SOCIETÀ
Caduti per mano amica. I morti cancellati del 1914-18
Illustrazione: Clifford Harper
A vos petits enfants l'on ne répète/Jamais comment finit leur grand-papa / Il y a des chos's dont on ne parle pas / Mutins de mil neuf cent dix-sept. “Ai vostri nipotini mai si ripete/com’era morto il loro nonno / ci sono cose di cui non si parla / ribelli e disertori del 1917”.
Così recitava Les Mutins de 1917, canzone scritta e incisa dal cantautore Jacques Debronckart, censurata ufficialmente dalle autorità francesi per più di trent’anni poiché affrontava il tema particolarmente scabroso dei disertori fucilati durante la prima guerra mondiale. La stessa sorte toccò, musicalmente parlando, a Le Déserteur di Boris Vian, mentre a livello cinematografico il caso più eclatante è quello di Orizzonti di gloria di Stanley Kubrick, interpretato da Kirk Douglas, proibito in Francia dal 1958 al 1976 perché rivalutava i soldati che rifiutarono di farsi uccidere al fronte andando contro gli ordini dei loro superiori.
Si calcola che, durante il primo conflitto mondiale, i giudici militari francesi abbiano ordinato 675 fucilazioni, gli inglesi 330, gli italiani 750; numeri rilevanti, che tuttavia non tengono conto delle numerosissime esecuzioni sommarie volte a reprimere gli ammutinamenti e le diserzioni. Per molto tempo, infatti, venne cancellato ogni ricordo dei cadaveri lasciati volontariamente insepolti come monito per le truppe che continuavano a combattere.
Secondo la storiografia ufficiale francese, nel corso della guerra vennero emesse 3.427 condanne in totale, di cui il 10% riguardavano disertori. Su questo totale, 554 furono le condanne a morte e 49 le esecuzioni. D’altro canto però, il giornale Le Crapouillot, con un’inchiesta pubblica condotta nell’agosto 1934, dimostrò che tra il 1914 e il 1918 erano stati giustiziati 1.637 soldati, di cui 528 solo nel 1917, dopo episodi molto estesi di rifiuto di combattere.
La prima occasione in cui questa complessa pagina di storia tornò di dominio pubblico si ebbe a Craonne nel novembre del 1998, quando Lionel Jospin, all’epoca primo ministro socialista, decise di riabilitare i disertori che nell’aprile 1917 vennero fucilati in città per essersi ribellati ai generali che li mandavano a morire sotto i colpi delle artiglierie tedesche.
Dieci anni dopo, vicino a Verdun, città della Lorena presso cui si svolse una delle più violente e sanguinose battaglie di tutta la prima guerra mondiale, il presidente Nicolas Sarkozy ribadì la vicinanza della nazione alle famiglie dei soldati coperti di ignominia, sottolineando come le diserzioni non fossero state espressione di codardia, bensì del raggiungimento dello stremo delle forze psicofisiche. Nel 2004 è stato il cinema a riparare, tardivamente, alla censura contro Kubrick con Una lunga domenica di passioni, di Jeunet.
Il 16 aprile scorso, quindici anni dopo il discorso di Jospin, il ministro degli ex combattenti Kader Arif , che nel novembre 2012 aveva attribuito la menzione "morto per la Francia" al sottotenente Jean-Julien Chapelant, fucilato per diserzione nel 1914, ha annunciato che tutti i casi saranno riesaminati da una commissione appositamente incaricata di redigere un rapporto atteso per luglio. Secondo i dati riportati nell’enciclopedia della Grande Guerra, in Francia, durante il conflitto, ci furono in media 15.745 diserzioni l’anno.
La Francia non è tuttavia il primo paese a compiere un passo a favore della riabilitazione delle figure dei disertori: la Gran Bretagna, con una legge, ha riabilitato la memoria di 306 soldati giustiziati durante la guerra. Restano invece dimenticati dall'Italia i suoi soldati condannati a morte e fucilati. Durante la guerra si stimano 101.000 condanne per diserzione; ma di molte fucilazioni sul campo, effettuate soprattutto dopo Caporetto e eseguite, nella maggior parte dei casi, senza un regolare processo, non sono rimaste notizie certe, così come delle “decimazioni” comminate al fronte su interi reparti dai comandanti per “ristabilire la disciplina”, o dei soldati uccisi sul posto. La memoria spesso è difficile: O Gorizia, il canto dolente di denuncia della guerra nato nelle trincee e oggi conosciutissimo, fu cancellato per decenni e al suo riapparire nel 1964 al festival di Spoleto provocò uno scandalo enorme.
L'ufficializzazione simbolica del ricordo di questi morti sembrerebbe avere una valenza marginale, ma la memoria storica di ciò che è stato donerebbe obiettività e moralità nuove anche alla politica tanto bistrattata di casa nostra.
Gioia Baggio