SOCIETÀ

In cerca di democrazia: le ricette di Michele Ainis

“Ritengo che questa sia una fase della nostra storia collettiva in cui l’aspirina non basta più per guarire dal malanno, perché il malanno non è un raffreddore, ma una polmonite. E allora hai bisogno di medicinali forti, se non dei ferri del chirurgo”. A dirlo è Michele Ainis, costituzionalista, docente all’Università di Roma Tre e autore di “Privilegium”, in un’intervista sulla rivista “Una Città”, dove parla della nostra società e della necessità di riforme radicali per superare la condizione di Paese ancorato a privilegi di casta, a piccoli e grandi interessi e lobby di potere.

Ainis ripropone e attualizza concetti coniati sul finire del Settecento, termini oggi poco usati ma che nella sua visione costituiscono invece le premesse per il recupero dei valori fondanti della democrazia. “Fraternité” e uguaglianza, o meglio “disuguaglianza ben temperata”, sono i cardini attorno ai quali ruotano il suo ragionamento e le sue proposte. La fratellanza riproposta da Ainis contiene in sé, allo stesso tempo, il concetto di diversità e di appartenenza, nella misura in cui “nostro fratello” pur con un’individualità propria, ha il nostro stesso sangue. La fratellanza è il trait d’union tra uguaglianza e unità e proprio la mancanza di “fraternité” genera nel nostro Paese mancanza di unità. Al punto che non ci si riconosce come popolo, ma come appartenenti a un gruppo sociale e di questo si difendono i privilegi. Ciò che dovrebbe esistere, sostiene Ainis, è una uguaglianza liberale, cioè un’uguaglianza nei “punti di partenza” dei singoli. A significare che, a parità di strumenti, a seconda della volontà e dei meriti, ognuno raggiunge in un’immaginaria gara sociale risultati differenti, indipendenti da eventuali appoggi esterni. Una “disuguaglianza ben temperata”, per l’appunto. L’uguaglianza, dunque, non sta nei punti di arrivo, ma nelle condizioni di partenza. 

 Sulla base di queste premesse, le riforme che Ainis propone consistono innanzitutto nello scardinare i conflitti di interesse e fondare anche la società politica sui principi di uguaglianza. Oltre che eliminare, o almeno ridurre, la grande distanza esistente tra classe politica e cittadini, facendo in modo che la politica non sia più un mestiere e gli italiani semplici spettatori.  L’idea di una “Camera dei cittadini” che rifletta il profilo socio-demografico del paese e si fondi sul principio del sorteggio nasce da queste considerazioni. E il “recall”, cioè la revoca anticipata dell’eletto immeritevole, “uno strumento di democrazia diretta per rendere più autorevole la democrazia rappresentativa”, potrebbe costituire un ulteriore strumento. Perché la “democrazia è un rendiconto sull’esercizio del potere”. Ciò significa che i cittadini si troverebbero nella posizione di poter revocare una carica a un eletto nel caso in cui ritengano che il mandato non venga svolto meritoriamente. Ovviamente con le dovute condizioni. E cioè che la richiesta provenga da una parte significativa dell’elettorato e non all’indomani delle elezioni, ma dopo un arco temporale minimo, che potrebbe essere un anno. Inoltre, dovrebbe essere applicabile solo alle cariche pubbliche monocratiche, come i sindaci, i presidenti di regione, e non ai collegi plurinominali, caso in cui rischierebbe di alterare il “gioco democratico” nel rapporto tra maggioranza e minoranza.  

Nel suo ragionamento Ainis introduce un ulteriore concetto. Quello di motivazione e trasparenza in ambito legislativo. Le leggi, spiega, non devono essere motivate. La legge trova le proprie ragioni nella legittimazione dell’organo che l’ha varata, che è un organo elettivo, quindi investito della rappresentanza dei cittadini. Ma se la legge non vuole spiegazioni, nei casi di deroghe alla norma, di eccezioni alla regola, la motivazione dovrebbe essere doverosa. Per consentire un controllo pubblico delle ragioni che sostengono una decisione pubblica, sottolinea Ainis. Per un principio di trasparenza.  

In questo contesto, un ruolo importante assumono anche la formazione e la macchina concorsuale, delegati rispettivamente a istruire e a scegliere quanti sono deputati ad amministrare la cosa pubblica, che dovrebbero essere sottoposte a un programma di revisione e riforma. Se da un lato infatti la riforma dell’istruzione superiore, con l’introduzione dei crediti e il conseguente ridimensionamento dei programmi, ha portato a un impoverimento dell’insegnamento universitario, dall’altro i concorsi sono diventati un “raffinato strumento di selezione dei peggiori”. Questo perché, nell’opinione di Ainis, sebbene la Costituzione preveda che alle pubbliche amministrazioni si acceda tramite concorso pubblico “salvo i casi previsti dalla legge”, le eccezioni rappresentano la regola, e i concorsi sono spesso bypassati, quando non sono truccati o non sufficientemente controllati.

“Allora, per concludere, se è vero che siamo messi così, e cioè che "la legge è uguale per tutti” è diventata solo una formula che sta scritta nei tribunali; se è vero, come è vero, che ci sono 63.000 norme di deroga, e quindi che in realtà "la legge è diseguale per tutti”, ecco allora che la mia proposta, alla fine, per ripristinare le condizioni di quella "disuguaglianza ben temperata” è di rendere più difficile il lavoro sporco”.

Monica Panetto

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