SOCIETÀ

Detroit: a pagare saranno le banche o i pensionati?

La bancarotta di Detroit è, se non la prima, senz'altro la più grossa nella storia degli Stati Uniti e presenta cifre da capogiro, con debiti complessivi di quasi 20 miliardi di dollari per una città di soli 700.000 abitanti.

I circa 20.000 pensionati del settore pubblico, che ricevono in media 1.600 dollari al mese, rischiano ora di essere tra le vittime di questo terremoto finanziario, giacché i fondi pensione gestiti dall’amministrazione locale sono in rosso per tre miliardi e mezzo di dollari (più altri sei miliardi di dollari di debiti del sistema sanitario accumulati nei confronti degli stessi pensionati).

Alcune delle dinamiche che hanno portato al tracollo di Detroit – ad esempio il calo della popolazione cittadina, il suo contemporaneo invecchiamento o la fuga verso i sobborghi – rievocano problemi che affliggono oggi anche l’Italia: una storia che offre qualche importante spunto di riflessione anche a chi la osserva da Oltreoceano.

Nel 1950 Detroit aveva 1,8 milioni di abitanti. Da allora, però, non ha fatto altro che perdere residenti, soprattutto a causa del collasso dell’industria automobilistica che l’aveva resa grande e ricca. Anche guardando solo al periodo dal 2000 a oggi, la sua popolazione si è ridotta del 26%. Ciò ha comportato una contrazione violenta del numero di contribuenti, fenomeno reso ancor più grave dal fatto che a rimanere è stato solo chi non aveva le risorse per andarsene. Oggi Detroit ha un reddito procapite medio di 15.261 dollari e il 36,2% dei suoi residenti vive sotto la soglia di povertà. Il pensionamento dei baby boomer non sta facilitando le cose. Se nel 2004 il 51% di lavoratori di Detroit era attivo e versava i contributi e il 49% era in pensione, nel 2011 solo il 39% di lavoratori contribuiva a un sistema che doveva mantenere il 61% della forza lavoro andato in pensione.

In sintesi, il Comune di Detroit ha dovuto fare i conti con entrate in continuo calo, che dovevano pur sempre coprire l’erogazione di servizi a una popolazione più povera e vecchia, quindi più bisognosa, e spalmata lungo lo stesso territorio della metropoli del 1950, dall’estensione complessiva di 360 chilometri quadrati (in città si contano oggi circa 78.000 edifici abbandonati). I ripetuti tentativi fatti dalle autorità locali di attirare nuovi residenti sono risultati un buco nell’acqua, anche se negli ultimi tempi si parla di una vera rinascita commerciale a downtown. 

È qui che entrano in gioco le pensioni dei dipendenti pubblici, che, al contrario di quelli dei colleghi impiegati nel settore privato, funzionano secondo il modello retributivo (ovvero l’ammontare di una pensione è calcolato sulla base del reddito guadagnato durante gli anni di lavoro) e non contributivo (dove si riceve quello che si è versato, più il ritorno sugli investimenti). La municipalità è quindi obbligata a garantire con i propri soldi l'esborso della pensione, indipendentemente dalla percentuale di contributi effettivamente pagata dal lavoratore. Cosa che diventa particolarmente difficile in tempo di crisi economica con un'amministrazione che ha sempre meno risorse a disposizione. 

“L’erosione di popolazione e delle attività commerciali che affligge Detroit da decenni l’ha lasciata con un numero di contribuenti insufficienti a sostenere i servizi di base - riassume James Spiotto, un avvocato specializzato in fenomeni di bancarotta, anche municipali, presso lo studio Chapman & Cutler a Chicago - La recessione ha fatto poi perdere alla città gli ultimi soldi”. Il crollo dei mercati finanziari ha ridotto il valore degli investimenti fatti con i fondi pensione, costringendo un Comune senza fondi a coprire le perdite.

Avendo dichiarato bancarotta, il destino di Detroit è ora nelle mani di un giudice federale, che dovrà decidere se accettare il piano di risanamento che il commissario incaricato dei conti della città, Kevyn Orr, sta mettendo assieme. Tra le cose da stabilire: quali debiti saranno ripagati e come, e quali invece no. 

Si prospetta così una battaglia tra pensionati e investitori, coloro che negli anni hanno acquistato l'equivalente locale dei buoni del Tesoro finanziando il funzionamento della città. 

Da un lato, l'amministrazione non può abbandonare i propri pensionati, che come tali hanno ben poche risorse oltre alla pensione. Una certa lettura della Costituzione statale inoltre, sostenuta dai sindacati del settore pubblico, suggerisce che sia incostituzionale per la municipalità diventare insolvente sulle pensioni. Dall'altro lato, però, non ripagare gli investitori significa, per Detroit, tagliarsi fuori dal mercato dei bond municipali, rinunciando da ora a quegli investimenti che saranno vitali per far ripartire l'economia cittadina in futuro. “In un certo senso, le due parti sono collegate in maniera inestricabile: la capacità del Comune di Detroit di pagare le pensioni dipende direttamente da una buona performance economica della città”, dice l’avvocato Spiotto. 

Le tensioni ricordano da vicino l'ansia italiana da spread, quando sembrava impossibile far tornare i conti dello Stato in modo da non far fuggire gli investitori stranieri, evitando al contempo di soffocare l’economia nazionale. Quali, dunque, le possibili soluzioni per Detroit e per altre amministrazioni pubbliche pesantemente indebitate?

C’è chi, alle tradizionali ricette basate sul dualismo tra “rigore e rilancio economico”, contrappone soluzioni più innovative e radicali per ripopolare la città al fine di aumentare il numero di contribuenti e garantire i servizi, a partire dalle pensioni. Si parla di ridurre fisicamente il territorio di Detroit, troppo estesa rispetto alla popolazione attuale. Questo significa costruire di più verso il centro e obbligare i residenti dei quartieri periferici, o meno densamente abitati, a trasferirsi. Una seconda idea, che dovrebbe interessare anche l’Italia, è di scommettere sull’immigrazione, generando nuovi visti “vincolati” dalla residenza. I lavoratori stranieri sarebbero così obbligati a spendere i propri soldi e a versare le tasse, rimpinguando le casse comunali. 

Da decenni ormai Detroit è vista, almeno in certi circoli, come un laboratorio ideale per sperimentare con nuove politiche urbane. Che sia questa la volta buona? 

Valentina Pasquali

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