsi – conferma Vera Vigevani – Non il silenzio complice di chi vuole coprire, ma quello di chi vorrebbe raccontare e non ce la fa”.

Un conto aperto, quella della società argentina con la memoria e la giustizia, che però proprio negli ultimi anni sta conoscendo una svolta: “Quando è morto Videla non ho sentito nulla di speciale – dice oggi la Vigevani – Sapevo che era in prigione. Giustizia era stata fatta”. Una sorte che non è toccata alla maggior parte dei militari golpisti, ma questo non sembra deprimere più di tanto la Vigevani, sopravvissuta al nazifascismo e alla dittatura dei militari, a 85 anni ancora incredibilmente energica e sorridente: “C’è una differenza con l’Italia: in Argentina nessuno si è fatto giustizia con le proprie mani. E nel Paese, ma direi anche in tutta l’America Latina, c’è oggi una nuova consapevolezza: la gioventù inizia di nuovo a credere nella politica”. E chiude: “Forse per il Vecchio Mondo è arrivato il momento di osservare. Non sia mai che proprio dall’America Latina arrivino dei modelli da seguire”.

Daniele Mont D’Arpizio

Vera Vigevani a Padova. Foto: Massimo Pistore

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