SOCIETÀ

Fahrenheit 672. Ovvero, l’autocombustione di una maggioranza

Le strategie non s’improvvisano e soprattutto bisognerebbe sapere a cosa servono. Una strategia – cioè una decisione che tiene conto delle decisioni altrui – è di successo quando contribuisce ad aumentare le risorse a disposizione di un attore politico (partito o leader) attraverso una politica di alleanze, cioè un’estensione di ciò che possono guadagnare coloro che partecipano alla decisione stessa. L'accordo tra Pd e Pdl sulla candidatura di Franco Marini non ha garantito il quorum di 672 voti per eleggere il presidente della Repubblica al primo turno ma ha innescato una deflagrazione nel Pd e nella coalizione di sinistra con effetti devastanti sul quadro politico, una frammentazione che forse nemmeno la confluenza annunciata su Prodi riuscirà a invertire.

Parafrasando il noto romanzo di Ray Bradbury si potrebbe dire che dopo le elezioni Bersani cerca di fare il pompiere in un mondo dove gli incendi non si spengono. In termini strategici è emerso in tutta chiarezza come la leadership del centro sinistra abbia perseguito in un brevissimo spazio di tempo strategie tra loro contraddittorie gettando nella confusione più totale partito e opinione pubblica. La ricerca iniziale (fallimentare) di un’alleanza di governo con il M5S si è improvvisamente tramutata nella ricerca di un accordo con il tradizionale avversario politico, Berlusconi e il Pdl, per la scelta del candidato alla presidenza della Repubblica con un netto rifiuto delle proposte di collaborazione che intanto provenivano dal M5S.

La giustificazione addotta dal Pd della “netta distinzione” tra sistema di alleanze per l’elezione del presidente della repubblica e alleanze per la formazione di un governo non regge per un motivo fondamentale: l’elezione e la figura del presidente della Repubblica sono in questa fase altamente e visibilmente politicizzate. Tale politicizzazione è il risultato non solo della presenza del M5S, che ha evidenziato l’insofferenza crescente dei cittadini verso i metodi della classe politica della “seconda” repubblica, ma anche dalla divisione strutturale interna al Pd, acuita dall’esito delle primarie e dalle difficoltà post elettorale della leadership di individuare alleati credibili e promuovere intese di governo accettabili sia all’interno del partito sia nel Paese. L’elevata politicizzazione di un potere di garanzia (politicamente neutrale) qual è il presidente della Repubblica nel nostro sistema costituzionale fa sì che, come ci spiegano le teorie sui processi di transizione democratica, esso sia percepito come decisivo per l’identità e anche, impropriamente, per il programma di governo (prossimo venturo). La nostra democrazia non è nuova a processi di politicizzazione di questo tipo: un altro potere di garanzia – la magistratura –  è diventato ormai decisivo non solo per le sorti di questo o quell’uomo politico toccato dagli scandali, ma anche spesso nella dialettica tra poteri dello stato (vedi il conflitto tra presidenza della Repubblica e procura di Palermo) e tra forze politiche di maggioranza e opposizione. Quando poteri e ruoli di garanzia – super partes – entrano nell’arena politica (si politicizzano) si fanno automaticamente portatori di risorse politicamente rilevanti (consenso).

Date queste condizioni, perseguire la vecchia tattica andreottiana dei “due forni” (da un lato la ricerca di alleanze in funzione dell’innovazione, cioè di una modificazione non marginale dello status quo, e dall’altro cercare con vecchi metodi e vecchi avversari di perpetuare lo status quo) è perdente o meglio si potrebbe dire a somma negativa: tutti, o quasi, perdono qualcosa. Per il Pd i potenziali vantaggi che si potrebbero ottenere da un lato sono annullati dall’altro. Questa è la principale contraddizione in cui è caduta la classe dirigente del Pd e il dilemma legato alla scelta del presidente della Repubblica dimostra che il metodo del “coinvolgimento dell’avversario” nella decisione presuppone che l’avversario non sia un “bersaglio mobile” ma sia chiaramente identificato e con esso sia siano chiare perdite e guadagni risultanti dalle differenti alleanze. Una scelta tutt’altro che facile che richiede quanto meno attori all’altezza del compito.

Maria Stella Righettini

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