SCIENZA E RICERCA
Datemi un albero e vi cambierò il clima
Che gli alberi siano da sempre degli alleati del clima e delle città era risaputo. Ma nuovi studi indirizzano verso dati ancora più interessanti che potrebbero portare a benefici in termini di clima e di inquinamento.
Prendete Houston o meglio tutta l’area che comprende anche Galveston e Brazoria in Texas. E immaginate di piantare lungo la cintura esterna circa 400 ettari di grandi alberi. Piccole foreste i cui costi, tra l’altro, sono molto contenuti, dato che i terreni utilizzati sono agricoli e in gran parte abbandonati. “Ebbene – spiega Alessandro Angrilli, docente dell’università di Padova, interpretando i dati di un recente studio pubblicato su Pnas – il modello proposto, che ha lo scopo di assorbire lo smog proveniente dai centri urbani, è in grado di eliminare in un anno 3,19 grammi di ozono e 0,6 grammi di biossido di azoto per ogni metro quadro della chioma di un albero”. Complessivamente si stima che verrebbero eliminate 310 tonnellate di biossido d’azoto e 58 di ozono in 30 anni.
Grandi alberi e spazi verdi, dunque, per rispondere a problemi di inquinamento atmosferico. Ma non solo, perché un ripensamento green dello spazio urbano potrebbe avere ricadute positive anche in termini di risparmio economico e di salute pubblica.
La situazione attuale non è delle più rosee. Il quinto rapporto dell’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc), Climate change 2014, ha sottolineato che le emissioni di gas serra stanno aumentando a un ritmo doppio rispetto a 10 anni fa e che la temperatura media è in salita, al punto che si prevede entro il 2100 un aumento dai 3,7 ai 4,8 gradi rispetto ai livelli pre-industriali. Da qui l’obiettivo entro il 2050 di ridurre i gas serra dal 40 al 70% rispetto ai valori del 2010, e contenere, così, l’innalzamento della temperatura entro i due gradi.
Se questa è la situazione a livello globale, esistono poi fattori specifici che influiscono sul clima locale. E il consumo del territorio è uno di questi. Secondo i dati riportati da Legambiente, se negli anni Cinquanta il suolo cementificato era circa il 3% del territorio nazionale, nel 2012 superava il 7%. Quasi 22.000 chilometri quadrati di terreno urbanizzato. A preoccupare è l’accelerazione del fenomeno, se si considera che la crescita annuale è di circa 255 chilometri quadrati. A incidere in misura maggiore è la costruzione di edifici e capannoni (il 30% sul totale del suolo consumato), di strade e ferrovie (28%). A confronto con il resto dei Paesi europei, l’Italia non fa una gran bella figura. Con quasi l’8% di copertura artificiale, è al quinto posto tra gli Stati con la più elevata cementificazione dopo Malta, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo. Ma slitta al primo posto se si considerano Paesi più simili all’Italia quanto a estensione e popolazione.
“Sul suolo nazionale – sottolinea Angrilli – continua ad aumentare la costruzione di strade ed edifici, in particolare lungo le zone costiere. Si fabbricano ospedali e centri commerciali che ‘erodono’ ampie fette di territorio. Senza contare la tendenza a costruire rotatorie nelle strade che richiedono un consumo di terreno pari a 200-400 metri quadrati, fino a raggiungere in alcuni casi anche i 1.000 metri quadrati”. A livello regionale, Lombardia e Veneto risultano essere le regioni con il più alto consumo di suolo (quasi l’11% della superficie totale), seguite da Campania, Lazio ed Emilia Romagna.
Le ripercussioni di questa situazione sono sotto gli occhi di tutti. L’impermeabilizzazione del territorio è strettamente legata al rischio idrogeologico. “Tagliare alberi – argomenta il docente – comporta conseguenze a cascata su molte variabili ecologiche”. Aumentano gli allagamenti, ad esempio, dato che gli spazi verdi si comportano come ‘spugne’ che assorbono l’acqua in eccesso; aumentano le temperature delle città, anche di 4-5 gradi. Ciò comporta un maggiore utilizzo dei sistemi di condizionamento e, dunque, livelli superiori di consumo energetico e di produzione di anidride carbonica. Queste “isole di calore” generano poi correnti estremamente forti che scaricano la loro energia in forma di piogge torrenziali o tempeste particolarmente intense. Con tutti i danni che ne conseguono.
La costruzione di strade intensifica il traffico, il numero di incidenti stradali e provoca un considerevole innalzamento dei livelli di smog. Un fattore determinante per la salute dell’uomo, se si considera che l’inquinamento ambientale è strettamente correlato al rischio di tumori, ictus e infarti. La presenza di spazi verdi e grandi alberi nei contesti urbani consentirebbe, al contrario, di invertire o almeno arrestare alcune di queste tendenze, “costituendo una strategia efficace per contrastare i cambiamenti ecologici locali”, spiega ancora Angrilli.
Qualche esempio. I processi di fotosintesi e di traspirazione delle piante, assorbendo energia solare ed eliminando acqua, sono in grado di ridurre di molto la temperatura dell’aria. Basti pensare che un grande albero, attraverso il processo di evaporazione, è capace di traspirare fino a 400 litri di acqua al giorno che si traduce in un raffreddamento equivalente a circa 20 condizionatori d’aria casalinghi. “Per avere effetti significativi – puntualizza Angrilli – è necessario tuttavia raggiungere masse critiche. Una copertura del 10% della superficie della città ridurrebbe la temperatura di quattro, cinque gradi, contrastando in questo modo l’effetto ‘isola di calore’. Ma anche una superficie arborea del 5% avrebbe effetti, meno intensi, ma sensibili”. Con una riduzione di fenomeni come le alluvioni e dei costi che ne derivano, in termini economici e di sofferenze umane.
C’è poi il risparmio energetico. Si provi a pensare agli alberi con foglie caduche: d’estate la chioma copre i muri delle case che, in questo modo, non si scaldano consentendo un risparmio in termini di condizionamento che può arrivare anche al 50%. In inverno, al contrario, le foglie cadono, la casa viene illuminata dal sole e tende a scaldarsi. E questo può determinare un valore aggiunto per gli edifici. “Negli Stati Uniti – osserva il docente – le abitazioni con alberi vicini possono aumentare di prezzo dal 7% al 18%”.
I viali alberati proteggono dal sole il manto stradale che dura il 30% in più, con una conseguente diminuzione dei costi di manutenzione necessari per la sistemazione di crepe e buche.
Negli ultimi anni, infine, studi di psicologia ambientale hanno dimostrato l’esistenza di una relazione, direttamente proporzionale, tra benessere psichico e presenza di spazi verdi nei centri urbani. Uno studio pubblicato su Psychological science, ad esempio, condotto nel Regno Unito su un campione di più di 10.000 persone, giunge alla conclusione che ad avere maggiori problemi di salute mentale, in termini di stress, ansia e depressione, sono le persone che vivono in zone con meno spazi verdi. E sebbene gli effetti a livello individuale non siano eclatanti, sottolineano i ricercatori, vanno considerati i potenziali benefici a livello di comunità, anche in termini di risparmio sulla spesa sanitaria.
In conclusione, un aumento della copertura arborea in città potrebbe garantire vantaggi economici e sociali, oltre che ambientali. Benefici di cui dunque si dovrebbe tener conto in fase di pianificazione urbanistica e territoriale.
Monica Panetto