SOCIETÀ

Disoccupazione giovanile, si può fare qualcosa?

Su 10 nuovi posti di lavoro in Italia solo 1 viene occupato da un giovane. In Inghilterra il rapporto è 3 su 10, in Germania 2,6, in Spagna 1,5. Da noi la probabilità di essere disoccupato per un giovane under 30 è 3,5 volte superiore a quello di un over 30. I giovani che non lavorano e non studiano sono 2 milioni e 600.000. Per assumerne solo la metà bisognerebbe creare 13 milioni di posti di lavoro. Una cifra che la realtà non può neanche avvicinare.

È questa la foto scattata da  McKinsey&Company alla disoccupazione giovanile in Italia, attraverso una ricerca che ha toccato oltre 100 istituti scolastici, 1.500 studenti e 300 imprese e finalizzata a facilitare la transizione scuola-lavoro.

In Europa oggi il tasso di disoccupazione giovanile è il più elevato rispetto a qualsiasi area del mondo, se si escludono Nord Africa e Medio Oriente: a fine 2013 un quarto di giovani non più studenti non aveva un posto di lavoro. In italia il fenomeno è diventato insostenibile (per la dimensione e la qualità dei lavori) e rischia di compromettere il futuro della nostra società e la capacità di sviluppo delle nostre imprese.

Perché in Italia la situazione è più grave che altrove? Da noi il problema è drammatico perché esistono radici di natura strutturale, che la crisi ha solo accentuato: la ricerca ha dimostrato che il 40% della disoccupazione giovanile non dipende dal ciclo economico. In Italia - affermano gli esperti di McKinsey&Company - coesistono due fenomeni all’apparenza opposti: altissimi livelli di disoccupazione giovanile, da un lato, e difficoltà delle imprese a trovare conoscenze e competenze adatte, dall’altro. Solo il 29% dei giovani sceglie il corso di laurea prendendo in considerazione le statistiche occupazionali. Le loro competenze sono ritenute adeguate dal 70% di scuole e università, ma solo dal 43% degli studenti e dal 42% dei datori di lavoro. Il disallineamento tra il capitale umano formato dal sistema educativo e le opportunità generate dal sistema produttivo persisterà e con effetti nefasti se non si interverrà.

Quali strategie si possono adottare in tempi rapidi per invertire la rotta? Cosa stanno facendo istituzioni, imprese e università? Ricercatori, industriali, docenti, economisti e addetti ai lavori hanno cercato di rispondere a questi interrogativi nel corso del seminario svoltosi nell’aula magna del Bo.

Oggi - è stato sottolineato - la transizione scuola-lavoro è ostacolata principalmente da tre fattori: scarsità di profili e professionalità in alcuni ambiti e settori, competenze non adeguate ai bisogni e alle necessità del sistema produttivo, inadeguatezza dei canali di supporto alla ricerca del lavoro. È in queste aree che occorre realizzare una stretta collaborazione fra soggetti pubblici e privati e concentrare le risorse e l’impegno di istituzioni, aziende, scuole, università e giovani, in un progetto di sistema che, operando a livello nazionale e locale, valorizzi e diffonda numerose esperienze di collaborazione eccellente già avviate in Italia, facendo anche leva su esperienze internazionali.

Nel processo di transizione scuola-lavoro l’università vuole esserci. I suggerimenti che sono derivati nel corso del confronto fra studiosi, amministratori, docenti e imprenditori,  hanno spaziato dalla necessità di ridisegnare la didattica alla scelta di corsi trasferibili alle aziende, dalla valorizzazione delle competenze trasversali all’aggiustamento della normativa che riguarda il lavoro,  dalla scelta del corso di studio, che non deve essere decisa solo dalla passione, all’estensione del dottorato di apprendistato anche alla pubblica amministrazione.

Il piano d’azione suggerito da McKinsey&Company per uscire dalle secche del fenomeno della disoccupazione giovanile in Italia si dirama in più direzioni: identificazione delle priorità di sviluppo dell’offerta formativa; definizione di una strategia nazionale per aumentare la diffusione della formazione tecnica e professionale in base alle esigenze specifiche dei distretti e delle filiere industriali; sviluppo in ogni area territoriale di un’offerta formativa orientata al fabbisogno del tessuto economico locale; incentivazione di scuole e università a raccogliere pubblicare informazioni sullo stato occupazionale e il tipo di posizioni ricoperte dai propri diplomati e laureati; lancio di un piano di comunicazione nazionale per orientare le scelte degli studenti  sui percorsi di studio;  divulgazione di  competenze e sbocchi lavorativi offerti dalle scuole del territorio; facilitazione degli istituti scolastici affinché adattino l’offerta formativa tenendo conto degli input che arrivano dal territorio; creazione di opportunità per i giovani per svolgere esperienze pratiche nelle aziende; chiamare a far lezioni in aula rappresentanti del mondo del  lavoro; potenziamento dei servizi di orientamento; aumento dell’efficacia di canali di collocamento.

È giunto il tempo - è stato sottolineato - di non limitarsi a piangere su statistiche impietose ma di agire, all’unisono, avviando in tempi rapidi un programma di interventi per agire sulle cause strutturali che ostacolano la transizione scuola-lavoro.

Valentino Pesci

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