UNIVERSITÀ E SCUOLA

È l'ora degli ingegneri. In America

I giovani della cosiddetta “generazione Y” - quelli che hanno raggiunto la maggiore età dopo il 2000 - sono regolarmente trattati con un misto di derisione e condiscendenza un po’ in tutto il mondo occidentale. Nati tra i primi anni Ottanta e l’inizio del nuovo millennio, sono visti come viziati e ingenui, sognatori generalmente impreparati alle esigenze della vita adulta. Cresciuti nel benessere degli anni Novanta, molti di essi si sono ritrovati a prendere decisioni di studio e di lavoro cruciali sullo sfondo della peggiore crisi economica dai tempi della Grande depressione. Tant’è che dalla Spagna alla Grecia, e persino negli Stati Uniti, si parla spesso, per loro, di una nuova “generazione perduta”: ragazzi che, laureatisi subito prima dell’inizio della recessione e entrati sul mercato del lavoro in un momento impossibile, saranno costretti per sempre in percorsi professionali molto inferiori alle attese e alle abilità.  

Attenzione però alle generalizzazioni. Pare infatti che, almeno in America, i più giovani appartenenti a questa generazione stiano cominciando a rimboccarsi le maniche e a reagire alle circostanze. Dati pubblicati in novembre dalla National Student Clearinghouse mostrano ad esempio che il numero di lauree in discipline scientifiche e ingegneristiche è aumentato del 19% negli ultimi cinque anni, contro solo il 9% di crescita registrato negli altri settori. Nel 2013, quindi, il 32% di tutti i corsi universitari quadriennali portati a termine con successo era in settori come le scienze agroalimentari e l’ingegneria elettrica, rispetto al 30% nel 2009.

“Storicamente molti studenti mettevano in programma una laurea scientifica ma poi cambiavano in fretta facoltà per via della difficoltà di questo genere di studi – dice Doug Shapiro, direttore per la ricerca alla Clearinghouse – Ma negli ultimi anni grande attenzione è stata prestata a livello nazionale all’importanza di questo genere di discipline e delle relative conoscenze e il messaggio è senz’altro arrivato agli studenti, ai genitori e agli educatori”. 

L’anno scorso, ad esempio, l’amministrazione Obama ha lanciato un’iniziativa federale per incrementare il numero di lauree nelle scienze, nelle nuove tecnologie, nell’ingegneria e nella matematica (le cosiddette Stem da Science, Technology, Engineering e Mathematics) di un milione di unità nei prossimi dieci anni.  

A contribuire al fenomeno, inoltre, è l’aumento vertiginoso del costo degli studi universitari negli Stati Uniti. “I giovani sono costretti a fare molta più attenzione a come spendono i soldi – nota Nicole Smith, professoressa presso il Center on Education and the Workforce della Georgetown University a Washington. “Quanto a ritorno sugli investimenti, le lauree scientifiche sono un’ottima scommessa sul futuro se si considera che, anche al picco della recessione, garantivano redditi più alti della media”. 

L’incentivo è quindi doppio. Da un lato, queste lauree aprono le porte a quei settori dell’economia che oggi offrono le condizioni lavorative e salariali migliori. Un rapporto pubblicato a maggio dal Center on Education and the Workforce rivela che, nel 2010-2011, il tasso di disoccupazione per i neo-laureati in chimica (senza alcuna esperienza lavorativa) era del 5,8%, per i neo-laureati in matematica del 5,9%, e per i neo-laureati in ingegneria del 7%, ben inferiore alla media nazionale, che, all’epoca, si aggirava sul 9-10%. Anche il livello di retribuzione rende questi campi particolarmente attraenti. Sempre nel 2010-2011 un giovane fresco di laurea in chimica poteva attendersi uno stipendio annuale di circa 31.000 dollari, il collega neo-laureato in matematica di 41.000 dollari e chi aveva in mano un titolo di studio in ingegneria di 55.000 dollari. Cifre decisamente superiori ai 25.000 medi guadagnati dai neo-laureati nelle arti drammatiche (tra cui il tasso di disoccupazione era del 6,4%) o dei 27.000 dollari di chi aveva appena conseguito una laurea in antropologia o archeologia (tasso di disoccupazione del 12,6%). 

D’altro canto, i settori tecnico-scientifici possono permettersi di offrire condizioni migliori perché il mercato ha disperatamente bisogno di esperti in materia. Un altro rapporto del Center on Education and the Workforce stima che tra il 2010 e il 2020 i settori Stem creeranno 2,6 milioni di posti di lavoro, registrando la crescita maggiore subito dopo la sanità. A lungo gli Stati Uniti hanno fatto fronte alla mancanza di laureati americani con le giuste credenziali per occupare queste posizioni importando competenze dall’estero. Ma questa strategia ha sempre meno futuro. “I paesi emergenti stanno sviluppando i loro mercati Stem interni e quindi richiamano a casa i neo-laureati che hanno mandato a studiare qui”, dice Nicole Smith. Bisogna quindi che gli Stati Uniti imparino a trovare al proprio interno i futuri ingegneri e informatici da formare. Occasioni di lavoro in aumento, dunque, e meglio pagate: a patto di avere le competenze giuste.

Ai giovani americani, così come anche ai colleghi europei, è stato detto per tanto tempo che un’educazione nelle scienze sociali, nelle arti, nella letteratura - formando la mente nel suo complesso al di là delle conoscenze tecniche specifiche e insegnando a apprendere qualsiasi tipo di contenuto - era la chiave che avrebbe aperto i portoni più disparati, oltre a permettergli di comprendere in modo più completo la realtà attorno a loro. E così in tanti si sono riversati in facoltà che, alla fine, li hanno preparati in maniera insufficiente e non hanno dato loro le competenze necessarie a districarsi in questa nuova realtà economica da era dell’austerità, in cui il lavoro torna a venire prima di qualsiasi altra considerazione. 

Ora, però, che la preparazione scientifica e in particolare informatica è diventata rilevante in pressoché ogni ramo del sapere e dell’economia, è ormai chiaro che le lauree STEM rappresentano - almeno fino a nuovi rivolgimenti del mercato del lavoro, o a una recrudescenza della crisi - il nuovo passe-partout professionale per i giovani. I quali stanno cominciando a prendere nota, almeno negli Stati Uniti. 

Valentina Pasquali

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