CULTURA

Finlandia, è l'ora del thriller biologico

C'è da essere grati a Iperborea che da anni schiude l'ingresso a Nord della letteratura europea: le sue inconfondibili edizioni longilinee pubblicano il meglio di Svezia, Norvegia, Estonia, Danimarca, Finlandia e altri paesi ancora grazie a ottimi traduttori. Nel caso in questione è Francesco Felici, che, padroneggiando alla perfezione la narrativa (oltre alla declinazione a quindici casi della grammatica) finnica, rende accessibile e godibile in Italia Hirttämättömien lurjusten yrttitarha ovvero La fattoria dei malfattori, ultima fatica di Arto Paasilinna, l'autore best seller dell'Anno delle lepre. 

È vero che gli autori dal vero spesso deludono ma è proprio difficile immaginare che Paasilinna non sia un tipo molto simpatico, capace com'è di potente ironia e autoironia, anche nazionale, scambiabile – a prima lettura – per candore di neve artica. L'autore in realtà sa benissimo il fatto suo, come il protagonista della fattoria cui lo accomunano i trascorsi da giornalista e una preparazione naturalistica (Paasilinna è stato guardiaboschi, l'eroe semiserio del suo romanzo è un agente dei servizi segreti che si spaccia per ispettore bio), macho biondo un po' greve come lo sono certi miti del nord. Se diventasse un film ci starebbe bene a interpretarlo per esempio Henning Baum alias Mick Brisgau della serie tv tedesca Last Cop: uno di quei tipi molto pratici e che non si lamentano mai, neanche se finiscono scaraventati in una miniera a un chilometro sotto terra – e quindi molto lontani dai modelli maschili polizieschi (e non) italici.

In effetti il Grande Nord resta ancora un mondo abbastanza ignoto alle nostre latitudini: Pippi Calzelunghe torna in auge (un po') solo ora, dopo anni, ma può poco contro le principesse rosa, e quel po' di renna che conosciamo la si deve alle polpette incriminate dell'Ikea. Invece con Paasilinna si compie un vero viaggio tra le betulle e torbiere lapponi, attraverso estati rigide ma piene di malizia, e si assaggiano, con lessici esotici, piatti e ingredienti dai nomi impossibili ma che suonano buonissimi. Che diavolo saranno le giromitre? Impossibile capirlo da qua ma pare che sbollentate siano il massimo.  La vicenda si svolge in una ex fattoria cooperativa socialista trasformata da kolchoz (sì: c'erano anche qua, non solo in Urss) in azienda agricola biologica per la produzione, lo stoccaggio e l'export di erbe aromatiche e funghi, e retta con pugno di ferro da una misteriosa proprietaria affiancata da memorabili comprimari: un vescovo, un aviatore, un'orticoltrice e un cane da orso – Musti – capace di tenere sotto controllo tutti. 

Tutto è incredibilmente ortodosso, retto, giusto e politicamente corretto nell'ex fattoria dei kolchoziani dove l'ospite, che può soggiornare con formula vacaza-lavoro, è sacro e accolto con tisane di erbe rigorosamente bio e saune bollenti, ma sotto, molto sotto, c'è un mistero che coinvolgerà l'ispettore capo dei servizi segreti e gli stravolgerà la vita. Paasilinna lo racconta con humour e poesia ma senza enfasi, e soprattutto con la grande abilità della disinvoltura che solo il mestiere vero dello scrivere può dare: come quando tira su di peso il lettore dalle rive del lago lappone dove stava passeggiando in un eterno giorno artico per caricarlo su un biplano scalcagnato e lasciarlo per mezzo capitolo tra nubi temporalesche senza spiegazioni, senza pilota e col cellulare scarico.  Non mancano commenti e riflessioni su politica ed economia (en passant viene chiamato in causa anche il colosso Nokia), Chiesa, pena di morte, sistema giudiziario e penitenziario per ovviare alle cui lacune Paasilinna immagina, attraverso la sua trama, una soluzione che sa di arancia meccanica (biologica). Ma di più non si può proprio svelare. 

Silvia Veroli

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