UNIVERSITÀ E SCUOLA

Bologna e la scuola in bilico: tra laicità e libera scelta

Ci sono argomenti che hanno ancora il potere di trasformare ogni proposito in una disputa dal sapore squisitamente ideologico. Con il rischio, però, di perdere di vista le questioni in discussione, fino a svilire i principi in gioco. Succede a Bologna, dove il referendum di domenica 26 maggio per bloccare il trasferimento dei fondi pubblici del Comune alle scuole paritarie private dell’infanzia convenzionate ha creato un dibattito tale da superare i confini del capoluogo emiliano e diventare terreno di scontro tra il diritto alla laicità, quello alla libera scelta delle scuole e il semplice mantenimento dello status quo. Nel 1994 il Comune di Bologna avvia un sistema integrato delle scuole dell’infanzia “basato - si legge nella legge regionale di recepimento - sul progressivo coordinamento e sulla collaborazione tra le diverse offerte educative, in una logica di qualificazione delle stesse che sappia valorizzare competenze, risorse e soggetti pubblici e privati”. E proprio questo sistema integrato è sotto accusa dai promotori del referendum, riuniti nel nuovo comitato articolo 33, che hanno formulato il quesito del referendum consultivo: “Quale fra le seguenti proposte di utilizzo delle risorse finanziarie comunali che vengono erogate secondo il vigente sistema delle convenzioni con le scuole d’infanzia paritarie a gestione privata ritieni più idonea per assicurare il diritto all’istruzione delle bambine e dei bambini che domandano di accedere alla scuola dell’infanzia?” Con due possibili risposte. La “A” che prevede la destinazione delle risorse alle sole scuole comunali e statali; la “B” per consentire il trasferimento dei fondi pubblici alle scuole paritarie private (come avviene attualmente).

Le cifre. Sui 37 milioni di euro messi a bilancio a Bologna per il sostentamento delle scuole, 1 milione e 116.000 euro sono destinati alle paritarie convenzionate private. E proprio questa cifra è il contendere del quesito referendario. 

Le due posizioni in gioco sono ovviamente distanti e in contrasto tra loro. Per Stefania Ghedini, maestra materna e tra i promotori del referendum, il quesito “parte da una situazione di fatto - spiega - Da anni le famiglie bolognesi si sentono dire che non c’è posto nelle scuole d’infanzia pubbliche e vengono dirottate alle scuole paritarie convenzionate”. I casi, al 2013, riguardano 423 famiglie: “Il diritto a una scuola gratuita laica - prosegue Ghedini - deve essere garantito a chiunque lo chieda, ferma restando la libertà di scelta di chi vuole espressamente mandare i propri figli a una scuola particolare”. Per l’insegnante lo spettro della crisi economica e della mancanza di fondi non devono essere un alibi, visto che “occorre rivendicare il diritto alla scuola pubblica come esigibile anche in tempi di crisi - commenta - La politica è deputata a governare e non a demandare al privato quello che il pubblico non è in grado di fare”. Sono 1.723 i bambini a scuola nelle paritarie e per il comitato promotore del referendum non sussisterebbe il pericolo di un travaso dal privato al pubblico con l’aumento delle liste d’attesa: “ Ogni figlio alle paritarie - conclude Ghedini - “vale” 600 euro: se anche tutti questi soldi pubblici andassero per calmierare le rette, l’aumento massimo possibile sarebbe di 60 euro al mese”. 

Di avviso opposto Francesco Errani, consigliere comunale del Partito democratico a Bologna: “Il referendum - spiega - non aiuta a trovare la soluzione a un problema, ma solo a dire un sì e un no. Siamo di fronte a uno scontro frontale ideologico e spero che, passata domenica, si possa tornare a ragionare su un percorso educativo partecipato dai cittadini”. Il riferimento non è a caso, d’altra parte Bologna negli anni Settanta ha fatto nascere le scuole per l’infanzia attraverso un percorso di cittadinanza attiva e partecipata: “Proprio quel percorso dobbiamo riprendere”, incalza Errani che crede nella strada indicata dal sistema pubblico integrato. “Garantisce il diritto ai genitori di trovare spazio nelle scuole per i figli e quello dei bambini di avere un’educazione - prosegue il consigliere - È questo  il tema, poi possiamo riflettere sul fatto che il sistema possa essere migliorato con criteri diversi  affinché venga garantito anche il diritto di scelta”. L’esponente del Pd ne fa una questione sociale: “Se quel milione di euro - continua - non finisse più nelle scuole private paritarie potremmo assistere a un aumento delle liste d’attesa per accedere alle scuole dell’infanzia”. Il rischio per Errani è che “si possa alimentare un conflitto sociale che oggi si vive sulla casa pubblica e su alcuni altri servizi e non vorrei che si aprisse anche sulla scuola”. Per i sostenitori del finanziamento alle paritarie private il contributo “è un indicatore di eterogeneità, visto che quel denaro contribuisce all’accesso alle scuole per più bambini, grazie all’abbassamento delle rette annuali”. 

Ma.S.

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