SOCIETÀ

Cina contro Google, game over (per ora)

L’attacco hacker di questi giorni a Twitter sembra portare alla pista cinese. Un lavoro da professionisti: 250.000 account violati. La tecnica di infiltrazione nel sistema informatico di Twitter assomiglia molto all’attacco subito nei giorni scorsi da alcune importanti testate giornalistiche occidentali, tra i quali New York Times e Wall Street Journal. La tecnica impiegata sembra escludere il gruppo Anonymous e condurre piuttosto a quella degli hacker cinesi, con l'obiettivo di monitorare il modo in cui vengono seguite le vicende di Pechino dalla stampa occidentale. Al corrispondente da Pechino del NYT, Chris Buckley, non è stato rinnovato il visto giornalistico né il permesso di residenza per il 2013, dopo che aveva deciso di passare dalla redazione di Reuters al NYT che proprio in quel momento componeva l’articolo sulle ricchezze accumulate dalla famiglia dell’allora premier Wen Jiabao. Subito dopo ci furono una serie di cyber-attacchi contro i due quotidiani, probabilmente finiti nel mirino proprio per le inchieste sul premier Wen Jiabao..

È già da qualche mese che i controlli del governo cinese si sono fatti sempre più serrati grazie agli sviluppi delle nuove tecnologie applicate ai sistemi di controllo. Società, aziende e cittadini all'interno del paese sono costantemente sottoposti a controlli incrociati su quello che leggono, in particolare sui siti stranieri ai quali accedono. Il neo-eletto Comitato permanente del congresso nazionale del popolo ha approvato un provvedimento denominato “Decisioni per rafforzare la protezione dell’informazione online” dove impone ai gestori dei server di richiedere un’identificazione personale a tutti quelli che ne fanno uso per accedere ai social network come Sina Weibo, il Twitter cinese. Non sono permessi i commenti anonimi e gli username finti, che hanno finora consentito a molti potenziali dissidenti di celarsi dietro un nickname. Alcune aziende che forniscono agli utenti in Cina servizi di rete di telecomunicazioni private attraverso sistemi VPN (Virtual Private Network), target di questa nuova stretta governativa,dicono che il nuovo sistema di controllo governativo è in grado di apprendere, scoprire e bloccare anche le comunicazioni criptate utilizzate dai diversi sistemi VPN, controllando l’accesso a giornali, blog e siti stranieri e alle reti sociali come Twitter e Facebook. L’estendersi del controllo governativo sull’uso della rete è però sempre più ampio e articolato.

Anche Google, dopo due anni di braccio di ferro con il governo cinese, ha ceduto e abbandona la funzione “anti-censura” che aveva introdotto nel 2012 per avvertire gli utenti se una ricerca effettuata poteva essere bloccata dalle autorità. Come riporta The Guardian il 4 gennaio 2013, Google ammette la sua sconfitta nella battaglia contro la censura di Pechino, decidendo di abbandonare la funzione in quanto parte degli utenti veniva scollegata dalla rete dalle autorità cinesi tramite il ”The Great Firewall of China“ – questo il nome con il quale è conosciuto il progetto cinese di sorveglianza della rete GoldenShield Project, istituito dal Ministero di pubblica sicurezza della Repubblica popolare cinese nel 1998 ma effettivamente divenuto operativo nel 2006. Attraverso l’installazione di router lungo i nodi che formano l'infrastruttura di rete cinese e che fungono da firewall per il monitoraggio dei dati che vi transitano, il governo cinese risale all'utente che ha visitato un sito vietato. E sono ormai numerosi i siti il cui accesso dalla Cina risulta bloccato per effetto della censura. Spuntano un po’ ovunque in rete siti per effettuare test per sapere se il proprio sito è accessibile dalla Cina oppure no, come per esempio http://www.greatfirewallofchina.org/ o http://www.websitepulse.com/help/testtools.china-test.html

Un controllo ed una censura che le autorità rivendicano come dovute, ai termini di legge. Jingjing e Chacha sono i nomi di due poliziotti-cartoon della Divisione di sorveglianza Internet dell'ufficio di pubblica sicurezza di Shenzhen che invitano i cittadini cinesi a “comportarsi bene” in rete.

La vicenda è nota: Google, in polemica contro i controlli, lascia Pechino chiudendo quasi interamente le attività della sua filiale cinese e reindirizzando il traffico ad Hong Kong, “Nuova casa di Google Cina” nel 2010, per problemi legati alla censura, ma a gennaio 2012 lancia una nuova sfida, annunciando di aver introdotto una funzione che avverte gli utenti, con un messaggio automatico, su possibili blocchi al motore di ricerca attuati dal governo cinese a seguito di ricerche su parole sensibili: “Dal momento che il Governo cinese tratta come segreti di stato le parole passibili di censura, Google ha stilato la lista delle parole chiave analizzando i risultati della ricerca dei 350.000 vocaboli più usati.” In un video pubblicato da Repubblica lo scorso giugno, viene presentato il funzionamento del sistema anti-censura di Google, che analizzava a monte i vocaboli più usati dagli utenti cinesi e estraeva la lista delle parole chiave sottoposte a censura dal governo. Quando un navigante della rete digitava una di queste parole come termine di ricerca, veniva immediatamente allertato tramite una modalità automatica che gli inviava un avviso. Utilizzare una parola vietata come termine di ricerca, invece, comportava la perdita per alcuni minuti della connessione a Google, bloccata dai programmi governativi, e molto probabilmente la registrazione dell’account da cui la richiesta era partita come autore di una ricerca illecita.

E non si tratta soltanto di poche parole sensibili, o una manciata di siti di dissidenti ed attivisti irriducibili, al contrario. Termini e siti sotto attenzione da parte delle autorità sono in continua crescita. Il sito GreatFire.org  - contrapposto al cinese Great Firewall – fornisce già dal 2001 in modo trasparente i monitoraggi ai siti e parole chiave bloccate dalla censura cinese.

Sembra che la decisione di Google di abbandonare la funzione automatica sia stata determinata dal fatto che in concomitanza del Congresso Nazionale del Partito Comunista Cinese - chiamato a stabilire la nuova generazione della classe dirigente che governerà il gigante asiatico nei prossimi anni - tenutosi nel novembre 2012, la rete sia rimasta spenta e i servizi forniti dal motore di ricerca, compreso il servizio gmail (nel 2010 oggetto di alcuni degli attacchi di hacker cinesi) siano rimasti oscurati per due giorni. La stampa cinese come il Quotidiano del popolo e il Global Times afferma  però che sono stati i cittadini cinesi a chiedere che il caos di internet venisse regolato. “Le persone non devono temere il loro governo, sono i governi a dover aver paura del loro popolo”. È la celebre citazione, rapidamente diffusasi nei blog cinesi, del film “V per Vendetta”, tratto dall’omonimo romanzo grafico di Alan Moore, storia di un anarchico in lotta contro un regime totalitario: un film che – stranamente - era stato mandato in onda per la prima volta dalla CCTV, la televisione di stato cinese, poco tempo prima.

Antonella De Robbio

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