UNIVERSITÀ E SCUOLA

Esad: l'odissea e la speranza di diventare italiano

Esad Mehmeti, 24 anni, studente di ingegneria e arbitro di calcio iscritto alla sezione bassanese dell’Aia, è un ragazzo bruno di media altezza, a prima vista difficilmente distinguibile da tanti suoi amici. Esad però è kosovaro di etnia albanese e ha un sogno: quello di diventare cittadino italiano; infatti è uno dei 2.222 studenti stranieri iscritti all’Università di Padova (considerando quelli che al 31 luglio 2012 erano in regola con le tasse universitarie). Terminata la triennale, il dottor Mehmeti frequenta con profitto i corsi della laurea magistrale in ingegneria civile; dopo aver letto un articolo del Bo sugli effetti sulla diminuzione dell’immigrazione in Italia, ci ha scritto:

“Vivo in provincia di Vicenza dal 1999 e non ho ancora la cittadinanza. Sto ancora aspettando quindi, anche se vivo qua da 13 anni e mi sto laureando a Padova, per lo Stato sono sempre un immigrato. La bella notizia e che anni fa (prima delle elezioni del 2006) sui telegiornali c'era una politica diffamatoria contro gli stranieri (ricordava il periodo degli anni '60 quando il Nord criticava i cosiddetti ‘terroni’); ancora oggi però non si dice che l'immigrazione rappresenta l'11% del Pil”.

Incuriositi, abbiamo contattato Esad per ascoltare la sua storia: “Sono venuto durante la guerra come rifugiato; vivo a Bassano del Grappa assieme ai miei genitori, una sorella maggiore e un fratello più piccolo. Un altro fratello è in Francia. Ho fatto tutte le scuole qui, alle superiori ho studiato da geometra. Ho preferito imparare qualcosa che mi desse un mestiere, visto che non sapevo dove sarei andato a finire cinque anni dopo. Nello studio però sono sempre andato bene, quindi dopo mi sono iscritto all’università”.

A quali disagi va incontro uno straniero che studia in un ateneo italiano? “Per l’iscrizione non ho avuto problemi particolari, perché avevo la residenza e il titolo di studio italiano. Ai corsi e agli esami poi non mi sono mai sentito discriminato: a volte c’era solo un po’ di curiosità, da parte degli altri, di sapere la situazione in Kosovo”. Problemi pratici? “Ad esempio quando ogni anno si fa l’Isee per calcolare le tasse e le borse di studio: gli italiani possono fare l’autocertificazione tramite il sistema informatico dell’Ateneo, mentre gli stranieri devono portare tutta la documentazione in ufficio. Se non ci si muove in tempo si resta in coda per ore”. Poi ci sono gli imprevisti: “Nel 2009, dopo l’indipendenza del Kosovo, l’Agenzia delle entrate ha comunicato a me e a tutti i miei concittadini che il nostro codice fiscale era stato cambiato. All’università se ne sono accorti qualche giorno prima della laurea, ma alla fine abbiamo risolto tutto”.

Già, perché nella sua giovane vita il dottor Mehmeti è già stato cittadino di tre stati: Jugoslavia, Serbia e Kosovo. Finché, a fine 2010, ha fatto finalmente richiesta di diventare italiano. “Ho pagato 200 euro (adesso dovrebbero essere circa 500); fino ad allora avevo avuto la carta di soggiorno, che però andava rinnovata ogni 5 anni”. Le possibilità di un immigrato non sono le stesse di un cittadino: “Una volta volevo andare in Inghilterra per imparare la lingua; da kosovaro però bisognava richiedere il visto: costava 90 euro e inoltre non si era sicuri di ottenerlo. prima bisognava dimostrare che si aveva  vitto alloggio per tutto il soggiorno, allegando inoltre i biglietti aerei e la prenotazione dell’hotel. Alla fine non sono potuto andare”. Una volta Esad ha anche chiesto di fare lo scrutatore elettorale ai seggi: altra cosa impossibile per chi non è italiano.

La richiesta di cittadinanza quindi. “Mi hanno detto che i tempi di attesa sono di 3-4 anni, io però conosco anche persone che aspettano da 5 anni”. Esad non capisce, soprattutto non accetta questa situazione: “Il decreto di conferimento della cittadinanza è firmato dal Presidente della Repubblica, e io allora gli ho scritto”. Risponde un collaboratore, spiegando che la responsabilità è del ministero dell’Interno; il ministero a sua volta risponde che i ritardi sono da imputare alla prefettura. Esad naturalmente scrive anche alla prefettura: “Uno scaricabarile. Mi hanno detto che ci sono 1500 richieste prima di me. Io però allora mi chiedo: perché non mettono più persone a lavorare sulle pratiche degli stranieri?”.

A ottobre di quest’anno finalmente convocano Esad in questura per il colloquio di rito. “Credo che abbiano accelerato la mia pratica per pressioni del ministero”, sorride oggi lo studente: “Ho portato i redditi dei miei genitori. Mi hanno domandato cosa faccio, quante volte sono tornato nel paese d’origine. I funzionari sono stati rispettosi, sono rimasto solo un po’ sorpreso per le domande”. In realtà tutto è piuttosto veloce: “di solito ti chiedono di leggere un articolo di giornale: metà dei richiedenti vengono scartati perché non sanno l’italiano a sufficienza”. Altri sono esclusi perché hanno un reddito troppo basso.

Tutto bene dunque? “Stamattina sono entrato nel sito del ministero con i codici che mi hanno dato, e ho visto che l’esito è favorevole: sarò cittadino italiano. In realtà adesso il ministero deve avvertire la prefettura, che avrà sei mesi per comunicarlo a sua volta al Comune. Il Comune avrà poi altri sei mesi per convocarmi per il giuramento. Io però sto già contattando la prefettura e il sindaco per fare prima”.

Perché tutta questa fretta? “È diventata una sfida tra me e i miei connazionali. Tutti i giorni poi mi confronto sulla politica assieme agli amici italiani: finalmente potrò votare anch’io. Il mio voto varrà poco, ma è giusto che io abbia questo diritto”. Per votare alle prossime elezioni politiche dovrebbe accadere un miracolo: perché però Esad ci tiene tanto, proprio mentre sulle prossime consultazioni aleggia lo spettro dell’astensionismo? “Perché mi sento italiano, perché qui ho già trascorso la maggior parte della mia vita”. Non è che anche lui vorrà candidarsi un giorno? “Mi piacerebbe. So che la strada è lunga ma ho il vantaggio di essere giovane. Per me sarebbe un onore servire il paese”. Tanti dicono così... “Mi auguro che per me sia diverso. Non posso promettere niente ma le buone intenzioni ci sono. Per quanto mi riguarda povero sono adesso, e tale penso di rimanere anche dopo un eventuale esperienza politica”.

Fa impressione ascoltare Esad, soprattutto quando quotidianamente si sente la rabbia e la frustrazione dei suoi coetanei italiani, una generazione intera che si sente tradita e privata del futuro: “Certo un giorno vorrei fare anche qualche esperienza all’estero, come momento di formazione per il curriculum. Finalmente riuscirò ad andare in Inghilterra, oppure potrò visitare un’amica americana. Non vorrei però abbandonare la mia patria adottiva”.

Per Esad e la sua famiglia lo studio non è un parcheggio, è l’unica occasione di diventare qualcuno e costruire qualcosa: “Fare l’università, soprattutto dopo aver fatto la scuola da geometra, non è facile, ma in famiglia siamo molto orgogliosi della mia scelta. All’inizio ero indeciso tra ingegneria e giurisprudenza, ma poi ho scartato il diritto: non sapevo se un giorno avrei potuto fare concorsi pubblici, ad esempio per la magistratura o la carriera diplomatica”.

Anche il fratello minore di Esad voleva “servire il paese”, entrando nell’esercito. Non ha potuto fare il concorso per l’accademia, e allora ha scelto un’altra nazione, la Francia, entrando nella legione straniera. Quanti ragazzi così sta perdendo l’Italia? “Mio fratello serve già la Francia, io servirò l’Italia” ribadisce scherzando Esad.

Daniele Mont D’Arpizio

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