UNIVERSITÀ E SCUOLA

Do you speak English? Quasi

Una selezione severa. È questa l’impressione che si ricava scorrendo la lista dei risultati della prova d’ingresso ai corsi di laurea in Lingue, Letterature e Culture Moderne e Mediazione Linguistica e Culturale, dove più del 90% dei candidati sono stati ammessi solo con debito. Questi ultimi potranno comunque iscriversi con un Obbligo formativo aggiuntivo, che dovrà essere soddisfatto entro il 30 settembre 2015 frequentando un insegnamento di recupero. E magari potrebbe essere proprio questo il fattore che potrebbe aver spinto i ragazzi a preferire durante l’estate le spiagge e i viaggi alla preparazione sui libri. Di fronte a questi esiti resta comunque un dubbio. Delle due l’una: le scuole superiori danno una preparazione linguistica troppo lacunosa, oppure è l’università a chiedere troppo agli studenti? Ne parliamo con Geneviève Henrot, docente di francese e presidente del corso di Lingue.

Come avete preso in dipartimento i risultati della prova?

Siamo rimasti sgomenti, e ci stiamo interrogando sulle sue cause, tornando con spirito critico sul test e sulle possibili modifiche da apportare per l’anno prossimo. È pur vero che, anche negli anni precedenti, i risultati non erano poi così brillanti: l’anno scorso, per esempio, un buon 70% dei candidati aveva riscontrato almeno un debito. 

Si sono riscontrate divergenze di esiti a seconda del tipo scuola superiore di provenienza?

Non in modo significativo. Il superamento del test, a prima vista, sembra più un fattore individuale che istituzionale: gli studenti risultati più brillanti provengono da tutte le categorie di scuole superiori, e ci sono anche studenti stranieri.

Comunque la prova d’ingresso quest’anno era cambiata...

Fino all’anno scorso gli studenti di Lingue e Mediazione sostenevano la stessa prova d’ammissione di tutti gli altri studenti di Lettere (Archeologia, Filosofia, Lettere, Storia e via dicendo). Il test prevedeva quindi un’ampia varietà di piccole sezioni, nelle quali ogni corso di laurea andava poi ad osservare le sezioni più significative per il suo indirizzo. Noi di Lingue e Mediazione, per esempio, ci concentravamo sugli esiti ottenuti in capacità logico-deduttive, conoscenza linguistica dell’italiano, comprensione del testo e lingua straniera, tralasciando gli altri esiti. In questo senso, la prova di quest’anno non è cambiata: abbiamo infatti mantenuto immutati i settori d’interesse diagnostico. Ma, eliminando gli altri settori, abbiamo potuto ampliare e affinare il numero di domande dedicate a questi aspetti, ottenendo una radiografia più circostanziata delle conoscenze e competenze degli studenti.

Chi ha preparato i quesiti? 

L’équipe del test è professionale e ben informata su come si prepara un buon questionario. Possiamo garantire che tutti i componenti del gruppo hanno lavorato muniti delle competenze teoriche necessarie e degli obiettivi che ci eravamo prefissati in termini di diagnosi. In particolare, il test d’inglese (metà del totale delle domande) è stato coordinato da due nostri docenti (un italiano e una inglese) specializzati in testing, con esperienza nazionale e internazionale nel campo. Le domande dell’altra sezione invece sono state “firmate” da docenti che hanno insegnato presso le scuole superiori o vi sviluppano un’attività di formazione dei formatori, con stage, concorsi, test e pubblicazioni.

Non saranno state domande troppo difficili rispetto al livello degli studenti che escono dalle superiori?

Questa è la prima domanda da porsi, e ce la siamo posta e ci stiamo riflettendo per il futuro. Analizzando domanda per domanda le risposte ottenute al test, ci siamo accorti che mancavano alcune conoscenze e abilità da noi ritenute fondamentali: nell’analisi logica, sia in italiano che, di conseguenza, in inglese; nell’analisi funzionale e nella capacità di distinguere le diverse parti del discorso. Perfino distinguere un sostantivo da un verbo o da una preposizione (in italiano, preciso) ha creato sgomento alla maggioranza. Un capitolo a parte è quello della pronuncia dell’inglese: un alfabeto fonetico internazionale (API) è stato inventato apposta più di un secolo fa, ed è da tempo integrato in tutti i vocabolari come in tutti i metodi di lingua. Perché le nostre scuole ancora non formano gli studenti al suo uso, così pratico e utile? Questo  è quello che risulta dal nostro test. E pensare che impararlo richiede un paio di orette!

Com’è possibile che così tanti studenti intenzionati a studiare le lingue siano risultati impreparati a iniziare quel tipo di studio?

Vorrei innanzitutto sciogliere un equivoco ricorrente: studiare una, due, tre lingue straniere non è un impegno da poco. E non dovrebbe mai essere una scelta di ripiego, bensì una vera e propria passione. Non a caso impieghiamo vent’anni e più di “full immersion” per imparare la nostra lingua materna: figuriamoci le altre! Chiedete ai neurolinguisti quanto lavori il cervello di uno che parla, o che traduce, o che interpreta in simultanea: è forse l’attività cerebrale più intensa. Bisogna inoltre essere portati, avere orecchio, memoria, e una buona dose di intelligenza astratta. Studiare infatti le lingue a livello universitario non è come frequentare una scuola serale per sapersi destreggiare alla meglio in viaggio. Insegniamo a ragionare sulle lingue, su come sono fatte, su come funzionano e si evolvono, su come usarle nel modo più appropriato a seconda dei contesti comunicativi. Intendiamo formare professionisti delle lingue, disposti ad innamorarsi della linguistica come della cultura dell’Altro.

Forse gli studenti dovrebbero preparasi un po’ meglio.

Certamente. Un test andrebbe sempre preparato: rinfrescare le proprie conoscenze aprendo una grammatica d’inglese o d’italiano, trascorrere l’estata a praticare la lingua, o semplicemente leggere, ascoltare videocast, podcast o film... Con la dovizia di materiale attualmente reperibile anche gratis in rete, è un peccato non usufruirne per rafforzare le proprie conoscenze e competenze. Del resto sul nostro sito internet, alla voce “Requisiti d’ammissione”, avevamo già da maggio-giugno caldamente raccomandato due libri, di cui uno, in inglese, disponibile gratuitamente in rete. Seguire il nostro consiglio avrebbe significato aumentare notevolmente le speranze di successo, e preparare con intelligenza il proprio percorso formativo. Ma sarei curiosa di sapere quanti studenti abbiano solo pensato a prepararsi, anche a modo loro… Anche perché su Facebook, a chi ha pensato di fare la domanda “Mi devo preparare?”, è stato risposto dagli studenti in corso: “Macché! È una sciocchezza!”. Che peccato!

Qual è la conseguenza del debito formativo sull’accesso al corso prescelto?

La prova è diagnostica, non selettiva. Intende aiutare lo studente a misurare punti forti e punti deboli, e a vagliare la sua predisposizione al nostro tipo di formazione. Quindi, con o senza debito formativo, tutti gli studenti possono iscriversi. Pertanto, per colmare il debito riscontrato, è stato organizzato un corso extra-curricolare di ricupero, intitolato “Grammatica generale”, con test finale: coprirà tutti questi settori delle conoscenze e abilità analitiche risultate carenti al test. E tutti gli studenti con debito sono caldamente invitati a frequentarlo, onde acquisire buone basi per il resto degli studi. 

E per l’anno prossimo? 

Una promessa: faremo del nostro meglio per perfezionare la prova, purché svolga il suo ruolo di “radiografia” dei saperi e delle abilità dei candidati. L’augurio? Che i candidati si presentino preparati, seriamente preparati, come dev’essere per qualsiasi esame che si affronta.

Daniele Mont D’Arpizio

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