CULTURA

Da Fellini a Farinetti. Il nuovo racconto dell’Italianità

La Dolce Vita di Fellini è stato molto più di un film di successo. È stato l’emblema dello “stile di vita” italiano alla luce della rinascita sociale ed economica dopo la seconda guerra mondiale. La scena con Anita Ekberg e Marcello Mastroianni nella fontana di Trevi è quella che, nel lungo periodo, ha colpito di più l’immaginario del pubblico. Una sintesi formidabile di quel mix di estro, bellezza e passione che caratterizzano, negli stereotipi, l’italianità.

Questo risultato è stato per lo più involontario. Nelle intenzioni il film voleva essere una critica pungente ad alcuni tratti dell’Italia degli anni Cinquanta. Al contrario, la Dolce Vita si è trasformata in un manifesto culturale del quale il nostro paese ha beneficiato a lungo. In particolare, le piccole e medie imprese del Made in Italy hanno saputo utilizzare l’immaginario traducendolo in prodotti di lusso come abiti griffati, automobili sportive e mobili di design per la casa. Una “dolce Vita” che, sebbene costosa, non era riservata solo agli italiani ma potenzialmente acquistabile da tutti.

Se dovessimo rintracciare oggi una narrazione altrettanto incisiva dell’italianità forse dovremmo guardare non tanto al mondo della produzione cinematografica e dell’arte ma a quello della distribuzione commerciale, in particolare a quella gastronomica. Uno dei progetti più significativi è Eataly creato da Oscar Farinetti, imprenditore della distribuzione e precedente proprietario di Unieuro. L’idea di fondo è di trasformare la nostra straordinaria cultura alimentare da lusso per pochi e privilegiati intenditori in una esperienza accessibile a un pubblico più ampio, soprattutto a livello internazionale. Non si tratta di un passaggio scontato. Per apprezzare la qualità di un prodotto gastronomico è necessario conoscere le tecniche di produzione, saperne valutare le caratteristiche specifiche, avere consapevolezza degli ingredienti e del loro uso. Questo molto spesso implica conoscere il territorio di provenienza e la storia del prodotto. In una parola: per apprezzare un prodotto enogastronomico è necessario conoscere la cultura che l’ha generato.

La dimensione innovativa del progetto di Farinetti è l’aver considerato la distribuzione non solo come luogo di vendita ma come un vero e proprio mediatore culturale nel quale raccontare la specificità enogastronomica italiana senza banalizzarla. Ad esempio, entrando in uno dei punti vendita di Eataly si impara come si produce la mozzarella (ci sono i mastri casari all’opera all’interno del negozio) come si fa la pasta di qualità, oppure potete sapere tutto sull’olio d’oliva. Pochi metri più in là questi stessi prodotti possono essere consumati sia attraverso i numerosi ristoranti interni sia attraverso il loro acquisto a scaffale. Molte aziende di piccole dimensioni ma di grande qualità hanno così potuto incontrare un pubblico più ampio della loro nicchia di riferimento, pubblico che difficilmente sarebbero riuscite da sole a raggiungere, viste le loro ridotte risorse comunicative. Si rimane colpiti nel vedere quanto i consumatori a livello internazionale apprezzino questo percorso di approfondimento dell’italianità. Se andate all’Eataly di New York preparatevi a lunghe attese anche solo per un semplice gelato.

Il successo di questa e altre iniziative simili dovrebbero farci riflettere sulle potenzialità che questi nuovi spazi distributivi hanno per raccontare la nostra cultura, ben oltre la sola enogastronomia.

Marco Bettiol

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